L’affidamento diretto: quando semplificare fa rima con eliminare le gare e con esse il libero mercato concorrenziale

Alcune considerazioni sui rischi derivanti dall'innalzamento della soglia degli affidamenti diretti

di Giulio Delfino - 08/12/2021

La normativa in materia di appalti pubblici è da oltre un decennio un cantiere aperto che mi ricorda un po’ quelli presenti sull’Autostrada A12 nei paraggi di Genova, ossia sempre lì da anni senza che se ne comprenda bene il perché.

Affidamenti diretti: semplificazione significa eliminare gare e libero mercato?

Negli ultimi due anni in particolare si è parlato costantemente di semplificazioni, ritenute assolutamente necessarie per favorire la spesa pubblica.

Ovviamente tanti soldi in arrivo dall’Unione Europea, col vincolo di spenderli, determinano la necessità di invertire un sistema che era stato originariamente pensato proprio per evitare che di soldi ne fossero spesi troppi, in tempi ormai lontani (ma pronti a tornare dopo il 2026) di spending review.
Di tutto il meccanismo di spesa pubblica, il “colpevole” più semplice e facile da individuare è risultato essere il Codice dei Contratti Pubblici che, nonostante esista solo dal 2016, sembra essere da decenni l’unico freno dello sviluppo dell’intero sistema Paese. Quale sia il reale significato della parola “semplificazione” io francamente confesso di non averlo ancora compreso a distanza di tutti questi mesi.

Sì, perchè la gestione degli appalti è materia complessa per definizione, in quanto ha a che fare ogni anno con tantissimi miliardi di spesa pubblica per lavori, forniture e servizi che sono acquistati per la collettività, e non può essere banalizzata o derubricata per sola volontà di intenti.
Peraltro la gestione di un appalto è composta da molte fasi: da quando viene pensato a quando viene progettato, dalla procedura di gara a quando poi viene eseguito.

Secondo un ormai noto studio di Banca d’Italia (Questioni di economia e finanza, n. 520, Capitale e investimenti pubblici in Italia: effetti macroeconomici, misurazione e debolezze regolamentari, ottobre 2019) per l’intero ciclo di realizzazione delle opere occorrono, mediamente, circa 4,9 anni, ed in particolare 2,1 anni per la progettazione, 0,6 anni per l’affidamento, 1,6 anni per la realizzazione e 0,4 anni per la messa in funzionalità.

Emerge pertanto che la fase di gara pesa solo il 12% dell’intero processo. Nonostante ciò tutte le norme fino ad oggi intervenute si sono concentrate quasi unicamente su tale fase.

In concreto le uniche misure assunte in nome della “semplificazione”, che invece è rimasta solo nelle intenzioni, sono state l’innalzamento delle soglie degli affidamenti diretti e la riduzione del numero di operatori economici da invitare alle procedure negoziate.

Niente è cambiato rispetto alle maggiori cause di ritardo nella conclusione degli appalti, ovvero la farraginosità dei passaggi autorizzativi e le carenze della pubblica amministrazione nella progettazione a monte della gara, l’obiettiva necessità di ridurre le stazioni appaltanti cercando di realizzare centrali di committenza appositamente formate, la creazione di strutture di controllo dedicate alla fase di esecuzione dell’appalto che invece troppo spesso è lasciata totalmente nelle mani dell’appaltatore.

L’idea che eliminare le regole del sistema appalti sia la panacea di tutti i mali significa pensare che in assenza di regole si possano fare le cose e magari anche in qualità, per tacere della legalità.

Ma forse ci si dimentica che quelle regole sono il risultato di anni e anni di malaffare che hanno caratterizzato, e in parte ancora caratterizzano, il mondo degli appalti pubblici, che per caratteristiche intrinseche è uno dei settori più delicati dell’economia nazionale. Dagli anni ruggenti di “Tangentopoli” ai ben più recenti scandali di corruzione collegati a Mose, Expo e Mafia Capitale.

Innalzamento soglia affidamenti diretti: considerazioni

Gli orizzonti di disamina sugli appalti pubblici sono sconfinati, ma vorrei concentrarmi oggi su un aspetto particolare della c.d. “semplificazione”: quello dell’innalzamento della soglia degli affidamenti diretti.

L’affidamento diretto “puro”, ossia quello senza alcun confronto concorrenziale tra operatori economici, fino a tutto il 2019 non poteva superare i € 40.000,00.

Ma cosa vuol dire affidamento diretto?

L’affidamento diretto è un atto unilaterale di una pubblica amministrazione che decide di affidare a un’impresa un lavoro, un servizio o una fornitura pubblica senza dover fare alcuna gara e senza doverne verificare prima la convenienza nell’ambito del mercato. Va da sé che tale strumento sia stato relegato a importi di valore esiguo (anche se € 40.000,00 per ogni affidamento diretto non sono in ogni caso trascurabili) e per quei casi in cui situazioni contingenti non consentano l’espletamento di un confronto tra gli operatori economici disponibili sul mercato.

