La Geologia nel linguaggio comune e nelle strategie di sviluppo

Sta ormai entrando nel linguaggio comune una terminologia che appartiene al mondo della geologia: concetti come "difesa del suolo" e "consumo di suolo", con ...

27/06/2013
Sta ormai entrando nel linguaggio comune una terminologia che appartiene al mondo della geologia: concetti come "difesa del suolo" e "consumo di suolo", con riferimento al problema del dissesto idrogeologico, e persino quello più complesso degli "effetti di sito" quando si tratta di terremoti e di rischio sismico, stanno lentamente entrando nel lessico degli italiani.

Abbiamo tutti fatto caso che nel dibattito pubblico questi concetti sono sempre più spesso ripresi da una classe dirigente, che seppure di estrazione culturale variegata, ha finalmente compreso che i temi del territorio, dalla sua manutenzione alla sua sicurezza, sono primari per lo sviluppo del Paese.

Persino il recente dibattito politico per la ripresa economica verte sempre più su possibili scenari di sviluppo, che prendono spunto proprio dalle scienze della terra, spaziando ben oltre la mitigazione dei rischi naturali, ma allargando il campo alla geotermia, alle risorse del sottosuolo ed al patrimonio naturalistico.

La circostanza non potrebbe che far piacere, se solo questa tendenza a richiamare i temi della geologia si traducesse in azioni concrete e non si fermasse, come invece succede, al solo dibattito, declinandosi spesso in maniera prevalentemente demagogica.

Di recente un ingegnere a capo di una importante organizzazione fieristica mi ha riferito di tenere molto alla presenza dei geologi alle manifestazioni che si apprestava ad organizzare, perché gli argomenti trattati dai geologi sono di interesse generale ed attraggono particolarmente gli uomini politici, che così avrebbe accettato l'invito.

Insomma sembra che nel linguaggio comune siano entrati a far parte alcuni concetti a noi cari, che siamo attraenti per quello che diciamo, che i nostri argomenti siano interessanti e per questo ripresi nel dibattito pubblico e che persino i politici siano portati a trattarli perché fanno bella figura sui giornali, in radio e in televisione. Bene. E poi?

E poi nulla, basta solo che se ne parli. Possiamo solo apprezzare questa evoluzione, magari anche che nel recente decreto del fare si sia posta l'attenzione alla limitazione di consumo del suolo, ma non possiamo non osservare, sempre in tema di mitigazione dei rischi naturali, idrogeologico, sismico e vulcanico, che si siano spesi fiumi di parole, senza che una sola novità legislativa sia venuta all'orizzonte.

Il tema dell'energia è tra quelli di maggiore attualità e tra quelli che più spesso entrano nei talk show televisivi. Vediamo come stanno in realtà le cose.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta ha entusiasticamente annunciato il provvedimento "Eco Bonus", l'ennesimo decreto nel campo delle rinnovabili, che proroga la detrazione fiscale del 65% per gli interventi di efficientamento energetico degli edifici. Ma non si sa per quale ragione sono esclusi gli impianti a pompa di calore, ed in particolare quelli geotermici.

Come può essere successo, dopo tanto parlare di geotermia, dopo aver tutti ascoltato le apprezzabili dichiarazioni sulla assoluta compatibilità ambientale dello sfruttamento del calore della terra, ben maggiore rispetto agli impianti solari ed eolici che invece un certo impatto lo producono?

Forse si tratta di una clamorosa svista, che verrà rapidamente corretta nella stesura definitiva. Ma a pensar male, considerato che in tutti i precedenti provvedimenti la geotermia è sempre stata privata degli incentivi fiscali (si veda il conto termico dello scorso anno), si è propensi a credere piuttosto che si voglia discriminare una tecnologia ad alta efficienza energetica ed a impatto ambientale quasi nullo, come riconosciuto già nel 1993 dall'Ente di Protezione Americana. Si vuole discriminare una filiera, quella degli impianti geotermici, che è tutta italiana, a vantaggio esclusivo di eolico e fotovoltaico.

Perché? Non è difficile comprendere quali interessi ruotino intorno a questi provvedimenti e d'altronde pensare ad una semplice svista è francamente difficile, quando nel provvedimento "Eco bonus", nello specifico passaggio normativo riguardante gli incentivi fiscali si legge testualmente "con esclusione degli interventi di sostituzione di impianti di riscaldamento con pompe di calore ad alta efficienza ed impianti geotermici a bassa entalpia".

