Codice dei contratti: Il Consiglio di Stato demolisce lo schema di decreto sul Dibattito pubblico

Il Consiglio di Stato con il parere n. 359 del 12 febbraio 2018 interviene sullo schema di decreto sul dibattito pubblico, predisposto dalla Presidenza del C...

13/02/2018

Il Consiglio di Stato con il parere n. 359 del 12 febbraio 2018 interviene sullo schema di decreto sul dibattito pubblico, predisposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 22, comma 2 del Codice dei contratti di cui al D.lgs. n. 50/2016 ed in atto in stand by presso le competenti Commissioni di Camera e Senato.

I giudici di Palazzo Spada con alcune osservazioni preliminari criticano, anche in maniera pesante, non soltanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri ma anche i Ministeri coinvolti (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero per i beni e le attività culturali); nel dispositivo precisano, poi, che lo schema di decreto è stato adottato “previo parere delle Commissioni parlamentari competenti” e così non è in quanto lo stesso schema di decreto inviato al Consiglio di Stato, in atto è bloccato presso le due commissioni competenti di Camera e Senato proprio in attesa del parere del Consiglio di Stato (leggi notizia).

Ritornando alle critiche riscontrabili nelle osservazioni preliminari, le stesse si riferiscono a due possibili profili di criticità, che “ove non corretti, potrebbero vanificare l’operatività dell’istituto del dibattito pubblico”, relativi:

  • alle soglie economiche che, in connessione con le tipologie di opere e con i parametri dimensionali delle stesse, tracciano l’ambito di applicazione del dibattito pubblico; nel parere viene, espressamente, detto che le soglie stesse sono di importo così elevato da finire per rendere, nella pratica, minimale il ricorso al dibattito pubblico, che rappresenta invece una delle novità di maggior rilievo del nuovo Codice dei contratti e che, se bene utilizzato, potrebbe costituire anche un valido strumento deflattivo del contenzioso;
  • alla necessità di potenziare l’attività di monitoraggio della Commissione nazionale per il dibattito pubblico istituita dall’articolo 4 dello schema di decreto ed alla stessa demandato dal comma 6, lettera e) sempre dell’articolo 4 ma in modo poco incisivo.

Entrando, poi, nel dettaglio dell’articolato, il Consiglio di Stato al paragrafo 3 del proprio parere interviene con osservazioni su tutti e 10 gli articoli che costituiscono il provvedimento e con richieste di modifiche su molti commi dei 10 articoli ma la cosa che è più pesante per la Presidenza del Consiglio dei Ministri è il fatto che le richieste di modifica sono precise e puntuali in certi casi anche sulla punteggiatura e sui rinvii ma, in alcuni casi, anche su problemi strutturali quali quelli relativi:

  • all’articolo 3 nel quale la disposizione fa riferimento esclusivamente ai beni del patrimonio culturale e naturale iscritti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO senza contemplare i beni culturali e del paesaggio tutelati dal d.lvo 22 gennaio 2004, n. 42. Il Consiglio di Stato suggerisce di rivedere la disposizione in tal senso poiché, in applicazione dell’art. 9 della Costituzione, sembra opportuno approntare strumenti di prevenzione anche per i beni culturali nazionali non protetti a livello UNESCO.
  • all’articolo 4 per il quale i giudici di Palazzo Spada danno il suggerimento di individuare un numero dispari di componenti la Commissione nazionale per il dibattito pubblico al fine evitare situazioni di stallo nei casi in cui una decisione debba essere presa a maggioranza; credo che sia noto a tutti che le commissioni devono essere composte da un numero dispari di membri onde assicurare la funzionalità del principio maggioritario per la formazione del quorum, ai fini del calcolo della maggioranza assoluta dei componenti (la metà più uno ai fini del quorum, è data dal numero che, raddoppiato, supera il totale dei componenti almeno per un'unità rispetto ai membri del collegio);
  • all’articolo 6 per il quale il Consiglio di Stato ritiene opportuno, al fine di garantire l’indipendenza e la terzietà del coordinatore del dibattito pubblico, che tale compito venga svolto da soggetto esterno all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore, ma pur sempre da soggetto appartenente allo Stato-apparato;
  • all’articolo 8 per il quale viene suggerito di prevedere un termine entro il quale avviare il dibattito pubblico.

In pratica il Consiglio di stato demolisce, con grande savoir faire, lo schema di decreto predisposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri chiedendo anche la modifica dell’articolo 10 relativo alle disposizioni transitorie e finali, suggerendo, tra l’altro, le modifiche articolo per articolo e comma per comma come quelle per tutti i commi dell’articolo 6 relativo al Coordinatore per il dibattito pubblico e relativi compiti; con la demolizione del provvedimento arriva, però, il parere favorevole con osservazioni.

Cosa succederà adesso? A nostro avviso, le due commissioni parlamentari di Camera e Senato (ma quali? Quelle attuali o le nuove che nasceranno dopo le elezioni del 4 marzo?) non potranno fare altro che, prendendo atto del parere dei Giudici di Palazzo Spada, esprimere un proprio parere che tenga in conto tutte le osservazioni del Consiglio di Stato o, in via alternativa, attendere che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, vista la notevole quantità di osservazioni proceda alla predisposizione di un nuovo schema da inoltrare nuovamente alle commissioni parlamentari.

Sembra una storia infinita ma è quello che nasce a causa della cosiddetta soft law relativamente ai provvedimenti attuativi del Codice dei contratti. In pratica al posto di un unico regolamento di attuazione (che, magari, avremmo atteso anche per qualche anno) da sottoporre una sola volta ai vari pareri ci troviamo con una miriade di provvedimenti (oltre 60) che devono essere prima predisposti e, poi, sottoposti ad uno ad uno ai vari pareri: il risultato è, ormai, sotto gli occhi di tutti con un codice che annaspa tra provvedimenti mai predisposti, provvedimenti predisposti e riscritti parecchie volte, provvedimenti già pubblicati ma non utilizzabili perché entreranno compiutamente in vigore tra qualche anno e così via. In pratica un delirio per il quale si nota l’assenza di una valida regia.

In allegato il parere del Consiglio di Stato n. 359 del 12 febbraio 2018, lo schema di decreto, la documentazione DPCM e le Schede di lettura DPCM dibattito pubblico.

A cura di arch. Paolo Oreto

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