Barriere architettoniche: requisiti, prescrizioni tecniche e titolo edilizio

Guida alla progettazione per l'abbattimento delle barriere architettoniche: requisiti, titolo edilizio e giurisprudenza

di Donatella Salamita - 13/06/2023

Le Barriere Architettoniche sono presenti in ogni contesto ambientale, sia pubblico, che privato, sia nelle strutture edilizie, che all’aperto, ciò rappresenta una notevole interdizione non per i soli disabili, ma riconducibile anche all’anziano che necessita di muoversi con l’ausilio di un bastone, o alla mamma con il passeggino, e così via.

Cosa sono le barriere architettoniche

Il termine disabile viene associato a colui che, con ridotte o impedite capacità motorie e/o sensoriali, incontra difficoltà di movimento e/o percezione, vi  contribuiscono i fattori più elementari, ad esempio i gradini delle scale, i dislivelli non adeguatamente raccordati, così come i percorsi, i passaggi, gli ascensori privi di accorgimenti, la mancanza di segnali acustici e visivi, le segnalazioni per l’orientamento, la difficile riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo in particolare per i non vedenti, gli ipovedenti ed i sordi, tra questi ha maggiore incidenza ciò che ostacola il transito e la sosta della sedia a ruote, in quanto si tratta di strutture esistenti, anche storiche, prive del benché minimo intervento di adeguamento.

Il concetto, totalmente limitativo, si concentra non solo in dimensionamenti inadatti, ma si ricollega anche all’impiego di materiali non idonei, spesso causa della mancanza di complanarità tra un ambiente ed un altro, ai difetti di costruzione ed ai costi sostenuti per la realizzazione delle opere.

Circostanza, così come avviene per i tanti contesti ambientali, territoriali e per le stesse strutture edilizie, da concatenare con l’aspetto tecnico, in particolare con la fase progettuale attraverso la quale individuati gli accorgimenti necessari, nella forma mentis garante dei livelli di qualità: accessibilità visitabilità ed adattabilità.

La normativa tecnica

Dal punto di vista della disciplina in materia di abbattimento e/o eliminazione della Barriere Architettoniche è un vasto compendio normativo, tra Legislazione Nazionale e Regionale, oltre a Regolamenti Comunali, Linee Guida e così via, a subordinarne l’applicazione.

In particolare il decreto Ministeriale n. 236/1989 “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche”  in attuazione alle Legge n.13/1989 “Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” trasfusa nel Testo unico per l’Edilizia, il d.P.R.380/2001, analizza e regolamenta tutti i criteri progettuali da seguire nella progettazione, ristrutturazione ed adeguamento degli edifici privati.

Il successivo decreto del Presidente della Repubblica 503/1996 “Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici” regolamenta quanto riguarda gli edifici, spazi e servizi pubblici, ma rimanda, anch’esso, alle prescrizioni tecniche del decreto Ministeriale n.236/1989.

I tre livelli di qualità: accessibilità, visitabilità ed adattabilità

Disciplinati dal D.M. 236/1989 i tre livelli di qualità degli edifici esistenti e di nuova costruzione in ordine ai quali disposti i criteri progettuali da osservare, vediamoli.

L’accessibilità rappresenta il livello più alto di qualità della struttura edilizia, o di uno spazio aperto, in quanto consente la completa fruizione da parte del soggetto disabile nell’immediato, permettendo egli di accedere, ad esempio, ad un edificio o nella singola unità immobiliare o nell’unità ambientale, in modo agevole, utilizzandone spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.

La visitabilità rappresenta un livello di accessibilità limitato ad una porzione dell’edificio o dell’unità immobiliare, seppur permette al portatore di handicap ogni tipologia di relazione fondamentale, ad esempio consente egli l’accesso agli spazi di relazione, quali il soggiorno o la camera da pranzo dell’abitazione, o al luogo di lavoro, nei quali è obbligatoria la presenza di almeno un servizio igienico.

L’adattabilità raffigura il livello di qualità inferiore che, a seguito della previsione progettuale, deve essere suscettibile di trasformazione in accessibilità, ovvero di quella possibilità di modificare nel tempo, a costi sostenuti, quanto costruito e renderlo accessibile, pertanto il livello della adattabilità è definito essere il “livello di accessibilità differita”.

