La ricerca scientifica e la sua deriva: dall’ordine razionale all’attuale caos

Riflessioni sulle scelte adottate per migliorare la nostra condizione sociale e sulla loro tossicità

di Pietro Francesco Nicolai - 06/01/2022

C’era una volta, non molto tempo fa, un allegro contadino, che viveva in un paese di montagna e curava i suoi campi con passione; in autunno seminava il grano che riposava sotto la neve invernale, in estate raccoglieva il frutti delle spighe dorate, come ricompensa del suo impegno e della sua trepidante attesa.  

Sulla collina, appena sopra al campo di grano, il contadino custodiva un alveare di api; in inverno le api se ne stavano tranquille, tutte ammucchiate al centro dell’alveare, per non disperdere energia e poter sopravvivere, consumando il miele e il polline che avevano accumulato nell’estate scorsa. Anche in inverno il contadino badava alle sue api, affinché stessero bene e non morissero di freddo, avendo cura di non disturbarle, assicurando il benessere ai suoi preziosi insetti. Il grano era sempre lì, in fondo alla valle, addormentato sotto la neve, in attesa del risveglio di primavera.

C’era una volta, e c’è ancora oggi, un anziano contadino, che ama raccontare il suo passato ai suoi nipoti, con i suoni e i colori della sua giovinezza: il verde dei pascoli, l’oro del grano, i fiori variopinti e il ronzio delle api.

C’era una volta, e oramai non c’è più, un uomo di scienza, che raccontava a tutti la sua storia, che parlava di mondi infiniti e di confini incommensurabili, dei motivi e dei limiti naturali dell’esistenza; raccontava la sua storia ricercando una sintesi per essere compreso da tutti e per fare in modo che tutti potessero farne tesoro, a conferma della sua funzione e per il progresso dell’intera umanità.

Apprendiamo ancora oggi, dai racconti dei popoli del passato e dai libri di storia, che gli uomini di cui vi ho parlato non provengono dal mondo delle fiabe; quegli uomini pensatori sono esistiti veramente e hanno contribuito alla crescita e al progresso della nostra specie.

Si racconta che dalle pianure della Mesopotamia, lungo le sponde dei fiumi Tigri ed Eufrate, si sviluppò la civiltà moderna; in quella lingua di terra fertile i nostri antenati iniziarono il loro cammino, organizzando l’agricoltura, addomesticando gli animali, facendo in modo che le loro comunità potessero andare oltre, al di là di quei campi paludosi, lontano da un destino che per loro era già scritto, lontano dai tormenti di una natura generosa e al contempo ostile, una natura che donava vita chiedendo in sacrificio il loro sangue.

In quella lingua fertile di idee fu inventata la scrittura, per esigenze di comunicazione, per contare, classificare e registrare i beni di scambio; sempre lì furono inventati anche i numeri per dare un’equa misura al valore delle cose materiali. 

Dalla Mesopotamia l’uomo si è spostato dappertutto; millenni di storia raccontano la nostra evoluzione, un modello sociale spontaneo che ha funzionato, che ci ha consentito di sopravvivere grazie al messaggio fertile che conteneva nel suo seme, grazie alla curiosità dell’uomo, alla ricerca di un modello di comunicazione che racchiudeva la sintesi logica del suo volere, che potesse essere compreso nei nuovi mondi che andava via via conquistando.

Gli anni del secolo scorso, e anche quelli del secolo precedente, rappresentano l’apice della ricerca scientifica, nei vari campi del sapere umano. L’esplosione della conoscenza potremmo simbolicamente rappresentarla con la teoria astrofisica del Big Bang: una massa rarefatta di energia mentale che, dalle periferie del mondo, si spostò verso un unico punto di partenza; tale energia si incrementò sempre di più, assumendo una consistenza significativa, fino al punto dell’esplosione, fino al punto in cui la mente trovò la sua giusta sintesi per essere proiettata nel nostro universo.

Da dove veniamo?

