La difesa in giudizio è un appalto di servizi, anche se limitata a singole vertenze episodiche

Le Linee Guida n. 12 dell’Anac confermano – e non poteva essere diversamente – le indicazioni contenute nell’articolo 17, comma 1, lettera d), del codice dei...

09/11/2018

Le Linee Guida n. 12 dell’Anac confermano – e non poteva essere diversamente – le indicazioni contenute nell’articolo 17, comma 1, lettera d), del codice dei contratti: la difesa in giudizio di pubbliche amministrazioni non può essere affidata in via fiduciaria o intuitu personae, per la semplice ragione che occorre applicare i principi disposti dall’articolo 4 (*) del medesimo codice relativamente ai cosiddetti “contratti esclusi”.

Chi scrive aveva evidenziato ben prima dell’Anac un’interpretazione del tutto analoga a quella contenuta nelle Linee Guida 12, sul presupposto che non vi fosse nessuna residua ragione per continuare a perserverare nell’errore ermeneutico in cui è incorso il Consiglio di stato con la sentenza 11.05.2012 n. 2730. Palazzo Spada, in plateale contraddizione con le disposizioni già piuttosto chiare del d.lgs 163/2006, ma soprattutto con la normativa europea, aveva insistito per la possibilità di incarichi ai legali di tipo “fiduciario”, poiché si tratta, afferma, non di appalti di servizi, ma di prestazione d’opera intellettuale.

Se un difetto di coerenza e, se si vuole, difetto propriamente giuridico è reperibile nelle Linee Guida 12 sta proprio nella contraddizione in termini in cui incorrono quando al contempo affermano che la difesa in giudizio è soggetta all’articolo 4 del d.lgs 50/2016, in quanto appalto escluso e anche che si tratti comunque di un “contratto d’opera intellettuale”. Sembra trattarsi di una sorta di “omaggio” o uscita con picchetto d’onore per una tesi, quella del Consiglio di stato, della quale non si è inteso evidenziare la pur chiara erroneità.

Se davvero si dovesse configurare la difesa in giudizio come contratto d’opera professionale, allora non si dovrebbe parlare di contratto “escluso” dalla disciplina del codice e limitato ai soli principi di cui al suo articolo 4, bensì di contratto del tutto estraneo al codice stesso.

La logica conseguenza di ciò sarebbe l’attrazione di questi incarichi, allora, nella regolazione del lavoro autonomo rivolto alla PA, contenuta nell’articolo 7, comma 6 e seguenti, del d.lgs 165/2001. Normativa, questa, che per altro a sua volta comunque esclude in modo tranciante ogni possibilità di affidamento fiduciario, perché esattamente come la disciplina del codice dei contratti, esclude qualsiasi affidamento non specificamente motivato, in quanto impone senza eccezione lo svolgimento di procedure comparative.

E’ bene, qui, sottolineare che di conseguenza la qualificazione della difesa in giudizio come appalto di servizi o di contratto di prestazione professionale ai fini della possibilità di affidamenti fiduciari è del tutto indifferente: in entrambe le ipotesi, l’affidamento fiduciario è da escludere. E non a caso: la PA deve obbedire a precetti costituzionali discendenti dall’articolo 97 della Costituzione che impongono di motivare sempre le ragioni delle proprie scelte, allo scopo di dimostrare che essere sono le migliori e le più rispondenti al bene pubblico. La fiducia è un sentimento, inspiegabile ed indimostrabile, come tale inidoneo a sorreggere processi di scelta amministrativa. Solo nel privato è ammissibile agire e scegliere senza dover motivare e solo nel privato, quindi, una scelta fiduciaria del legale è immaginabile.

Precisato ciò, comunque non si può fare a meno di sottolineare che la concezione della difesa in giudizio come contratto d’opera professionale invece che come appalto non è da considerare corretta, perché si pone in chiara contraddizione con la disciplina del codice dei contratti, che, ricordiamo, recepisce normativa europea ancor più nettamente incompatibile con la divisione esclusivamente di diritto interno tra appalti e prestazione d’opera.

