Equo compenso: non vale nelle gare pubbliche

TAR: "La disciplina dell’equo compenso non trova applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti"

di Redazione tecnica - 11/05/2021

Quando si parla di "equo compenso" si entra in un campo minato fatto di buone intenzioni, leggi e sentenze spesso in completo disaccordo tra loro che lasciano ampi margini di discrezionalità.

L'equo compenso: cos'è e come si calcola

La prima volta che in Italia si è parlato di equo compenso è stato con il decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148 che con l'art. 19-quaterdecies ha previsto l'introduzione dell'art. 13-bis nella legge 31  dicembre  2012,  n. 247, in materia di equo compenso per le prestazioni  professionali degli avvocati.

L'articolo in questione ha fornito una definizione una definizione di equo compenso agganciato alla proporzionalità tra quantità e qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri determinati con Decreto del Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio Nazionale Forense.

Sulla scia di questa legge, molte Regioni hanno pubblicato le loro leggi sull'equo compenso per tutte le professioni, agganciando il compenso al Decreto 17 giugno 2016 (c.d. Decreto Parametri). Ma il concetto di equo compenso ha sempre stentato a decollare e ad essere applicato in maniera diffusa dalle pubbliche amministrazioni. E una nuova sentenza ne dimostra anche il motivo.

Equo compenso: nuovo intervento del TAR

Da registrare sull'argomento l'intervento del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia che con la sentenza 29 aprile 2021, n. 1071 ci fornisce nuovi spunti di riflessione sull'applicabilità della norma sull'equo compenso, soprattutto quando si parla di gare ad evidenza pubblica.

Nel nuovo intervento del TAR a proporre ricorso è un avvocato che ha partecipato ad una procedura comparativa per il conferimento del patrocinio legale della stazione appaltante (un Comune). Alla gara sono stati invitati a presentare un'offerta cinque professionisti, individuati tra quelli di comprovata esperienza nella materia del diritto amministrativo.

A seguito di presentazione delle offerte il Comune ha affidato l'incarico all'offerente che aveva presentato l'offerta più bassa che, secondo il ricorrente, sarebbe in contrasto con il principio dell'equo compenso previsto dagli articoli 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e 19-quaterdecies, comma 3, del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148.

Secondo il ricorrente, l’aggiudicazione del servizio legale per un compenso inferiore ai parametri ministeriali determinerebbe la violazione dei principi di efficienza e di proporzionalità e comporterebbe una prestazione non adeguata alla complessità dell’incarico professionale affidato.

Niente equo compenso per le procedure di gara

Diverso il giudizio del TAR che sull'argomento si è già espresso diverse altre volte.

Secondo i giudici di primo grado quella dell’equo compenso è una disciplina speciale di protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte. Disciplina che è imposta anche alle pubbliche amministrazioni.

Ma questa disciplina non trova applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare.

La tutela avanzata della debolezza del professionista, a fronte del potere di mercato del cliente forte, può essere reclamata ove il professionista sia posto in condizione di incidere sul contenuto della clausola relativa al compenso professionale. Nel caso di specie, ovvero di gara in cui l'amministrazione chiede ai professionisti concorrenti di formulare un’offerta economica per una prestazione professionale, il cui oggetto è stato dettagliatamente individuato mediante l’invio del ricorso e di tutte le informazioni relative al suo oggetto, si crea un confronto concorrenziale finalizzato all’individuazione del compenso professionale.

I concorrenti sono stati pertanto posti nella condizione di calcolare liberamente, secondo le dettagliate informazioni fornite dall’Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all’entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente.

Pertanto, il TAR non può esprimere considerazioni puntuali relative al grado di complessità e né reputare che il preventivo presentato non sia idoneo né a determinare un significativo squilibrio contrattuale a carico della stessa né ad esporre il Comune al rischio di un successivo intervento correttivo del giudice civile.

Equo compenso: ok alle prestazioni gratuite

Tra le altre cose, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere la compatibilità con la disciplina dell’equo compenso persino delle procedure di affidamento di incarichi professionali gratuiti. Imporre alle pubbliche amministrazioni l’applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe un’irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell’affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l’introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza.

La violazione del principio dell’equo compenso da parte delle pubbliche amministrazioni avviene nel caso in cui le stesse abbiano fissato nella lex specialis un compenso in misura fissa per la prestazione di servizi legali, quali, ad esempio, un compenso pari a zero per le cause di valore inferiore ad una determinata soglia o un compenso forfettario annuo non proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Per queste motivazioni il ricorso è stato respinto.

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