Nuovo Codice dei Contratti pubblici: già obsoleto nel 2024?

Un'interessante analisi del Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, Carmine Volpe, apre uno scenario non così remoto: cosa potrebbe succedere se nel 2024 la UE dovesse aggiornare la direttiva sugli appalti?

di Redazione tecnica - 21/07/2023

È di particolare interesse, ma soprattutto pregnante, l’intervento di Carmine Volpe, Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, sul nuovo Codice dei Contratti Pubblici e pubblicato sul sito della Giustizia Amministrativa.

Nuovo Codice dei Contratti Pubblici: novità e aspetti critici

Come spiega Volpe, il nuovo Codice rappresenta la terza codificazione in 17 anni, che segue quella del 2006 e del 2016. Elaborato dalla Commissione speciale incaricata dal Governo, esso rappresenta la creazione di un nuovo codice e non una revisione di quello vigente. Come si legge nella Relazione illustrativa, “Si è scelto di redigere un codice che non rinvii a ulteriori provvedimenti attuativi e sia immediatamente “autoesecutivo”, consentendo da subito una piena conoscenza dell’intera disciplina da attuare.

Quindi un codice immediatamente applicabile, oltre che rispondente ad una duplice ratio:

  • semplificazione;
  • contrasto al fenomeno della così detta “burocrazia difensiva”, ritenuta causa dell’inerzia e dei ritardi dell’amministrazione.

Le novità nel Codice Appalti 2023

Tra le novità del codice, Volpe segnala:

  • la codificazione dei principi della materia, articolata in due titoli distinti: il Titolo I, dedicato ai principi generali veri e propri e il Titolo II che invece codifica principi comuni a tutti i Libri del codice in materia di campo di applicazione, di responsabile unico dell’intervento pubblico e di fasi della procedura di affidamento;
  • la reintroduzione dell’appalto integrato per i lavori senza i divieti previsti dal vecchio codice;
  • il ripristino della figura del “general contractor;
  • l’adozione delle procedure negoziate e degli affidamenti diretti nel sotto soglia
  • la semplificazione normativa del PPP;
  • l’introduzione del procedimento dedicato alla localizzazione delle opere di interesse statale;
  • la riduzione dei livelli di progettazione
  • la definizione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza
  • la spinta alla digitalizzazione, in linea con gli obiettivi programmati in sede di PNRR.
  • il riordino e la revisione delle competenze dell’ANAC;
  • la distinzione tra “proposta di aggiudicazione” e “aggiudicazione”.

Di particolare rilievo il passaggio del RUP, diventato responsabile “di progetto” e non di “procedimento”, con possibilità di prevedere la nomina di un “responsabile di fase”.

Spiega Volpe che si tratta di un chiarimento e di una semplificazione che ha l’effetto di perimetrare le responsabilità e, anche in questo caso, allontanare la così detta “paura della firma”. Difatti, l’art. 2, comma 3, del nuovo codice delimita con cura le responsabilità degli “attori” che intervengono nella realizzazione di un intervento pubblico laddove dispone: “Nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”.

Si cerca di superare la così detta burocrazia amministrativa e la paura della firma, limitando la responsabilità amministrativa e la nozione di colpa grave.

Di particolare importanza, secondo il Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, l’art. 36 del codice che mette ordine nel campo del termine entro il quale agire innanzi al giudice amministrativo: “Obiettivo che non era stato pienamente raggiunto dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato la quale, con una decisione sofferta (2 luglio 2020, n. 12) date le evidenti contraddizioni normative, aveva cercato di interpretare la disciplina del termine per impugnare nella vigenza del procedente codice”.

Le criticità nel nuovo Codice

Non mancano però alcune criticità. Come spiega Volpe, non è vero che il codice è del tutto self-executing. Alcune norme, infatti, rinviano a regolamenti ministeriali e a provvedimenti di altre amministrazioni (es. l’Agid e l’ANAC).

Stessa cosa per la disciplina transitoria: viene stabilita l’entrata in vigore all’1 aprile 2023 e l’efficacia dall’1 luglio 2023 - con una distinzione di non facile comprensione giuridica, dovuta forse soltanto a sottolineare il rispetto dei tempi previsti dal PNRR - ma alcune norme (quali, ad es. quelle sulla digitalizzazione) sono efficaci solo dall’1 gennaio 2024. Il che vuol dire che, in via transitoria, fino al 31 dicembre 2023 continueranno ad applicarsi alcune norme del d.lgs. n. 50/2016.

