Superbonus e unifamiliari: occhio all’accertamento catastale

Se dopo i lavori gli uffici del Fisco rettificano il classamento catastale portandolo in una categoria “di lusso” il Superbonus decade

di Cristian Angeli - 05/12/2023

Quando si esegue un intervento di ristrutturazione e riqualificazione di un edificio è normale (e pure ovvio) che lo si faccia per migliorarne le caratteristiche estetiche, funzionali e prestazionali. Ad esempio gli interventi possono prevedere l’accorpamento di unità immobiliari o l’applicazione di finiture di pregio.

Superbonus e accertamento catastale: occhio al riclassamento dei villini

A volte però queste migliorie sono tali da incidere sui parametri che ne determinano la classe e la categoria catastale. L’Agenzia delle Entrate è ovviamente molto attenta alla trasformazione delle caratteristiche dei fabbricati, poiché da esse dipende la rendita catastale e per questo è ammesso che gli Uffici provvedano al riclassamento qualora la dichiarazione fornita dal contribuente non risulti convincente.
L’operazione è di per sé “indolore”, se non dal punto di vista degli oneri connessi a carico del proprietario dell’immobile, tranne il caso in cui, a seguito dell’accertamento, l’immobile vada a ricadere in una delle categorie catastali per le quali il Superbonus è precluso.

Superbonus: le categorie escluse

Ai fini del Superbonus, gli interventi edilizi sono agevolabili solo se riguardano edifici che rispettino alcune caratteristiche. Innanzitutto, questi devono essere “esistenti”, restando così esclusi tutti gli interventi realizzati in fase di “nuova costruzione”. Un ulteriore requisito, oltre alla preesistenza, è la destinazione d’uso abitativa, essendo la detrazione riservata agli immobili residenziali.

Ma oltre a tali paletti, come accennato, vi è un limite inerente alla categoria catastale cui l’immobile appartiene, individuato dal DL 34/2020 al suo art. 119, co. 15-bis. Alcune categorie catastali, infatti, per quanto residenziali e potenzialmente rientranti nelle tipologie di strutture sopra elencate, sono escluse esplicitamente dall’accesso al Superbonus. Non è possibile cioè fruirne in relazione a opere realizzate su unità immobiliari di categoria A/1 (abitazioni di tipo signorile, di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale), A/8 (abitazioni in ville, dove con villa si intende un immobile caratterizzato dalla presenza di parco e/o giardino in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni) e A/9 se non aperte al pubblico (castelli, palazzi di pregio artistico o storico).

La categoria catastale va rilevata al termine dei lavori

Ma in quale momento va verificata la non appartenenza alle richiamate categorie e, dunque, si può dare il via libera al Superbonus?

Riguardo ai requisiti degli immobili, l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate è consolidato nel ritenere determinante la situazione catastale che risulta alla conclusione dell’iter edilizio, almeno in relazione alla categoria. Infatti, la destinazione d’uso, necessariamente abitativa, è un requisito che può anche variare a seguito dei lavori, a condizione però che l’immobile permanga in una categoria catastale ammessa. In tal senso, è chiara la risposta a interpello n. 538/2020, che ha chiarito che “è possibile fruire della detrazione […] anche nell'ipotesi prospettata di cambio di destinazione d'uso in abitativo dell'immobile oggetto dei lavori, purché nel provvedimento amministrativo che assente questi ultimi risulti chiaramente tale cambio e sempreché l'immobile rientri in una delle categorie catastali ammesse al beneficio”.

La rilevanza della categoria catastale alla fine dei lavori emerge con ancor più chiarezza dalla Circolare n. 30/2020 e dalla più recente Circolare 23/2022. Quest’ultima, al suo par. 2, recita che “la detrazione spetta anche nell’ipotesi in cui gli interventi agevolabili siano realizzati su un immobile appartenente alle categorie A/1, A/8, A/9 escluse dalla detrazione ma che al termine dei lavori sia, invece, classificato in una categoria ammessa alla detrazione medesima come nel caso, ad esempio, di interventi realizzati su un immobile A/8 che al termine dei lavori viene frazionato in più unità immobiliari di categoria A/3”.

L’accertamento catastale e il riclassamento d’ufficio

Quanto appena evidenziato, purtroppo, vale anche al contrario. Se, cioè, al termine degli interventi un edificio appartenente ad una categoria catastale ammessa finisca per rientrare in una categoria “di lusso”, la spettanza del Superbonus potrebbe essere contestata per violazione dell’art. 119, co. 15-bis (DL 34/2020), proprio perché rileva la situazione alla fine dei lavori.

Occhio, dunque, ai controlli, perché le Entrate possono procedere ad accertare un classamento differente da quello dichiarato dal contribuente, mediante una procedura d’ufficio. Infatti, quando il proprietario dell’immobile deve dichiarare la categoria catastale di appartenenza dell’immobile, egli sottopone al catasto un’ipotesi di classamento (attraverso la procedura c.d. DOCFA) e quindi di rendita. Successivamente, il Fisco può accettare o modificare detta ipotesi e in caso di variazione, questa deve in teoria avvenire entro 12 mesi dalla presentazione del DOCFA, come previsto dal DM 701/1994, art. 1, co. 3. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che tale termine è solo ordinatorio, considerando “incompatibile” con la normativa la prescrizione di un termine perentorio al potere dell’amministrazione di contestare la categoria catastale dichiarata (Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, sentenza n. 4/3, del 05/01/2023).

Ciò significa, in sintesi, che le Entrate possono in qualsiasi momento procedere a un riclassamento d’ufficio, eventualmente comportando la decadenza del Superbonus se la nuova categoria assegnata sia una di quelle escluse dall’art. 119, co. 15-bis.
Tuttavia, in questo caso è da tenere a mente che il Fisco è obbligato ad avvisare il contribuente, con un provvedimento ben motivato. L’Agenzia delle Entrate, cioè, deve dar conto dei motivi che l’hanno portata a variare la categoria. E non solo, perché nel caso in cui il contribuente contesti nelle aule di giustizia tale avviso di riclassamento, è l’Agenzia delle Entrate a dover dimostrare la legittimità del proprio provvedimento, dando prova dell’esistenza dei suoi presupposti. In tal senso, la giurisprudenza è matura e compatta, come emerge, ad esempio, dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15495 del 20/06/2013.

L’accertamento è a rischio nel caso dei “villini” di categoria catastale A7

È evidente che il riclassamento di un immobile economico (ad esempio di cat. A2 o A3) non pone particolari problemi, poiché difficilmente potrà, a seguito dei lavori, assumere caratteristiche tali da farlo diventare “di lusso”. Quando invece si tratta della ristrutturazione di “villini” in categoria A7 (definiti “abitazioni con un minimo di verde o cortile privato o comune, possono essere sia singole, che a schiera oppure a piani”), il rischio è concreto, data la stretta “somiglianza” alle “ville” in categoria A8. Queste ultime sono infatti, secondo la definizione catastale, “Abitazione di pregio con rifiniture di alto livello”, quindi è evidente che trasformazioni radicali dell’immobile, tali da incidere sulle finiture e sul “pregio” dello stesso, possono saltare agli occhi del Fisco, anche in base a riscontri incrociati basati sull’importo dei lavori portati in detrazione.

A cura di Cristian Angeli,
ingegnere, consulente in materia di edilizia agevolata e contenzioso
www.cristianangeli.it

© Riproduzione riservata