Superbonus 110%: sanzioni al 200% fino al 2033 tra crediti inesistenti e non spettanti

Due recenti sentenze della Cassazione hanno chiarito (si fa per dire) il quadro sanzionatorio connesso ai bonus edilizi

di Cristian Angeli - 04/12/2021

Ci sono leggi che marcano un’epoca. Anzi di più, che segnano un vero e proprio passaggio epocale. Nel senso che c’è un “prima” e un “dopo”, nettamente distinti. Pensiamo alla legge 765 del 6 agosto 1967, la cosiddetta legge “Ponte”.

Nella storia dell’edilizia è legittimo dire “ante 67” e ci si capisce al volo.

Prima del ’67 si poteva costruire liberamente fuori dai centri abitati, senza bisogno della “licenza”, era più semplice. Dopo è diventato obbligatorio il permesso comunale e così è cambiato tutto, con conseguenze che si ripercuotono ancora oggi.

Una riflessione del genere può essere fatta di fronte al Decreto ministeriale 34/2020, il decreto rilancio, quello che ha introdotto il Superbonus.

I tecnici futuri, o noi stessi, tra un po' di anni, forse, potremo dire ante 2020, senza altre specificazioni, e tutti sapranno che ci stiamo riferendo “a prima” della manovra edilizia più miliardaria di sempre e anche più incasinata, che ha trasformato – credo in modo irreversibile – l’intera filiera delle costruzioni, migliorando un po' di edifici e cambiando radicalmente, questo sì, le regole che stanno alla base dei progetti e dei lavori.

Ma gli effetti concreti del decreto rilancio, quelli che ne faranno parlare a lungo, non riguardano solo le costruzioni. Terrà banco per un bel po' anche il tema degli accertamenti fiscali, che potranno partire persino dopo 8 anni dalla data di compensazione dei crediti, con strascichi giudiziari di cui non so se vedremo la fine.

Un tema di grande attualità ora che al Fisco si è accesa la spia del rischio truffe avendo scovato, così han detto, 900 milioni di crediti inesistenti, riferiti a interventi edilizi non effettuati o fittiziamente realizzati in favore di persone inconsapevoli. Ancora più di attualità dopo che Draghi ha risposto alla denuncia del Direttore Ruffini con l’emanazione del decreto antifrodi, il n.157 del 2021, che ha gettato (ancora di più) nel caos l’intero mondo dell’edilizia.

Tutti noi che ci occupiamo di Superbonus abbiamo imparato che bisogna essere attenti a questi temi. Anche se siamo “solo” dei tecnici asseveratori (prima eravamo normali ingegneri, architetti, geometri), ora dobbiamo allargare i nostri orizzonti, avendo capito che per districarsi serve un approccio multidisciplinare, che tenga conto degli aspetti catastali, fiscali, tributari, strutturali, energetici, urbanistici, civilistici. E chi più ne ha più ne metta.

Ma non solo chi si occupa del 110% deve essere attento. Tutti i bonus fiscali infatti, e quindi anche quelli ordinari, sono soggetti al medesimo quadro sanzionatorio, molto (molto) complesso, che si fonda su un decreto consolidato, risalente addirittura al 1997 (il D.Lgsl. 471/1997), ben più anziano quindi del decreto rilancio.

È per questi motivi che, sconfinando un po' dal solito ambito ingegneristico, ho ritenuto utile scrivere un articolo che prova a far luce sul tema delicatissimo delle sanzioni, senza nessuna pretesa di esaustività sotto il profilo giuridico, tantomeno sotto quello fiscale e tributario.

Sanzioni che, è giusto ricordarlo, non riguarderanno mai in modo diretto i professionisti e nemmeno le imprese, tranne nei casi residuali (che siano residuali lo si spera) del cosiddetto concorso nell’illecito. Magra consolazione perché riguarderanno invece i beneficiari delle detrazioni, ovvero i nostri clienti che poi, inevitabilmente, tireranno in ballo tutta la catena dei soggetti corresponsabili (anche noi), aprendo contenziosi lunghi, costosi e dall’esito incerto.

