Lavori Superbonus mai eseguiti: cosa accade se il committente è in buona fede?

L’impresa esecutrice potrebbe essere chiamata a rispondere di truffa aggravata, esponendosi a importanti sequestri, mentre la situazione del beneficiario dipende da “dove si trova” il credito d’imposta

di Cristian Angeli - 28/03/2024

Sono proprietario di un immobile (mia seconda casa), sul quale sono stati realizzati lavori meritevoli del Superbonus con applicazione dello sconto in fattura da parte della ditta esecutrice. Purtroppo, a seguito di alcuni sondaggi, mi sono accorto che è presente un macroscopico problema. A mia totale insaputa, infatti, sono stati asseverati alcuni costi (per circa 40.000 euro) inerenti a lavorazioni che non sono mai state effettuate. Precisamente, si tratta di alcuni rinforzi che dovevano essere realizzati all'interno delle murature e in fondazione, lavori che risultano indicati nel computo metrico ma che non sono stati mai eseguiti. Il mio timore è che tale situazione configuri come “inesistente” il credito d’imposta Superbonus di cui sono beneficiario, e che ho ceduto all’impresa tramite lo sconto in fattura.

Vorrei sapere quali potrebbero essere le conseguenze connesse a una simile fattispecie, considerando che, per tutelarmi, intendo sporgere al più presto denuncia querela nei confronti del costruttore e dei tecnici.

L’esperto risponde

Quello della responsabilità in caso di lavori edilizi mai realmente eseguiti (o eseguiti in misura difforme da quella dichiarata) rappresenta uno dei profili più problematici in relazione alle detrazioni edilizie. In tema di Superbonus, infatti, le norme che lo regolano (DL 34/2020, art. 121, co. 5 e 6) addossano al committente, in quanto beneficiario della detrazione, l’obbligo di restituire l’importo corrispondente al credito d’imposta indebitamente fruito (maggiorato di interessi e sanzioni) nel caso sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che ne danno diritto. Il caso descritto dal gentile lettore, purtroppo, sembra proprio riconducibile all’assenza di requisiti. Infatti, sui 40.000 euro segnalati come costi di lavori mai realmente eseguiti, è stato calcolato un Superbonus poi ceduto con sconto in fattura, ma in relazione al quale, almeno parzialmente rispetto all’intera pratica, manca il primo dei requisiti essenziali per la detrazione: l’effettiva esecuzione delle opere.

Tuttavia, a fronte di una simile spiacevole situazione si apre un ventaglio di possibili esiti non del tutto prevedibili, soprattutto considerata l’intenzione del proprietario di sporgere denuncia. Nell’ambito di un procedimento giudiziario, infatti, tutto dipende dall’andamento delle indagini e dalle perizie che vengono svolte. L’impresa potrebbe essere perseguita per truffa, se risulterà che l’asseverazione è stata falsificata per trarre in inganno la pubblica amministrazione. Oltre ai profili di reato ascrivibili all’impresa di costruzioni, il gentile lettore ha comunque “veicolato” indebitamente risorse pubbliche (anche se, sembra di capire, in buona fede) e pertanto potrebbe essere interessato pure lui da procedimenti giudiziali.

L’ipotesi di truffa

Ipotizzando che l’impresa che ha realizzato i lavori abbia scelto di articolare un “inganno” indicando volutamente nell’asseverazione come eseguite le opere di rinforzo, denunciarla potrebbe comportare l’inizio di indagini per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). Tale reato, infatti, consiste nell’indurre in errore qualcuno (in questo caso la pubblica amministrazione) procurando a sé o ad altri profitti ingiusti con altrui danno.

Le prime conseguenze potrebbero consistere nel sequestro dei crediti d’imposta nella disponibilità dell’impresa, sempre che il giudice ritenga presente il fumus di reato, vale a dire la sussistenza di indizi di colpevolezza tali da rendere probabile che effettivamente sia stato commesso il reato anche prima della conclusione del procedimento. In particolare, il giudice potrebbe disporre dei rilievi tecnici sul posto, atti a verificare (nel caso presentato dal lettore) che i rinforzi non sono stati realizzati. Se l’impresa non possiede più i crediti ricevuti tramite sconto in fattura, avendoli ceduti a sua volta o utilizzati in compensazione delle proprie imposte dovute, il sequestro può interessare le somme di denaro da essa possedute in misura corrispondente a quella del credito. E non solo, perché nel caso in cui per l’autorità giudiziaria risulti impossibile aggredire le liquidità dell’azienda, sarà possibile procedere al sequestro dei suoi beni mobili o immobili.

Le conseguenze per il proprietario

Seguendo il solco tracciato da una serie di casistiche finora analizzate, si ricava che la strada della truffa potrebbe anche investire il proprietario stesso, soprattutto perché quella aggravata che qui si rappresenterebbe consiste in un reato perseguibile d’ufficio, e quindi starà al pubblico ministero scegliere se procedere o no in tal senso. Considerando l’analogia tra il caso presentato dal gentile lettore e altri seguiti dallo scrivente, è però chiaro che il proprietario non trae alcun “profitto” dall’aver ricevuto lo sconto in fattura su lavori inesistenti. Non bisogna però sottovalutare il fatto che egli ha comunque veicolato i crediti, seppure a sua insaputa, e per questo potrebbe finire nel calderone. Le possibilità, come detto, sono imprevedibili, ma se partissero delle indagini a suo carico, queste dovrebbero dare evidenza della sua buona fede.

L’esito più probabile, in casi simili, è invece quello di tipo puramente fiscale. Beneficiare di una detrazione “gonfiata”, infatti, comporta la necessità di “rimborsare” il Fisco, ma il fatto di non avere il credito tra le mani, perché ceduto con lo sconto in fattura, alleggerisce tale obbligo per il proprietario. Le conseguenze pratiche dell’aver beneficiato indebitamente di crediti d’imposta dipendono infatti da “che fine ha fatto” detto credito; se cioè, una volta ricevuto dall’impresa, è stato compensato, ceduto, o è fermo nel suo cassetto fiscale. Infatti, se il contribuente ha ceduto il credito (come ha fatto il lettore) “la violazione si configura solo nel momento in cui il credito ceduto è indebitamente utilizzato in compensazione da parte del cessionario, e cioè quando si concretizza il danno erariale” (interpello 440/2023). In altre parole, se il beneficiario di un bonus non è più nella disponibilità del relativo credito (poiché lo ha ceduto) e quest’ultimo è fermo nel cassetto fiscale del soggetto che l’ha ricevuto, non scatta alcun obbligo di restituzione, poiché il danno per le casse statali non si è ancora verificato. In caso contrario, il beneficiario dovrà riversare l’indebito bonus in più ceduto, al fine di “precostituire” il credito utilizzato dal cessionario, offrendo cioè una base economica per “rattoppare” l’ammanco nelle casse statali. Ciò non impedisce, però, di rivalersi sull’impresa anche in tal senso. Questo almeno in linea generale, perché ogni caso ha le sue particolarità, e per comprendere come gestirle è necessario esaminare tutta la pratica, sia dal punto di vista giuridico-fiscale che da quello tecnico-edilizio, affidandosi ai rispettivi esperti.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere, consulente in materia di edilizia agevolata e contenzioso
www.cristianangeli.it

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