Qualcuno potrà sostenere che il ruolo della geotermia in Italia, per quanto importante e vantaggioso, non può essere da solo in grado di creare sviluppo e fare uscire il Paese dalle sabbie mobili della crisi.
Può darsi, anche se le stime più prudenti fanno rilevare ad esempio che nel settore geotermoelettrico potrebbero essere attivati investimenti per circa un miliardo di euro nell'arco del prossimo decennio. Investire sulla geotermia significa peraltro puntare su produzioni di beni e di servizi a elevata qualità ecologica, in grado di affrontare non solo la crisi economica e finanziaria, ma quella non meno grave climatica ed ecologica, promuovendo un'idea di benessere non più legata alla crescita del consumismo, ma allo sviluppo di consumi più equi e consapevoli.

Queste positive ricadute si intravedono anche in termini occupazionali, considerazione questa che in un periodo di crisi economica non va certo trascurata, soprattutto a leggere le stime che vedono a inizio 2012 ben 120 mila nuovi occupati proprio nel settore delle rinnovabili.
Ma se la geotermia da sola non è in grado di sopperire alle necessità economiche del Paese, allora è il caso di guardare a quei Paesi europei che, ritenuti più avanti di noi, sono sempre portati a modello di sviluppo. In questi Paesi si stanno seguendo pedissequamente le indicazioni della comunità europea, molto attenta a sviluppare politiche comuni in grado di favorire lo sviluppo. Ed in effetti scopriamo che qui la geotermia non sta al primo posto delle possibili strategie di crescita economica, bensì al secondo posto.

Al primo infatti la comunità europea ha individuato lo sfruttamento delle risorse minerarie. Ho già scritto di quello che si sta facendo in Germania, dove è stata costituita una nuova agenzia per le risorse minerarie in seno al Servizio Geologico. O in Francia, dove il Servizio Geologico ha ricostituito un analogo servizio in Marocco per sfruttarne le enormi risorse di fosfati. O dell'accordo che l'Unione Europea ha definito con la Danimarca per l'estrazione di terre rare in Groenlandia.
Mentre questi Paesi europei e la stessa Unione dimostrano capacità di investimento nelle materie prime e di essere validi competitori dei grandi colossi internazionali, Cina e India prime tra tutte, in Italia rimaniamo fermi al dibattito, bello, interessante, culturalmente rilevante, ma completamente sterile in termini di iniziative.

Seppure ancora oggi il fatturato per i comparti dei materiali lapidei e della sabbia si attesti su circa 4 miliardi di euro, il contributo percentuale delle materie prime al PIL nazionale diminuisce progressivamente. E noi intanto discutiamo di come uscire dalla crisi, ma senza neanche pensare di rivedere la legge quadro nazionale, che è del 1927, o di coordinare le legislazioni regionali, come ci ha raccomandato la Comunità europea.

Eppure per chi opera nel settore è sin troppo evidente che necessiti disciplinare i contenuti minimi dei progetti di coltivazione, di risistemazione e di ampliamento, ma anche rendere coerente tutta la legislazione collaterale, quali le competenze in merito al rilascio delle autorizzazioni, gli scarichi, gli indennizzi, le tariffe, ecc.

Serve senza dubbio una politica di innovazione tecnologica capace di indirizzare l'attività mineraria sulle materie prime, ma anche sulle materie prime seconde, evitando di mandare a discarica una enorme quantità di materie prime.

L'Europa lo fa, mettendo la ricerca mineraria al primo posto e la geotermia al secondo posto delle strategie di sviluppo, l'Italia invece continua a discutere di come uscire dalla crisi. Sappiamo ormai tutti che la crisi non si contrasta solo con tagli e sacrifici, ma anche con le idee, con le esperienze che discendono dalla cultura scientifica e con la capacità politica di metterle in pratica.

Il contributo della geologia a questi grandi temi è enorme e non si limita alla geotermia ed alla ricerca di materie prime, ma si estende a tanti altri campi ed a quelli rilevantissimi dell'ambiente: si pensi ai tantissimi siti contaminati, la cui chiusura ha conseguenze sociali altissimi, oltre che costi anch'essi elevatissimi per l'economia ora nazionale, ora locale, che invece potrebbero essere utilizzati per produrre tecnologie.