I crediti d’imposta e le violazioni

Cominciamo dal concetto di credito d’imposta. È una sorta di “sconto” sui tributi, che i contribuenti (solo quelli che ne hanno diritto ovviamente e quelli che lo sanno) possono trasformare in moneta liquida cedendolo a istituti di credito o a intermediari finanziari.

Un meccanismo raffinato che, nel caso del Superbonus, ha avuto l’effetto di un elettroshock per l’economia italiana. In caso di accertamenti, però, può essere messo in discussione dall’amministrazione finanziaria, per rilievi sostanziali o formali.

Lo prevede espressamente il decreto rilancio, al comma 5 dell’art.121 del DM34/2020, che recita “Qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante”.

Non tutti i casi sono sanzionati, certo. Sempre il decreto rilancio, al comma 5-bis dell’art.119 recita ancora “Le violazioni meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo non comportano la decadenza delle agevolazioni fiscali limitatamente alla irregolarità od omissione riscontrata”.

Esiste poi la possibilità del ravvedimento operoso di cui al D.Lgs. 472/1997, che consente la regolarizzazione spontanea da parte di quei contribuenti che ravvisano di aver compiuto delle irregolarità. Ma devono farlo prima che la problematica venga intercettata dal Fisco.

Ora c’è anche il recentissimo provvedimento 1 dicembre 2021, prot. 340450, dell’Agenzia delle Entrate, che prevede controlli preventivi sulle cessioni dei crediti maturati dagli interventi di superbonus e dagli altri bonus edilizi, finalizzati a stroncare sul nascere eventuali situazioni a rischio.

Insomma, non è proprio semplicissimo incorrere nelle violazioni, quantomeno sotto il profilo formale e fiscale. Più facile invece commettere errori su base tecnica, che possono generare crediti d’imposta “inesistenti” oppure “non spettanti”.

Crediti d’imposta “inesistenti”

I crediti d’imposta inesistenti rappresentano la fattispecie più insidiosa e, al tempo stesso, più grave, che si manifesta al verificarsi di due condizioni contemporanee:

  1. Deve esserci un illecito consistente nella mancanza di “uno o più” dei presupposti costitutivi del credito fiscale
  2. La violazione, ovvero l’inesistenza, di “uno o più” degli elementi costitutivi del credito, non deve essere rilevabile in sede di controlli automatizzati o formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973 e dall’art. 54-bis del DPR 633/1972.

Si tratta di una fattispecie descritta dall’art.13 comma 5 del D.Lgsl. 471/1997: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute e' applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.

La Corte di Cassazione, con le sentenze 34443/4/5 del 2021, ha fatto un po' di chiarezza sul quadro sanzionatorio connesso ai crediti d’imposta “inesistenti” o “non spettanti”. Lo ha fatto spiegando, con riferimento a tre casi pratici, che cosa si deve intendere per mancanza del “presupposto costitutivo”: per la Cassazione deve intendersi che “il credito non è reale”. Sono queste le testuali parole utilizzate, sintetiche ma efficaci.

Qualora il credito fiscale sia inesistente la sanzione applicata al contribuente infedele (o presunto tale), va da un minimo del 100 a un massimo del 200% del credito fiscale portato in detrazione. Una bella botta, a cui deve aggiungersi la restituzione del capitale e gli interessi. Tradotto in pratica significa che, ad esempio, chi ha fatto 96.000euro di lavori antisismici (in assenza dei requisiti) può trovarsi a doverne dare indietro circa 300.000, comprendendo gli interessi che, a distanza di anni, sono tutt’altro che trascurabili.

In merito alle tempistiche il D.L. n. 185 del 1998, art. 27, al comma 16, prevede che "(…) l'atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo".

La ratio che, nel caso dei crediti d’imposta inesistenti, determina queste sanzioni così severe e un termine decadenziale così lungo discende dall’attività di indagine e di approfondimento che l’Amministrazione Finanziaria deve compiere per “scovare” questa tipologia di violazioni.

