Calcolo volumetrie: si applica il Regolamento Edilizio Tipo o quello comunale?

Il Consiglio di Stato chiarisce se per il calcolo delle volumetrie va applicato il Regolamento Edilizio Tipo (RET) o il Regolamento edilizio comunale

di Redazione tecnica - 28/02/2021

Corruzione, sperpero di denaro pubblico e privato, tempi che si dilatano inutilmente si insinuano sempre tra le tante pieghe della legge e quando si parla di “cattiva legiferazione” non ci si può esimere dal riferirsi alla normativa in ambito edilizio. Questa volta non parliamo del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia) che in 20 anni di applicazione ha cambiato forma così tante volte da rendere complicato ricostruirne la storia. Parliamo, invece, dell’intesa raggiunta nel 2016 tra Stato e Regioni per il recepimento del Regolamento Edilizio Tipo (RET).

Regolamento Edilizio Tipo: il recepimento delle Regioni

Come previsto dall’Accordo, le Regioni avrebbero dovuto recepire entro il 18 aprile 2017 lo schema di regolamento edilizio tipo e le definizioni uniformi per integrarlo alla normativa regionale vigente. Un’impresa titanica che non tutte le Regioni hanno affrontato nello stesso modo, anche perché successivamente al recepimento del Regolamento Edilizio Tipo, i Comuni avrebbero dovuto adeguare i loro regolamenti edilizi.

E qui casca l’asino…che genera ricorsi e sentenze.

Calcolo volumetrie e Regolamento Edilizio: si applica quello Tipo o quello comunale?

Questa volta prendiamo come riferimento l’interessante sentenza del Consiglio di Stato n. 1339 del 15 febbraio 2021 resa in riferimento al ricorso presentato da un Comune per l’annullamento di una decisione di primo grado che aveva annullato l’ordinanza comunale con la quale era stato a sua volta annullata in autotutela una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) alternativa a permesso di costruire relativa ad un intervento di demolizione e ricostruzione, con bonus volumetrico, di un fabbricato residenziale.

Il punto cruciale su cui vertono i fatti riguarda il calcolo delle volumetrie alla luce di una acclarata differenza tra il Regolamento Edilizio Tipo recepito con Delibera della Giunta Regionale ma non ne territorio comunale in quanto il Comune non aveva ancora adeguato al RET il proprio Regolamento edilizio, che, dunque, costituiva ancora l’unico referente normativo in materia.

Regolamento Edilizio Tipo o Comunale? La tesi del TAR

Secondo i giudici di primo grado, il RET in questione sarebbe stato approvato con legge regionale e sarebbe applicabile in tutto il territorio regionale anche in deroga alle contrarie disposizioni urbanistico-edilizie comunali, delle quali, dunque, non sarebbe stato necessario un espresso adeguamento. Sebbene i Comuni, in sede di recepimento del RET avrebbero, avuto il potere di individuare le superfici suscettibili di esclusione o meno dal calcolo della volumetria a fini edificabili, nel caso di specie il Comune in questione non si sarebbe ancora attivato in tal senso. Per cui il RET sarebbe applicabile in toto, incluse le “definizioni uniformi” ivi formulate.

Secondo il TAR, inoltre, il Comune avrebbe comunque dovuto, anziché annullare tout court la SCIA, valutare se imporre al privato misure conformative, e ciò sia perché il fabbricato sarebbe stato ancora in corso di costruzione, sia perché, in termini generali, il potere conformativo precederebbe sempre quello inibitorio.

Il Consiglio di Stato ribalta tutto

I giudici del Consiglio di Stato hanno ricostruito la normativa di recepimento del Regolamento Edilizio Tipo nella Regione di cui trattasi, rilevando dei caratteri non lineari.

A sostegno della tesi dell’immediata applicazione del R.E.T. in tutti i Comuni della Regione in questione, vi sarebbero sia il punto 3 della delibera regionale, secondo il quale “i Comuni adeguano i propri regolamenti edilizi entro centottanta giorni a decorrere dalla pubblicazione della presente deliberazione sul Bollettino Ufficiale”, sia il punto 4, per cui “le definizioni uniformi e le disposizioni sovraordinate in materia edilizia trovano diretta applicazione, prevalendo sulle disposizioni comunali con esse incompatibili””.

Ma nell’art. 2 dell’intesa Stato Regioni e nella terza delle premesse della delibera di Giunta è riportato che “il recepimento delle definizioni uniformi non comporta la modifica delle previsioni dimensionali degli strumenti urbanistici vigenti”.

Secondo il Consiglio di Stato quest’ultima sarebbe la parte cruciale per la quale l’intesa Stato Regioni non è una norma di dettaglio ma una sorta di estensione dei principi fondamentali della materia. La predisposizione del RET corrisponde all’esigenza di raggiungere una uniformità semantica in un ambito tecnico segnato da frequenti oscillazioni lessicali. Si tratta, cioè, di una operazione di standardizzazione definitoria, il cui impatto concreto non può eccedere i limiti che si sono consapevolmente dati gli autori della nuova normativa.

Pertanto, allorquando il Comune sia inadempiente rispetto al termine per l’adeguamento del proprio REC, in mancanza di una espressa previsione nella normativa di settore, non è possibile ritenere che il mancato rispetto di un termine possa avere effetti così radicalmente eversivi sulla autonomia pianificatoria degli enti locali.

In definitiva, pur nell’ambivalenza normativa, la disciplina edilizia ed urbanistica dei Comuni resta (quanto meno in relazione al fondamentale dato del “dimensionamento urbanistico”) inalterata nelle more della modifica dei relativi strumenti di governo del territorio, procedimento cui gli Enti locali sono comunque tenuti al fine di pervenire ad un’armonizzazione del relativo contenuto con il R.E.T. recepito a livello regionale.

Per questo motivo la pronuncia del TAR è stata riformata.

La scelta dell’annullamento in autotutela della SCIA

In riferimento alla scelta di procedere all’annullamento in autotutela della SCIA, il Consiglio di Stato ha confermato l’operato del Comune ritenendo che il potere conformativo delle Amministrazioni territoriali in ordine alle iniziative assunte dai privati in materia edilizia non può strutturalmente spingersi sino allo stravolgimento sostanziale del progetto, modificandone ex officio (come nella specie sarebbe stato necessario) il numero dei piani, la sagoma ed il prospetto.

La funzione amministrativa di vigilanza sulle trasformazioni del territorio, infatti, si muove in un ambito di mero controllo e non può trascendere in una dimensione di progettazione attiva, che oltretutto sarebbe indebitamente sostitutiva di quella che, nel perseguimento del proprio interesse, compete esclusivamente al privato stesso.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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