Il soccorso della scienza permette di reindustrializzare i siti dismessi, intervenendo significativamente sul territorio, valorizzando le competenze professionali, mantenendo l'occupazione e ottenendo positivi effetti sociali.
Per non parlare poi del tema del riutilizzo come sottoprodotti delle terre e delle rocce provenienti dagli scavi, con ricadute sociali evidenti in termini economici ed ambientali, ma da cogliere anche in termini di opportunità professionale.

E tornando al campo energetico c'è da valutare un'altra grande occasione, quella rappresentata dallo stoccaggio del biossido di carbonio (CO2), ottenuto dalla cattura nei camini di emissione delle centrali elettriche a combustibili fossili ed in altri grandi impianti industriali, nelle formazioni geologiche profonde o nei giacimenti esauriti di idrocarburi. Queste tecnologie di sequestro e stoccaggio di CO2, conosciute come CCS (Carbon Capture and Storage), sono anch'esse definite strategiche nell'ambito della politica energetica europea, in quanto necessarie a contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici, permettendo, secondo stime preliminari, la riduzione del 20% delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020.

La Commissione Europea, con l'obiettivo di facilitare la realizzazione di impianti termoelettrici dotati di tecnologie di cattura e di stoccaggio geologico dell'anidride carbonica, ha proposto la direttiva 2009/31/CE, inserita nel "Pacchetto Clima - Energia", con lo scopo di definire un quadro giuridico comune a livello europeo per lo stoccaggio geologico del biossido di carbonio.

Da tutte queste possibili strategie di sviluppo emerge chiaramente l'importanza della cultura scientifica e dei saperi professionali. Non è un caso che nello spirito di ammodernamento che esse si sono date, le professioni tecniche mettono ormai costantemente a servizio del Paese i propri sistemi di conoscenze, giungendo a proposte concrete per Governo e Parlamento.

Lo hanno fatto unitariamente le Professioni dell'Area Tecnica (PAT) e lo facciamo quotidianamente come geologi, consapevoli che nel XXI secolo la geologia può, e deve, essere chiamata a mettere a disposizione quei contributi che la stessa società chiede in relazione ad una visione organica ed integrata del territorio e della sua gestione.

Proponiamo soluzioni ai grandi problemi che direttamente o indirettamente coinvolgono tutta la società italiana, sempre a partire dalla conoscenza tecnica e scientifica: reperimento, sfruttamento e corretta gestione delle risorse naturali, dall'acqua alle altre materie prime, sino alle fonti di energia; pianificazione sulla base della conoscenza delle pericolosità e dei rischi; programmazione di tutte quelle azioni necessarie ed indispensabili affinché tutto il territorio, le abitazioni, le scuole, gli uffici e gli ospedali siano sicuri.

Chiediamo meno e proponiamo di più, questo abbiamo cominciato a fare. Ma di una cosa abbiamo il Paese ha veramente bisogno urgentissimo, che sia rafforzata la presenza delle materie geologiche nei programmi delle Scuole superiori, perché c'è assoluta necessità di una maggiore diffusione della cultura geologica.
Nel nostro Paese le scienze geologiche hanno un ruolo del tutto marginale nella già scarna offerta formativa scientifica dei programmi scolastici ministeriali. Trovano infatti poco spazio nell'insegnamento della scuola secondaria di primo grado e nei curricula quinquennali della scuola secondaria di secondo grado.

Le discipline geologiche viceversa sono fondamentali per la formazione culturale e sociale di ogni cittadino che, senza nozioni di geologia, è incapace di percepire i problemi geologici e di inquadrarli nelle loro corrette dimensioni spaziali e temporali. Gli eventi calamitosi, seppur frequenti nel nostro Paese, non vengono percepiti da chi dovrebbe cercare di prevenirli o di contenerli, soprattutto perché l'opinione pubblica, largamente priva delle più elementari cognizioni di geologia, non richiede con forza adeguate misure di prevenzione, se non a seguito degli eventi più catastrofici. Spesso si perdono vite umane, beni ed attività economiche per comportamenti non corretti, determinati dalla totale assenza di conoscenze sui processi geologici naturali.

E' la sfida per certi versi più importante per il futuro di questo Paese, perché solo la diffusione di un'adeguata cultura scientifica nel settore delle scienze geologiche potrà formare una società civile informata e consapevole, in grado di mettere in atto misure di protezione e di prevenzione efficaci e di attuare nel futuro politiche economiche corrette ed efficaci, facendo percepire questo nostro bel Paese come un modello di sviluppo e non come il solito fanalino di coda.

A cura del Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi
Gian Vito Graziano
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