In relazione ai livelli di qualità di uno spazio costruito, sia esso interno o esterno alla struttura edilizia il D.M. 236/1989 dispone:

  • al punto 3.4 “Ogni unità immobiliare, qualsiasi sia la sua destinazione, deve essere visitabile”
  • al punto 3.5 “Ogni unità immobiliare, qualunque sia la sua destinazione, deve essere adattabile per tutte le parti e componenti per le quali non è già richiesta l’accessibilità e/o la visitabilità, fatte salve le deroghe”

Le definizioni del decreto Ministeriale 236/1989

Il decreto, preliminarmente ai dettami circa le prescrizioni tecniche ed i criteri progettuali da seguire, riporta opportune definizioni in relazione ai componenti ambientali di uno spazio “costruito”, in particolare:

  • unità ambientale: spazio elementare e definito che permette di svolgere attività compatibili tra esse, ad esempio i vari ambienti dell’abitazione;
  • unità immobiliare: intesa quale l’unità ambientale passibile di autonomo godimento, quindi di un insieme di unità ambientali funzionalmente collegate;
  • edificio: unità immobiliare dotata di autonomia funzionale o insieme autonomo di unità immobiliari funzionalmente e/o fisicamente collegate tra esse.
  • parti comuni dell’edificio: unità ambientali con la funzione di collegare funzionalmente più unità immobiliari;
  • spazio esterno: insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici ed in particolare quelli interposti tra l’edificio o gli edifici e la viabilità pubblica o di uso pubblico.

Le prescrizioni tecniche e la progettazione

Le prescrizioni tecniche hanno il fine di garantire il raggiungimento dei tre livelli di qualità, accessibilità, visitabilità, adattabilità, si applicano agli edifici privati di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazione, residenziali e non, ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata, agli edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazione degli edifici privati, agli spazi esterni di pertinenza dei medesimi.

Per la migliore applicazione dei criteri di progettazione la norma definisce due tipologie di interventi edilizi riferite agli edifici esistenti, distinguendo le opere di ristrutturazione edilizia dai lavori di adeguamento, dispone, quindi:

  • ristrutturazione edilizia: come da testo dell’art.3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 380/2001 “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
  • adeguamento: insieme dei provvedimenti necessari a rendere gli spazi costruiti o di progetto conformi ai requisiti del presente decreto

Dal punto di vista progettuale si devono prevedere tutti gli accorgimenti tecnici idonei alla installazione di meccanismi per l'accesso ai piani superiori, idonei accessi alle parti comuni degli edifici e alle singole unità immobiliari, almeno un accesso in piano, rampe prive di gradini o idonei mezzi di sollevamento, e, laddove l’edificio si componga di più di tre livelli fuori terra, l'installazione di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini.

Nonostante siano regolamentate diverse soluzioni tecniche è, chiaro, alcune di esse non necessariamente debbano subordinarsi inderogabilmente alle specificazioni, ma potranno essere integrate in fase progettuale laddove ritenute congrue al superamento delle riduzioni dimensionali, ovvero se implicanti determinate soluzioni e/o tecnologie, ne diviene, mantenuto il rispetto delle prescrizioni, che se il tecnico progettista determini apportare variazioni nel fine sopracitato dovrà illustrarne le caratteristiche, giustificarne la stessa o migliore qualità dell’esito ottenibile attraverso opportuna Relazione Tecnica ed Elaborati Progettuali.

L’adattabilità, quale accessibilità differita, per gli interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione edilizia e di adeguamento

Gli edifici di nuova costruzione e le loro porzioni si considerano adattabili se attraverso la realizzazione, successiva nel tempo, di opere che non variano né la struttura portante, né la rete degli impianti comuni, potranno essere adeguati, con costi contenuti, alle necessità delle persone con ridotta o impedita capacità motoria, garantendo il soddisfacimento del requisito dell’accessibilità.

È la fase di progetto durante la quale valutare il raggiungimento dell’obiettivo futuro, mediante la previsione di accorgimenti tecnici relativi al posizionamento e dimensionamento dei servizi ed ambienti limitrofi, dei disimpegni e delle porte, ovvero della eventuale installazione dell’impianto di sollevamento. In questo ultimo caso, laddove il corpo scala, per la sua conformazione non permetta ipotizzare l’inserimento di un ascensore nel futuro si richiede al progettista di prevedere lo spazio idoneo per l'installazione di una piattaforma elevatrice.

Altro aspetto da valutare se previsto installare un ascensore all'interno del vano scala in relazione alla fruibilità delle rampe e dei ripiani orizzontali, a garanzia di un adeguato deflusso in caso di evacuazione in situazione di emergenza, ove l’installazione dell’impianto tecnologico non dovrà interferire.

Per quanto concerne gli interventi diversi dalla nuova costruzione è richiesto garantire il soddisfacimento degli analoghi requisiti visti per gli interventi di nuova costruzione.

Attività edilizia libera, CILA, SCIA o Permesso di Costruire: il titolo abilitativo edilizio

Indipendentemente si tratti di interventi edilizi, ed anche impiantistici, aventi il fine specifico dell’eliminazione delle barriere architettoniche, gli stessi restano, comunque, assoggettati al rispetto della disciplina urbanistico-edilizia vigente, ovvero al d.P.R. 380/2001.