Purtroppo, laddove vengano rilevati crediti inesistenti è facile che vi siano anche conseguenze di natura penale per i contribuenti e, probabilmente, anche per i soggetti (fornitori e professionisti) che hanno rilasciato attestazioni infedeli.

Crediti d’imposta “non spettanti”

Diverso è il caso dei crediti d’imposta “non spettanti”. Questa fattispecie, meno grave della precedente, può concretizzarsi nel momento in cui il Fisco, nell’ambito dei controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973, rileva in automatico una incongruenza nei dati forniti dal contribuente rispetto a quelli contenuti nelle banche dati. L’illecito può anche concretizzarsi nella mancanza di “uno o più” dei presupposti costitutivi del credito, quindi può essere anche un fatto importante, ma se viene rilevato d’ufficio esso configura comunque un credito “non spettante” e non quindi “inesistente”.

Si tratta, in generale, di una fattispecie descritta dall’art.13 comma 4 del D.Lgsl. 471/1997: “Nel caso di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l'applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.

In questo caso il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, prevede che “(…) gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione".

Anche in questo caso, oltre alla sanzione che, ripeto, può arrivare al 30%, il beneficiario dovrà restituire l’importo indebitamente fruito e gli interessi maturati.

Quindi la stessa persona di prima che ha fatto 96.000euro di lavori antisismici (commettendo errori formali riscontrati dall’AdE in fase di controllo automatico) può trovarsi a doverne dare indietro circa 125.000, oltre agli interessi.

Sanzione ridotta, ma i problemi conseguenti restano comunque grandi, perché inevitabilmente nascerà un contenzioso tra committente, professionisti asseveratori, imprese, fornitori, assicurazioni e vistatori della conformità.

Per fortuna, a parere dello scrivente, buona parte dei crediti d’imposta non spettanti verrà sterilizzata dal Fisco attuando i controlli previsti dal freschissimo provvedimento del 1 dicembre 2021, il num.340450.

Esempi di crediti d’imposta “inesistenti”

Fin qui questioni giuridiche, piene di sfumature e di rimandi normativi, che ho cercato di sintetizzare al massimo perché sono difficili da comprendere. Tuttavia il concetto di fondo lo abbiamo capito.

Gli eventuali “sbagli” che si possono commettere nelle pratiche di Superbonus, tranne quelli “meramente formali”, insieme a quelli riparati spontaneamente e quelli intercettati sul nascere dall’Agenzia delle Entrate, generano crediti fiscali classificabili in due categorie molto differenziate e soggette a un quadro sanzionatorio blando in un caso e severo in un altro.

Il problema è capire quando si ricade nell’una o nell’altra fattispecie e non è semplice fare degli esempi perché le casistiche sono davvero infinite.

Ripetiamo. Un credito d’imposta è inesistente quando si verificano insieme due condizioni:

  1. mancano “uno o più” dei presupposti costitutivi del credito
  2. tali mancanze non devono essere rilevabili in sede di controlli automatizzati.

Per tradurre in pratica tutto ciò bisogna chiedersi quale sia il presupposto costitutivo del credito derivante dal Sismabonus o dall’Ecobonus. Penso saremo tutti d’accordo che esso coincide rispettivamente con l’aumento della sicurezza sismica e con la riduzione dei consumi energetici.   

Vediamo dunque un esempio concreto riferito al Sisma, tralasciando il caso, ovvio, dei crediti derivanti da lavori non eseguiti.

Riferendoci quindi a un intervento edilizio che, a seguito di controlli, viene giudicato inadeguato per la riduzione del rischio sismico. In tal caso manca di sicuro uno dei presupposti costitutivi che stanno alla base del Superbonus. E questa circostanza non può essere rilevata dal Fisco in sede di controlli automatizzati, quindi siamo certamente di fronte a un credito inesistente.

Non è un esempio qualunque quello che ho fatto. È un esempio onnicomprensivo, nel quale si può ricadere per una miriade di sotto casi scatenanti. Pensiamo solo a cosa succede se non si identifica correttamente l’unità strutturale… Si rischia di fare un progetto perfetto e dei lavori perfetti ma riferiti a una struttura diversa da quella che dovrebbe essere e quindi, rifacendo i calcoli, potrebbe emergere una definizione della classe di rischio non veritiera, poiché migliorata sulla parte di edificio presa in esame ma non su quella restante. Va da se che cambiando l’oggetto dell’analisi (l’unità strutturale), i parametri che identificano la classe di rischio potrebbero addirittura peggiorare a seguito degli interventi previsti e spesati col 110%.