Un’altra particolarità del nuovo codice riguarda la gerarchia delle fonti, con l’inserimento negli allegati al codice, tutta una serie di disposizioni contenute in atti di rango diverso (regolamenti, decreti ministeriali, linee guida, eccetera). Quindi, ora, tutto il contenuto del codice è legge. Ma non per sempre: “Si ripetono numerose disposizioni di analogo contenuto, secondo cui si applicano le norme degli allegati ma, in sede di prima applicazione del codice, l’allegato stesso viene abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento ministeriale (adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della l. 23 agosto 1988, n. 400), che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice. Ossia quanto previsto dall’allegato ora è legge. Ma la legge dispone la sua abrogazione a decorrere dalla data di entrata in vigore di un regolamento ministeriale. Il quale rimane allegato al codice ma con forza e regime diversi: non più legge, ma regolamento. È la disintegrazione asincrona della natura giuridica del codice, che da legge diviene un misto di legge e regolamenti ministeriali, che saranno necessariamente adottati in tempi differenti e man mano, con diverse decorrenze, si inseriranno nello stesso ma con una natura diversa. Si va verso un corpus normativo misto, composto da legge + regolamenti de futuro”.

Altra criticità, la gerarchia dei principi: supremazia dei primi tre, in gran parte ripetizione e/o attuazione specifica dei principi generali dell’attività amministrativa, ma come classificare quelli da 5 a 11?  Se solo i primi tre principi servono per interpretare e applicare le disposizioni del codice, gli altri principi a cosa servono? Sottolinea Volpe che gli altri non sono principi ma specifiche discipline di dettaglio: “cosicché non si comprende la ragione per cui sono stati definiti come principi”.

Infine, si chiede Volpe, è stata vera semplificazione normativa? A vedere le dimensioni del codice, dei suoi allegati e delle sue disposizioni, non sembrerebbe.

“Ma forse della semplificazione ce ne dobbiamo dimenticare, in una materia di per sé complessa e che ha bisogno comunque di parziali adattamenti della normativa di provenienza europea alle peculiari esigenze interne di uno Stato membro; sempre nel rispetto del divieto del gold plating.

Il futuro del nuovo Codice: già obsoleto prima della fine del transitorio?

In conclusione, va riconosciuto innanzitutto l’enorme sforzo compiuto dal Consiglio di Stato che, in poco più di tre mesi, è riuscito ad elaborare un nuovo codice in una materia complessa, variegata, contrastata e multilivello come quella dei contratti pubblici. In un’opera che l’Istituto ha portato avanti insieme, e in sintonia, ad altre professionalità esterne al suo ambito.

Si riconosce la positività di elementi quali il “ritorno del potere” e il nuovo principio del risultato che, per il relativo esercizio, ne costituisce criterio prioritario.

Quest’ultimo rappresenta applicazione pratica della filosofia di base del PNRR. Occorre raggiungere gli obiettivi nei tempi previsti, pena la decadenza dai finanziamenti. E se l’amministrazione non è in grado di farlo con gli strumenti ordinari, si apprestano mezzi straordinari necessari alla realizzazione dei fini.

In conclusione, per Volpe, da un primo approccio alla nuova normativa sui contratti pubblici, due condizioni sembrano essenziali per l’effettivo realizzo della riforma del nuovo codice:

  • la completa implementazione dell’e-procurement nei tempi previsti (31 dicembre 2023);
  • l’effettiva qualificazione e la consistente riduzione del numero delle stazioni appaltanti (obiettivo fallito dal codice precedente).

Il tutto mentre all’orizzonte si profila la modifica delle direttive del 2014, dato l’intervallo temporale decennale di solito seguito dalle istituzioni europee nell’emanazione delle direttive nel settore dei contratti pubblici. E allora, conclude il presidente, era necessario un nuovo codice dei contratti pubblici che a breve (nel 2024) potrebbe divenire obsoleto, oppure sarebbe stato sufficiente un mero restyling dell’esistente?

Proprio per questo, non si può non pensare che il vero evento generatore del nuovo codice sia stata la spinta data dal PNRR e dal conseguente e necessario raggiungimento degli obiettivi condizionali dei previsti finanziamenti europei.

© Riproduzione riservata

Documenti Allegati