Per lo stesso motivo ogni opera dovrà essere distinta dall’altra al fine di farla, legittimamente, rientrare nella classificazione del regime cui assoggettata, evitando di incorrere nella realizzazione di abusi edilizi e nelle conseguenti sanzioni, di natura amministrativa, pecuniaria e/o penale, a seconda dei casi.

È bene, preliminarmente, determinare se l’intervento rientri nell’attività edilizia libera (art.6 d.P.R. 380/2001), distinguendo se esso sia esonerato da qualsiasi comunicazione allo Sportello Unico dell’Edilizia, o se, invece, comporti trasmettere la Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata, la CILA (art.6-bis d.P.R. 380/2001), e così via.

Ad ogni buon conto è importante valutare ogni aspetto dell’opera, in quanto la differenza tra il regime della citata CILA ed il regime della Segnalazione Certificata di Inizio Attività, SCIA (art.22 d.P.R. 380/2001), o con il regime di cui al Permesso di Costruire (art. 10 d.P.R. 380/2001) è davvero minima.

È sufficiente prendere ad esempio un intervento consistente nella realizzazione di un percorso pedonale esterno da realizzarsi mediante la creazione di una rampa, si possono verificare tre diverse ipotesi:

  • se la rampa ha struttura removibile ed è semplicemente appoggiata al suolo, chiaramente in sicurezza, con la funzione di collegamento tra l’accesso alla struttura edilizia e l’esterno, modificando, quindi, lo spazio destinato a pertinenza dell’edificio, sarà sufficiente la CILA;
  • se la stessa rampa, con struttura removibile, semplicemente appoggiata al suolo, per essere collocata in sicurezza richiede essere ancorata al fabbricato, occorre valutare la metodologia da utilizzarsi per l’ancoraggio, l’aspetto riguardante le opere specifiche e la stessa struttura del fabbricato, posto che dalla semplice manutenzione straordinaria, l’intervento rientrerebbe nel regime della SCIA, per il semplice fattore la CILA possa ritenersi legittima laddove “non interessi parti strutturali”;
  • sia nel primo, che nel secondo caso, la stessa rampa, con struttura removibile, viene, invece, saldamente ancorata al suolo perdendo quindi il carattere della removibilità e della precarietà, in modo tale da costituire modifica permanente del terreno non edificato, a prescindere dalla scala di differenza tra i due titoli minori, è richiesto il Permesso di Costruire.

Il nostro esempio fa rilevare ogni circostanza progettuale vada attentamente valutata caso per caso.

Riferimento Giurisprudenziale

È la della Corte di Cassazione Penale, Sezione 3°, la Sentenza n.38360 del 2013, a riportare “il permesso di costruire per le opere atte a eliminare le barriere architettoniche non occorre”, ovvero “opere funzionali all'eliminazione delle barriere architettoniche sono solo quelle tecnicamente necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e non quelle dirette alla migliore fruibilità dell'edificio e alla maggior comodità dei residenti”.

Attenzione, però, in quanto la stessa sentenza nell’invocare l’art.6 del Testo Unico per l’Edilizia fa espresso riferimento agli interventi rientranti nel regime dell’attività edilizia libera, laddove citate le opere volte all’eliminazione delle barriere architettoniche, con esclusione della realizzazione di rampe e di ascensori esterni, ovvero di manufatti che variano la sagoma dell’edificio.

Ne diviene sia applicabile quanto visto al paragrafo precedente, non potendosi, in tal senso, conformare alla pronuncia solo in via generale e per tutti gli interventi edilizi.

Atti di assenso

La realizzazione delle opere per l’abbattimento e/o l’eliminazione delle Barriere Architettoniche non prevede deroghe laddove l’edificio ricada in area assoggettata a vincoli ambientali, artistici, archeologici, storici e culturali, ragion per cui, le opere, dal punto di vista delle autorizzazioni, pareri e nulla osta di competenza di Organi o Enti diversi dall’Ente Comunale, dovranno essere espressamente assentite, anche nel regime del silenzio-assenso, ivi compresi i casi riguardanti gli interventi rientranti nell’Attività Edilizia Libera di cui alla disciplina urbanistico – edilizia, pertanto non subordinati ad alcun tipo di comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune ove ricade l’immobile.

Va evidenziato che per diversi Organi o Enti preposti vigano normative finalizzate allo snellimento delle procedure, in particolare in presenza di vincolo paesaggistico è il d.P.R. 31/2017, il quale dispone quali siano gli interventi esonerati dal conseguimento dell’Autorizzazione Paesaggistica o per i quali previsto il regime semplificato.

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