Tra gli uomini di un tempo, che oggi non ci sono più, c’era un uomo curioso, di nome Isaac Newton, che faceva il pensatore, che, studiando assai, scrisse molte pagine della storia della filosofia, della matematica, della fisica, dell’astronomia e di tutte le “cose visibili e invisibili” (questo richiamo alla religione cattolica non ha alcuno scopo dissacratorio, serve solamente per sottolineare l’unicità di  Isaac Newton nell’ambito della ricerca scientifica, e per ringraziarlo per il bene che egli ha donato all’intera umanità); dobbiamo ad Isaac Newton la scoperta della legge matematica che regola la mutua interazione dei corpi celesti dell’universo; la “Legge di gravitazione universale” venne divulgata nell’anno 1687, con la pubblicazione dell’opera “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica”,  che può essere considerata come il primo trattato della fisica moderna, nel quale Newton rifonde, con semplicità ed eleganza, la dottrina eliocentrica copernicana integrandola con le osservazioni dell’astronomia contemporanea.

La legge di gravitazione universale, comunemente definita “Legge di Newton”, afferma che qualsiasi corpo, che appartiene all’universo, attrae ogni altro corpo con una forza - di attrazione gravitazionale - direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. La forza attrattiva si esercita tra una qualunque coppia di corpi dotati di massa, posti ad una determinata distanza tra di loro. 

La relazione matematica che descrive la legge di Newton, pur scaturendo da osservazioni e studi estremamente complessi, è stata sapientemente condensata in pochi elementi; la formula che determina la forza di attrazione gravitazionale (F) è rappresentata da una frazione in cui al numeratore è presente il prodotto delle masse dei due corpi (m1xm2) e la “Costante gravitazionale” (G), e al denominatore il quadrato della loro distanza (r^2). La legge di Newton è valida ovunque, sia nel nostro pianeta, sia nel sistema solare, sia nei sistemi stellari e nelle galassie a noi lontane miliardi di anni luce.

La medesima forma che caratterizza la legge di Newton la ritroviamo anche nella “Legge di Coulomb”, che descrive la forza che si esercita in una coppia di cariche elettriche; la forza elettrostatica (F) è direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche (q1xq2) e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza (r^2). Nella legge di Coulomb, in luogo della costante gravitazionale, che caratterizza la legge di Newton, viene introdotta una costante di proporzionalità (k), detta costante di Coulomb.

È sorprendente notare l’analogia tra le due leggi - quella di Newton e quella di Coulomb - nei diversi ambiti dei fenomeni fisici.

Isaac Newton - insieme ad un altro illustre matematico, Gottfried Leibniz -  fu anche il padre del “calcolo infinitesimale”, che è alla base dei concetti di “Derivata” e di “Integrale”. Il contributo di Newton è stato soprattutto quello di trovare un metodo che facilitasse le operazioni di calcolo, come egli stesso affermò: “il mio metodo è una breve spiegazione piuttosto che un’accurata dimostrazione”. Da tale affermazione, nonché dalla semplicità della sua “Formula” matematica, possiamo oggi comprendere quale sia stato lo sforzo compiuto dal Genio universale per raggiungere una tale sintesi, per far si che le relazioni complesse, che conducono a quella sintesi, rimanessero relegate nelle “bozze” di dimostrazione, il tutto per non disturbare la purezza delle sue scoperte.

Più recentemente, un altro illustre pensatore, Albert Einstein, applicando le nozioni matematiche del passato, tra le quali anche quelle sviluppate da Newton, elaborò la “Teoria della relatività”.

Nel 1905, Einstein pubblicò un importante articolo scientifico – “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento” – in cui affermò la validità della sua teoria, cosiddetta “Teoria della relatività ristretta”, nell’intero universo, ovvero in tutto ciò che era osservabile dall’uomo, dal singolo atomo alle stelle delle galassie più lontane.

Einstein, così come fece anche Newton, condensò le sue ricerche in una sintesi comprensibile e universalmente riconosciuta. E=mxc^2 è l’equazione più nota nell’ambito della teoria della relatività ristretta, e stabilisce la relazione che sussiste tra energia e massa: l’energia (E) è pari al prodotto tra la massa  (m) e il quadrato della velocità della luce (c); materia ed energia sono grandezze tra loro equivalenti, l’energia impalpabile può trasformarsi in materia concreta e la materia può trasformarsi in energia.

