Condanna penale e inconferibilità incarico: chiarimenti da ANAC

La condanna non esclude l’assunzione in servizio presso una PA, ma vieta l’assegnazione di specifiche funzioni incompatibili con la sentenza, anche la pena è sospesa

di Redazione tecnica - 23/04/2023

L’assegnazione dei compiti e delle funzioni descritte dall’art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001 al dipendente condannato per i reati ivi previsti, anche se la pena risulti sospesa, è vietata sine die. Infatti, anche se la condanna non esclude l’assunzione in servizio presso una pubblica amministrazione, essa non permette l’assegnazione di specifiche funzioni incompatibili, spettando all’amministrazione valutare i presupposti per l‘assunzione e l’eventuale assegnazione di mansioni non incompatibili, in conformità con il quadro normativo di riferimento ed il proprio ordinamento.

Inconferibilità incarichi per condanna penale: il parere di ANAC

Lo ricorda l’ANAC, nell’Atto del presidente del 4 aprile 2023, con cui si è pronunciato a seguito della richiesta di parere di un comune in merito all’applicazione dell’art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001 in caso di sospensione condizionale della pena per un dipendente risultato condannato in primo grado, a cui si voleva attibuire la funzione di istruttore contabile.

Ricorda l’Autorità che ai sensi dell’art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001, “Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale: a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi; b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati; c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere”.

Spiega l’Autorità che tale norma “rappresenta una nuova e diversa fattispecie di inconferibilità, atta a prevenire il discredito, altrimenti derivante all’Amministrazione, dovuto all’affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà. In questo senso [...] l’art. 35 bis d.lgs. 165/2001, diversamente dalla disciplina di cui all’art. 3 d.lgs. 39/2013, preclude il conferimento di alcuni uffici o lo svolgimento di specifiche attività ed incarichi particolarmente esposti al rischio corruzione non solo a coloro che esercitano funzioni dirigenziali, ma anche a quanti vengano affidati meri compiti di segreteria ovvero funzioni direttive e non dirigenziali”.

La durata della preclusione

In riferimento alla durata delle preclusioni, ANAC ha ricordato le differenze con l’art. 3 d.lgs. 39/2013, che parametra il periodo dell’inconferibilità alla pena irrogata ed alla tipologia di sanzione accessoria interdittiva eventualmente comminata, fissando un limite temporale al dispiegarsi degli effetti.

Diversamente, il divieto posto dall’art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001 continua ad operare “fino a che non sia intervenuta, per il medesimo reato, una sentenza di assoluzione anche non definitiva, che abbia fatto venir meno la situazione impeditiva”.

Con specifico riferimento alla questione relativa alla sospensione condizionale della pena, occorre chiarire che l’Autorità ha sistematicamente ribadito la piena operatività del divieto stabilito dall’art. 3 d.lgs. n. 39/2013 anche nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna che ne costituisce il presupposto sospenda la pena ai sensi degli artt. 163 e ss. c.p.

Inconferibilità: non è una sanzione ma uno status oggettivo

In più occasioni A.N.AC. ha evidenziato come l’inconferibilità non rientri nella categoria delle misure sanzionatorie (penali o amministrative), ma attiene ad uno status soggettivo in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati contro la pubblica amministrazione previsti dal codice penale al capo I, titolo II, libro II. Essa assolve ad una funzione di prevenzione della corruzione e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione e, di conseguenza, non subisce gli effetti indicati dall’art. 166 c.p.

In tal caso l’attribuzione o il mantenimento degli incarichi specificamente elencati all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 39/2013 sono vietati per carenza di un requisito soggettivo, dovendosi rintracciare nella sentenza di condanna una prova dell’inidoneità alla spendita di poteri pubblici nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Detta circostanza è stata valutata ex ante dal legislatore in riferimento non solo alla disciplina dell’inconferibilità ma anche all’istituto della sospensione dalle cariche per gli amministratori di enti locali di cui al d.lgs. n. 235/2012.

Proprio per questo motivo, è vietata sine die l’assegnazione dei compiti e delle funzioni descritte dall’art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001 al dipendente condannato per i reati ivi previsti, anche se la pena risulti sospesa.

Inoltre, come statuito di recente dalla giurisprudenza amministrativa, la condanna non esclude l’assunzione in servizio presso una pubblica amministrazione, ma soltanto eventualmente l’assegnazione di specifiche funzioni incompatibili con la condanna penale, spettando all’amministrazione valutare, nel caso specifico, i presupposti per l‘assunzione e l’eventuale assegnazione di mansioni non incompatibili, in conformità con il quadro normativo di riferimento ed il proprio ordinamento.

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