E ciò sfugge a qualunque software dell’Agenzia delle Entrate, perché ci vuole come minimo un altro ingegnere per capirlo, che entri nel merito tecnico della questione.

Quindi ecco che si configura un credito inesistente, con sanzioni ai massimi livelli e 8 anni di tempo per essere messo in luce.

Esempio di credito d’imposta “non spettante”

Qui ci sta un po' tutto.

Casi tipici possono essere quelli del tecnico che sbaglia a fare il computo metrico, oppure che utilizza un prezzario non ammesso, oppure che detrae al 110% dei lavori che dovevano essere detratti al 50 oppure che considera parti comuni di un edificio condominiale quelle che in realtà non lo sono.

Sta qui dentro addirittura il caso del contribuente che fa i lavori sulla casa che non è sua. È un fatto grave, d’accordo, ma è facilmente riscontrabile dall’AdE in sede di verifica formale dei requisiti soggettivi, poiché risulterà che le fatture sono state pagate da Caio ma l’edificio è di proprietà di Sempronio.

Poi ci sono i casi dubbi, ovviamente. Le famose zone grigie, che sono molto ampie, ovviamente.

Tempistiche

A volte, si dice, “non so cosa farò domani”… Figurarsi dover prefigurare le conseguenze di un illecito commesso oggi e contestato fra 5, oppure fra 8 anni, oppure come dicono alcuni fra 5+8 anni, dove 5 è la durata del frazionamento della detrazione e 8 il termine decadenziale dell’AdE. In assenza di prassi specifica sui bonus edilizi è difficile prevedere cosa accadrà. Quel che è certo è che si tratta di una materia complessa anche da sottoporre a controllo e quindi non ci sarebbe da stupirsi se l’orientamento giurisprudenziale sarà tutelante nei confronti dello Stato.

Anno più o anno meno, quando inizieranno ad arrivare le cartelle di recupero fiscale è ovvio che si apriranno contenziosi in sede civile e denunce, con strascichi giudiziari che si chiuderanno con i tempi lumaca della giustizia italiana.

Stiamo parlando quindi di problemi che, tra una cosa e un’altra, potranno durare anche un ventennio.

Consideriamo ad esempio un intervento di Superbonus 110 (ecobonus o sismabonus) compiuto nel 2020. I decreti non sono chiari sui termini concessi all’amministrazione finanziaria per esercitare l’azione di accertamento, ovvero se i 5 oppure gli 8 anni, decorrano dal primo o dall’ultimo anno di detrazione. Se dovesse prevalere la linea dura si potrebbe arrivare anche al 2030 nel caso di crediti non spettanti (perché 5 sono gli anni in cui viene spalmata la detrazione e 4 quelli a disposizione dell’Agenzia delle Entrate), mentre si allungherebbe al 2033 (2020+5+8) nel caso di contestazione di crediti inesistenti. Da queste date, più o meno, partiranno le citazioni in giudizio dei professionisti per il ristoro dei danni e le denunce in sede penale, con le tempistiche conseguenti.

Uno scenario che va al di sopra e al di fuori della logica che governa la nostra visione delle cose.

La conclusione? È sempre la stessa.

Bisogna fare le cose per bene, muovendosi con i piedi di piombo, in un ambito che, purtroppo, continua a essere minato da continue trasformazioni e interpretazioni.

Però, come ho detto altre volte, non significa non fare. Non significa nemmeno doversi scoraggiare, per il semplice fatto che la realtà, post 2020, è diventata questa, fatta di straordinarie opportunità e, al tempo stesso, di rischi, che devono essere conosciuti e gestiti in modo consapevole.

di Cristian Angeli, ingegnere strutturista, esperto di Sismabonus, www.cristianangeli.it

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