Dopo dieci anni di studi, nel 1915, Einstein, completando ed ampliando le ricerche di Newton,  elaborò la cosiddetta “Teoria della relatività generale”, introducendo la famosa “Equazione di campo”, rappresentata da un’equazione differenziale alle derivate parziali non lineare; l’equazione di campo, pur essendo una forma matematicamente complessa, rappresenta anch’essa una sintesi fortemente ricercata da Einstein, che spiega, in forma geniale e relativamente semplice, i fenomeni fisici che sono alla base dell’interazione gravitazionale.

Einstein continuò i suoi studi per tutta la vita, con tenacia e spirito di curiosità, alla ricerca di una legge universale  - una  “Teoria del Tutto” - che potesse definitivamente spiegare qualsiasi fenomeno fisico dell’universo, dalle particelle sub-atomiche alle galassie più lontane, il filo d’unione tra  l’astrofisica e la meccanica quantistica. Gli appunti di Einstein sono ancora oggetto di ricerca scientifica, al fine di poterne decifrare il significato e carpirne i segreti.

Le scoperte di Newton e di Einstein si dimostrano ancora valide e rappresentano un esempio da seguire per fornire una soluzione agli infiniti interrogativi che dobbiamo ancora porci, per colmare la sete di conoscenza che da sempre caratterizza l’uomo e, in definitiva, per agevolare la nostra vita.

Dove stiamo andando?

Sono passati all’incirca quattordici milioni di anni dalla nascita dell’universo, da quel primo Bing Bang - quello cosmico - da cui sembra che tutto abbia avuto origine; sono passati più di cinquemila anni dall’apparente secondo Bing Bang - quello terreste,  da quelle civiltà antiche della “Mezzaluna Fertile” che hanno consentito la nascita e lo sviluppo delle società modernamente organizzate.

Se intendiamo per società moderna quella società fondata sulla reciproca interazione, sullo scambio di esperienze e di conoscenze, sulla mutua collaborazione e sul riconoscimento dei rispettivi ruoli, sulla coscienza e sull’umiltà individuale, per cercare di migliorare le nostre vite nel rispetto delle naturali diversità e nella piena coscienza dei nostri limiti esistenziali, se a fondamento della società moderna poniamo questi elementi, non possiamo fare altro che riscontrare una anomalia di fondo: la risposta ai vari “Perché”, è oggi comandata dal “Caos”, da quel “Disordine universale della materia”, di mitologica memoria, che ci riporta all’uomo primitivo, ai comportamenti individuali di risposta all’istinto di sopravvivenza, ad un “tiriamo a campare”, ad un bizzarro menefreghismo che calpesta ogni cosa, che rinnega la storia dell’uomo, la funzione della sua esistenza e il senso della sua morale.

Oggi, per la mia esperienza di ingegnere, non posso fare altro che constatare che siamo pervasi da una pazzia collettiva. Ancora prima dell’attuale emergenza sanitaria, il nostro sistema politico, insieme alla dirigenza del nostro sistema istituzionale, è sprofondato in uno stato di abulia, non riesce più a seguire la linea della ragione, incapace di pensare, di determinare rapporti logici, di formulare giudizi e dare delle risposte sensate alle esigenze della nostra società.

Per fare un esempio, le nostre Norme Tecniche per le Costruzioni – che tanto “nostre” non sono, in quanto tradotte quasi letteralmente dalle norme europee (eurocodici), che sono per lo più di estrazione tedesca – sono costituite da una struttura principale che, per aspetti tecnici specifici, rimanda, a sua volta, alle norme tecniche di settore (alle norme UNI-EN, norme ISO, ecc.), che divengono così anch’esse cogenti, ossia coattivamente obbligatorie. Siamo di fronte ad un ginepraio di nome obbligatorie, che convivono insieme alle altre “sterpaglie” del nostro sistema legislativo. Abbiamo cosi a disposizione un “minestrone” di norme, imposte con forza, con all’interno degli ingredienti mal digeribili: nelle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni, e nelle specifiche norme di settore, sono presenti estesi formuloni per la verifica di elementi strutturali anche semplici, tralasciando quel senso di “purezza” che si poteva riscontrare nelle formule canoniche della scienza e della tecnica delle costruzioni, che erano chiaramente riconoscibili nelle Norme Tecniche previgenti una ventina di anni fa.