Ora, in nome della semplificazione e della velocità di spesa pubblica, sono state innalzate le soglie dell’affidamento diretto fino a € 150.000, come se bastasse azzerare i tempi di affidamento per avere risultati certi e migliori. Per fare un esempio pratico è come se un cittadino qualunque, per accelerare i tempi di acquisto di una nuova macchina, non facesse alcuna preventiva indagine di mercato ma comprasse la prima capitata. Con la differenza che se la macchina comprata poi non soddisfa il compratore, le conseguenze dell’incauto acquisto ricadono solo su di lui. Nel caso degli appalti le conseguenze invece ricadono sulla collettività, perché i soldi spesi sono quelli di tutti i contribuenti.

Ma quali possono essere concretamente i RISCHI di alzare la soglia degli affidamenti diretti?

  1. Il primo e più immediato è ovviamente un minus concorrenziale. Si preclude infatti all’amministrazione pubblica la possibilità di rendere più efficiente il bene o servizio appaltato e agli operatori economici la possibilità di dimostrare la loro maggiore competitività sia professionale che economica.
  2. Vi è poi un problema di qualità di ciò che si acquista. L’acquisto senza alcuna preventiva verifica sull’idonea qualificazione dell’impresa affidataria in relazione alla complessità dell’incarico affidato e sulla conformità del bene o servizio offerto rispetto alle specifiche necessità ed esigenze della pubblica amministrazione rappresentano dubbi di non poco momento.
  3. Altro problema è quello legato ai costi. Infatti una procedura senza gara spesso comporta anche l'aumento dei costi, non essendoci una base d'asta che permetta di scegliere tra più opzioni. Di fatto il costo del bene o servizio appaltato non viene determinato dal mercato, poiché nessuno presenta offerte, ma stimato unilateralmente dall’ente appaltante. In tal modo si potrebbe continuare a pagare di più un bene o un servizio che potrebbe costare meno solo per non aver esplorato il mercato di riferimento.
  4. Profili di problematicità sorgono poi anche riguardo alla compatibilità di tali misure con il diritto comunitario ed interno. Le direttive comunitarie in materia di appalti pubblici del 2014 infatti stimolano il ricorso a procedure ispirate alla libertà di concorrenza, di stabilimento, di impresa e del lavoro. Inoltre lo stesso Codice dei Contratti Pubblici per gli affidamenti sotto soglia comunitaria chiede che vengano sempre rispettati i principi di economicità, tempestività, correttezza, libera concorrenza e trasparenza. Infatti l’istituto dell’affidamento diretto non garantisce in alcun modo il rispetto del principio di libera concorrenza e pertanto dovrebbe restare limitato a casi particolari e di importi ridotti.

Oltre ai sopra elencati rischi che potremo considerare di carattere “tecnico”, ve ne sono poi senza dubbio altri collegati invece alla non meno importante questione di LEGALITÀ.

Un’indagine effettuata dall’Autorità Nazionale Anticorruzione sul triennio 2016-2019 rileva che, in Italia, gli appalti pubblici sono la prima causa di corruzione nella Pubblica Amministrazione e gli affidamenti diretti sono quelli a più alto rischio.

In particolare i settori più a rischio sono risultati:

  • riqualificazione e manutenzione (edifici, strade, messa in sicurezza del territorio);
  • comparto sanitario;
  • comparto legato al ciclo dei rifiuti (raccolta, trasporto, gestione, conferimento in discarica);

che saranno tra i principali destinatari dei prossimi investimenti pubblici.

Non vi è dubbio infatti che gli affidamenti diretti siano la porta principale di accesso per la corruzione nel mondo degli appalti. Basti ricordare che il sistema di Mafia Capitale si reggeva sugli affidamenti diretti. L’ipotesi di un incremento esponenzialmente del rischio di infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione e di corruzione di funzionari e politici è pertanto tangibile.

Vi è infine poi anche un tema POLITICO in merito agli affidamenti diretti compiuti da Amministrazioni locali. L’affidamento fiduciario di soldi pubblici comporta seri rischi riguardo alla trasformazione degli appalti in uno strumento clientelare tale per cui lavorino solo le imprese “vicine” alla classe dirigente del territorio.

Non è difficile infatti da capire come alzare la soglia degli affidamenti diretti possa comportare un maggior “potere di acquisto” di voti e consenso nei confronti del potere che li concede. Le imprese saranno condizionate non tanto e non più dalle normali dinamiche di mercato ma da logiche di consenso verso chi ha il potere di affidargli unilateralmente gli appalti e quindi il lavoro, al di là di ogni possibile confronto concorrenziale. Oggi più che mai gli appalti pubblici hanno bisogno di misure di attenzione e protezione particolari al fine di scongiurare i maggiori rischi di corruzione e infiltrazione criminale a cui saranno esposti in tale particolare momento.

Se di fronte alla complessità oggettiva della gestione degli affidamenti pubblici la risposta sono gli affidamenti diretti, non siamo in presenza di una semplificazione ma semplicemente del mancato adempimento di un’importantissima ed irrinunciabile fase di assegnazione di contratti pubblici, qual è la procedura di gara.

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