Corte di giustizia europea: limiti al subappalto contrari alla normativa europea

Nuove seccature per la normativa italiana che regola il settore dei lavori pubblici. Dopo la lettera di costituzione in mora (infrazione 2018/2273) inviata d...

27/09/2019

Nuove seccature per la normativa italiana che regola il settore dei lavori pubblici. Dopo la lettera di costituzione in mora (infrazione 2018/2273) inviata dalla Commissione Europea il 24 gennaio 2019 che, tra le altre cose, contestava le norme riguardanti il subappalto (leggi articolo), è arrivata ieri la sentenza 26 settembre 2019, causa C-63/18 in cui la Corte di giustizia europea ha confermato l'anomalia della disposizione prevista dal D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti) che limita il ricorso al subappalto.

Secondo la Corte di giustizia europea, l'art. 105, comma 2 del Codice dei contratti che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi sarebbe contrario alla normativa comunitaria. Al fine di combattere le infiltrazioni criminali negli appalti pubblici gli Stati membri possono rendere più rigidi i paletti previsti dalle direttive europee, ma una restrizione come quella dettata dal Codice dei contratti pubblici del 2016 sembrerebbe eccedere quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.

La Commissione europea nella lettera di costituzione in mora aveva, anche, rilevato che nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un limite obbligatorio (30%) all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto.

Principio che era già stato affermato nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-406/14 con la quale cui la Corte europea aveva stabilito che una clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso è incompatibile con la direttiva 2004/18/CE, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale delle prestazioni di cui si tratta.

Arriva adesso la nuova sentenza della Corte di giustizia europea richiesta dalla ordinanza del TAR Lombardia 19 gennaio 2019, n. 148 in cui i giudici di merito avevano formalizzato la questione pregiudiziale relativa ai limiti per il subappalto, previsti indifferentemente per lavori, servizi e forniture all’art. 105, comma 2, d.lgs. n. 50/2016. Con la proposizione di tale questione pregiudiziale il TAR Lombardia ha richiesto alla Corte di Giustizia europea di fornire risposta al dubbio relativo alla possibile violazione dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e di proporzionalità, nonché dell’art. 71, Direttiva 2014/24/UE, che non prevede alcun limite per il subappalto.

La questione nasce per l’esclusione di un'impresa dalla gara per l’ampliamento dell’A8 per 85 milioni di euro predisposta da Autostrade ed, in particolare, per il limite del subappalto pari al 30% dell'importo del contratto stabilito dal Codice dei contratti.

La Corte di giustizia europea in un passaggio della sentenza precisa che “la normativa nazionale di cui al procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore” aggiungendo, anche, che “Ne consegue che, nell’ambito di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”.

La conclusione è, quindi, quella che una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24 e che, pertanto, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

A cura di Arch. Paolo Oreto

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