Per la compilazione delle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni, alla richiesta di partecipazione italiana, il burocrate-ricercatore tedesco probabilmente ordinò, « Nein!», il politico tedesco ribadì con prepotenza il rifiuto e noi chinammo la testa ed ubbidimmo! La storia è andata ahimè così, e noi non comprendiamo neanche il perché.

In definitiva, le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni sono ancora acerbe, per la mancanza di quella chiara sintesi che ne dovrebbe agevolare l’applicazione, per una carenza di flessibilità, scaturita dall’obbligatorietà di tutta la normativa tecnica complementare e secondaria,  e per la mancanza di uno spazio concreto di partecipazione individuale (libera adozione di modelli e criteri di calcolo comunque validi); i procedimenti di calcolo, nonostante l’ausilio dei sistemi di elaborazione elettronica, risentono di queste carenze, e sono spesso fonte di errori grossolani e di bizzarre interpretazioni.

Occorre inoltre tener conto anche dei limiti intrinseci dei modelli teorici che sono alla base dei calcoli e delle relative approssimazioni; gli elementi da considerare, per ritenere validi i modelli proposti e i rispettivi criteri di calcolo, sono i medesimi di quelli adottati nelle previgenti normative, non essendo stata implementata una ricerca costruttiva di modelli alternativi.  

In altre parole, nella formulazione delle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni, seppure qualcosa di buono è stato comunque fatto, rimescolando una ricerca da tempo stagnante, non si è ritenuto necessario sforzarsi a pensare un po’ di più, o non si è stati capaci di farlo,  prima di sfornare l’indigesto minestrone europeo.

Questo rumore di fondo, creato dal caos di ritorno, lo possiamo riscontrare anche in altri ambiti della nostra professione.

Il sistema economico, che, nelle intenzioni dei nostri politici ed amministratori pubblici, avrebbe dovuto risollevare la nostra condizione sociale, fa leva sulla capacità di incremento della ricchezza nazionale e sulla riduzione del debito prodotta dal settore edilizio; tale settore, e tutto l’indotto ad esso correlato, è ritenuto da sempre un volano economico di primaria importanza e rappresenta, senza alcun dubbio, uno dei comparti capaci di produrre ricchezza e di trainare il nostro Paese al di fuori dell’attuale crisi.

Se, da una parte, le scelte politiche intraprese per risollevare l’economia del nostro Paese sono scontate, in quanto virtualmente efficaci, nella pratica attuazione, e nella realtà dei fatti, le buone intenzioni sono state tradotte in una confusione generale, in una corsa all’accaparramento del messaggio politico “Tutto Gratis!” che ha calpestato ogni cosa; qualsiasi ostacolo è stato “rimosso” con note di chiarimento ed interpelli puntuali dell’Agenzia delle Entrate, con FAQ dell’ENEA, con norme e circolari del MISE, con articoli di stampa ed interviste varie. Tutto ciò è stato deliberatamente assunto a rango di legge, insieme a tutte le norme urbanistiche ed edilizie, agli anacronistici prezzari regionali, che valgono nella sola regione in cui è situata l’opera e non valgono nelle regioni ad essa confinanti, e al prezzario “bolscevico” della casa editrice privata DEI, che invece vale da nord a sud, da Bolzano a Ragusa, pur non essendo stato approvato e validato da alcuna commissione tecnica o politica.

Le norme di “semplificazione” hanno aggiunto ulteriori adempimenti tecnico-amministrativi, e la storia continua ancora: un divenire di norme e disposizioni varie approvate dall’oggi al domani, in barba al criterio di programmazione e ai naturali tempi di metabolizzazione. Tutto ciò contribuisce ad amplificare il senso di frustrazione e di incertezza che ha pervaso noi tecnici professionisti, che dobbiamo cercare di portare avanti il nostro lavoro remando contro corrente, per trovare il capo e la coda in un gomitolo di lana caprina, alla ricerca di un miraggio di luce nel mare torbido di uno Stato orbo ed ingiusto.

Il cosiddetto “Superbonus” – con i suoi modelli teorici per la verifica dell’efficientamento energetico e della riduzione del rischio sismico –  rappresenta tutto questo, e tanto altro di più: uno “scacco matto”, uno “schiaffo” vigliacco dello Stato verso il suo popolo, l’ostinata volontà di imporre una ideologia politica fine a se stessa, una mancanza di volontà per la ricerca di un accordo comune, di testi normativi più chiari, più logici, più sintetici, più aderenti alla realtà, un atto di strafottenza nei confronti del cittadino, un’apatica e scellerata partecipazione alla gestione delle nostre risorse. 

