Abusi edilizi e pertinenze: come si valuta la precarietà?

Il Consiglio di Stato chiarisce alcuni concetti sull’ottenimento della sanatoria edilizia, l’accertamento di conformità e la natura precaria dell’abuso

di Redazione tecnica - 22/02/2021

Abusi edilizi, ordine di demolizione, richiesta di permesso di costruire in sanatoria, data di ultimazione dei lavori, vincoli paesaggistici e natura precaria di un manufatto. C’è davvero di tutto nella sentenza del Consiglio di Stato 4 febbraio 2021, n. 1039 che chiarisce alcuni dubbi e spiega meglio alcuni passaggi oscuri della normativa edilizia.

Abusi edilizi: il caso oggetto della sentenza del Consiglio di Stato

Propone ricorso al Consiglio di Stato il proprietario di un terreno su cui erano stati realizzati alcuni fabbricati abusivi di varie dimensioni. La richiesta (neanche a dirlo) è quella di annullare l'ordinanza di demolizione emessa dal Comune. Il Tar aveva dato ragione all'amministrazione comunale, ma per il proprietario del terreno ci sono alcuni "vizi procedurali", soprattutto legati ai vincoli paesaggistici. Analizziamoli.

Il nuovo piano regolatore

I piani regolatori dei Comuni sono strumenti importantissimi. E cambiano, spesso, dopo decine e decine di anni. Questo non vuol dire che si può far fede su uno strumento urbanistico non ancora approvato o in fase di elaborazione. La tesi del proprietario del terreno che il nuovo piano regolatore avrebbe eliminato alcuni vincoli paesaggistici non sta in piedi e non può essere accolta non solo dai giudici del Tar, ma nemmeno da quelli del Consiglio di Stato.

Non può avere rilievo, scrivono i giudici nella loro sentenza "sia in generale, a fronte della natura delle previsioni urbanistiche, aventi ordinaria rilevanza de futuro, sia in relazione all’irrilevanza rispetto ad abusi realizzati in epoca ben anteriore alla (eventuale, ipotetica e futura) adozione delle nuove misure". Tra l'altro, dicono i giudici, nel caso analizzato "oltre a mancare qualsiasi conferma documentale della invocata pendenza, neppure risulta prospettata alcuna istanza di sanatoria".

Sul punto occorre, inoltre, ricordare quanto previsto dall’art. 36 del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia). In tema di interventi realizzati senza o in difformità del permesso di costruire o della SCIA definisce il cosiddetto accertamento di conformità. Con questo istituto, è possibile ottenere la sanatoria dell’abuso se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (c.d. doppia conformità).

In tal senso, se l’intervento edilizio non è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dello stesso, non potrà mai essere sanato. Tanto meno da uno strumento urbanistico non ancora approvato.

Ordinanza di demolizione e avviso di provvedimento

Altro punto su cui batte il ricorso è l’assenza di procedimento precedente l’ordine di demolizione. In realtà dovrebbe essere un argomento assodato, ma lo specificano anche stavolta i giudici del Consiglio di Stato. Il provvedimento di demolizione non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento "non essendo prevista la possibilità per l'amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene". Inoltre, nel caso di specie, l'amministrazione ha inviato la comunicazione al proprietario, "garantendo la partecipazione sia sul versante formale che su quella sostanziale".

Ultimazione dell'opera abusiva, a chi spetta provare la data

Altra criticità: la data di ultimazione dell’opera abusiva. Precisa il consiglio di Stato: "L'onere della prova dell'ultimazione entro una certa data di un'opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto".

Allo stesso modo, sempre il proprietario ha l'onere di provare la data di realizzazione del manufatti ritenuto abusivo prima della legge "ponte" n. 761/1967 "con la quale l'obbligo di previa licenza edilizia venne esteso alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano". Cosa che nel caso analizzato non è stata fatta se non con un atto di notorietà che "non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso" e quindi "non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori".

Vincoli, l'amministrazione precisa

Se da un lato il proprietario dei manufatti abusivi ammette pubblicamente che questi hanno subìto modifiche nel corso degli anni, dall'altro la pubblica amministrazione ha saputo fornire ai giudici del Consiglio di Stato dati precisi relativi al vincolo paesaggistico violato. Per questo, dicono i giudici "le mere affermazioni contrarie di parte appellante, prive di qualsiasi elemento tecnico o documentale adeguato a sostegno, non possono che risultare irrilevanti". Le modifiche confessate dal proprietario dei manufatti, risultano successive al vincolo dell'amministrazione. E, come detto, non c'è traccia di una richiesta di sanatoria.

Opere abusive, cosa succede se pertinenze o precarie

Un punto fermo: le opere edilizie abusive, anche qualora abbiano natura pertinenziale o precaria e, quindi, siano assentibili con mera Dia, se realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, debbono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, deve essere applicata la sanzione demolitoria. Basterebbe questo a chiudere la questione per i giudici del consiglio di Stato. Nel caso analizzato, non si tratta di certo di manufatti precari, ma si tratta di tettoie e depositi che richiedono il titolo edilizio come nuovi manufatti, "anche se civilisticamente dovessero essere qualificabili come pertinenze", dicono i giudici.

Come si valuta la precarietà di un manufatto

Ormai è noto che solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo un tempo non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire. Spiegano i giudici: "La precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante". Nel caso analizzato si tratta di opere ancorate al suolo e che si trovano lì ormai da anni. Per questo il ricorso è stato respinto e confermato l'ordine di demolizione dei manufatti abusivi.

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A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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