Secondo un’interpretazione, l’Anac non sarebbe incorsa in errore, perché l’articolo 4 non parla di “appalti” esclusi, bensì di “contratti” esclusi. Ciò è senz’altro corretto. Ma, la rubrica dell’articolo 17, elimina ogni dubbio: “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”. E l’alinea del comma 1 aggiunge: “Le disposizioni del presente codice non si applicano agli appalti e alle concessioni di servizi”.

Dunque, il codice configura la difesa in giudizio come appalto. Le Linee Guida 12, dunque, da questo punto di vista, non dispongono di alcuna legittimazione per qualificare tale prestazione di servizio in modo diverso.

In ogni caso, l’errore vero consiste nell’insistere a dare rilievo alla distinzione tutta e solo italiana vista prima tra appalto e prestazione d’opera.

Una distinzione presente nel codice civile, influenza essenzialmente dalla diversa disciplina in esso contenuta dell’attività lavorativa non subordinata. Il codice civile, nella sostanza, qualifica come appalto la prestazione di lavori, servizi e forniture a condizione che sul piano soggettivo il prestatore disponga di un’organizzazione dei mezzi di produzione tale da poterlo qualificare come imprenditore.

Al contrario, il codice identifica come prestatore d’opera chi realizza la prestazione senza un’organizzazione di impresa e, quindi, prevalentemente con attività personalmente realizzate. Mentre l’appaltatore-imprenditore si interessa soprattutto di organizzare i mezzi per produrre il lavoro, il servizio o la fornitura, il prestatore d’opera attende prevalentemente in prima persona alla realizzazione del lavoro, del servizio o della fornitura.

La natura di questa distinzione emerge con molta chiarezza dalla lettura dell’articolo 2238 del codice civile che al comma 1 dispone: “Se l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II”.

Di fatto, dunque, anche nel codice civile ciò che conta per distinguere appalto da prestazione d’opera non è tanto l’oggetto della prestazione, quanto piuttosto la soggettività dell’incaricato. L’appaltatore è visto come imprenditore, il prestatore d’opera come lavoratore autonomo.

La normativa europea, che non conosce la distinzione tra appalto e prestazione d’opera, al contrario dà rilevanza all’oggetto della prestazione, rimanendo indifferente alla configurazione soggettiva del prestatore. Ciò è confermato indiscutibilmente dall’articolo 3, comma 1, lettera p), che qualifica l’operatore economico come “una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”.

Per il codice dei contratti, che recepisce la normativa europea, è assolutamente indifferente che a svolgere la realizzazione di opere, fornitura di prodotti o prestazione di servizi sia resa da persone giuridiche o da persone fisiche; meno ancora la normativa degli appalti dà rilevanza alla circostanza che l’operatore economico sia qualificabile come imprenditore oppure come lavoratore autonomo. E’ sufficiente, per essere qualificato come operatore economico, offrire le proprie prestazioni sul mercato: in questo modo, concorrono tra loro persone fisiche e giuridiche, di diritto pubblico come di diritto privato.

Dunque, qualificare l’attività di difesa in giudizio “ad hoc” come prestazione professionale invece che come appalto di servizi è una chiara contraddizione con le previsioni codicistiche ed è doppiamente inutile. In primo luogo, perché oltre a contrastare con le lampanti previsioni dell’articolo 17 del d.lgs 50/2016, si scontra con la regolazione della qualità di operatore economico. In secondo luogo, perché comunque le Linee Guida, pur avendo inteso dare il “colpo al cerchio”, conservando nominalisticamente la difesa in giudizio “ad hoc” come prestazione professionale, comunque giunge ad una conclusione diametralmente opposta a quella indicata dal Consiglio di stato, escludendo sempre e comunque l’affidamento fiduciario.

Trattandosi di una questione ormai appunto solo lessicale, in fondo essa non ha molto rilevanza. La sostanza è che le Linee Guida 12 non ammettono incarichi intuitu personae agli avvocati. Certo è che per giungere a questa inevitabile conclusione sono dovuti passare tanti, troppi anni e, per altro, nemmeno ancora si riesce a chiamare le cose col proprio vero nome.

Tratto da luigioliveri.blogspot.com


(*) Art. 4. (Principi relativi all’affidamento di contratti pubblici esclusi)
1. L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica.

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