E così, nell’indifferenza generale dei nostri governanti, e anche di noi cittadini, un’occasione di rilancio (intervento nel settore edilizio) si è trasformata in una sprezzante tortura, in una tribolazione quotidiana, con l’esplicito ricatto dei futuri controlli multipli; si tratta, in sintesi, di un “tiriamo a campare” con le nostre risorse residue, un atto di cannibalismo in cui l’antropofago è lo Stato, che si alimenta con la nostra carne e con in nostro sangue, senza alcun rimorso e senza alcuna pietà.

Conclusioni

Queste considerazioni, seppure di natura personale, rappresentano la realtà attuale. Se è vero, così come affermava il filosofo Giovan Battista Vico, che il cammino dell’umanità è rappresentato da “corsi e ricorsi storici”, la sua teoria si dimostra oggi valida. Il celebre filosofo affermava che, così come l’uomo si evolve, dall’infanzia alla maturità, da uno stato selvaggio, dominato dall’astrattezza, verso uno stato razionale, dominato dalla ragione, per poi decadere nello stato primitivo, così anche le nazioni si evolvono dalla barbarie iniziale verso uno stato di pura razionalità per poi corrompersi e decadere di nuovo verso uno stato di barbarie. Sia il singolo uomo che le sue forme di aggregazione sociale – le nazioni – fluttuano nel loro stato di evoluzione ed involuzione, ripetendo ciclicamente questa dinamica di trasformazione.

Non potendo verificare, a causa del tempo limitato della nostra esistenza, la piena validità della teoria di Giovan Battista Vico, possiamo comunque osservare questa tendenza ripercorrendo la nostra storia, constatando che l’attuale modello di ricerca, sia scientifica che sociale, elimina quasi del tutto l’esperienza, caratteristica questa di un’età avanzata, sacrifica l’anziano a favore del giovane; per dimostrare di essere moderno e Smart si reagisce d’impulso, calpestando millenni di storia e di sacrifici, gettando il “vecchio” con la sua inutile zavorra.

Oggi questo concetto lo vediamo applicato nella struttura organizzativa delle nostre istituzioni pubbliche; da molto tempo non si opera più in un affiancamento tra giovani e meno giovani, per mettere in campo la saggezza e l’esperienza acquisita insieme all’energia e all’ambizione di crescita. Il vecchio saggio viene scalzato con forza ed emergono velleità di supremazia, validate solamente da un 110 e lode, dal superamento di un concorso a quiz e dall’essere Smart. La mancanza assoluta di esperienza, unita al potere conferito per contratto, rendono i dirigenti e i funzionari pubblici dei perfetti zombie, che vanno sempre in avanti nel filo diritto tracciato nella loro mente, senza badare a dove mettono i piedi, in assenza di rimpianti e di sensi di colpa. Si sfornano, così, normative, regolamenti e pareri, in netta discontinuità con il passato ancora presente (normative su normative tutt’ora vigenti) e in conflitto con il senso logico e con il fine ultimo di tutto ciò, che dovrebbe essere quello di favorire la nostra esistenza, con un razionale approccio di crescita, che sia veramente sostenibile.

Abbiamo oggi abbandonato la via maestra, quella tracciata dai nostri antenati accampati lungo i fiumi,  quella ripresa da Newton e, molti anni dopo, anche da Einstein.

Abbiamo abbandonato la via della libertà, quella dei sogni impossibili, deviando verso il deserto, nella sabbia scivolosa che spegne le nostre energie, alla rincorsa lenta di un miraggio che non potrà mai dissetarci.

Cera una volta un contadino, con le sue api e il suo campo di grano, con i verdi pascoli e le salde colline; oltre quelle colline c’era un uomo di scienza, che guardando il cielo pensò di raggiungerlo, di andare più in alto del suo mondo e delle sue idee, per poi tornare a terra e raccontare la sua avventura. Il contadino osservò con magnificenza un aereo volare alto nel cielo, rivolse uno sguardo fugace alle sue api, fece un sospiro e comprese il perché.

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