Emilia Romagna: pellet, come non scottarsi con le bollette invernali

Agli italiani il pellet piace: nel nostro paese oggi ci sono circa 1,7 milioni di stufe, circa 50-60mila caldaie a uso domestico e le vendite registrate nel ...

26/11/2013
Agli italiani il pellet piace: nel nostro paese oggi ci sono circa 1,7 milioni di stufe, circa 50-60mila caldaie a uso domestico e le vendite registrate nel primo semestre 2013 sono superiori del 30% allo stesso periodo dello scorso anno; più del doppio della crescita media degli ultimi anni. Alla base di questo successo c’è verosimilmente il risparmio. Una stufa a pellet può tagliare le spese per il riscaldamento da 100 a oltre 1.200 euro in una stagione a seconda del tipo di impianto che va a integrare.

Il raffronto sui prezzi

Eppure non sono tutte rose per i patiti della fiamma: il pellet quest’anno è più caro che mai. Premettendo che il prezzo ha variazioni stagionali (è più basso nel periodo da maggio a luglio, rincara verso agosto e si stabilizza durante l’inverno), a ottobre il consumatore pagava un sacco da 15 kg tra 4,80 e 5,50 euro, mentre l’anno scorso nello stesso periodo eravamo a circa 3,6-4 euro a sacco.
Nonostante questi aumenti i piccoli cilindretti compressi restano uno dei modi più convenienti di scaldarsi. Per capirlo basti guardare il costo del megawattora termico. Basandoci sul prezzo dei diversi combustibili aggiornato a inizio ottobre 2013, vediamo che il pellet resta l’opzione più economica dopo la legna da ardere e il cippato, cioè il legno ridotto in scaglie.
Produrre 1 MWh di calore con il pellet comperato in sacchi da 15 kg costa circa 72 euro (comprandolo sfuso dall’autobotte scenderemmo fino a 69), con una caldaia a metano ne costerebbe circa 86, con un impianto a gasolio circa 145 e con il Gpl da riscaldamento che, lo ricordiamo, costa quasi il doppio di quello da autotrazione, circa 239.
Cifre che si traducono in conti interessanti per le bollette. Consideriamo per esempio una stufa che produca 7,2 MWh termici in un anno, cioè che consumi 1,5 tonnellate di pellet, un dato medio per molte case al Nord Italia: ipotizzando che la stufa integri ma non sostituisca l’impianto di riscaldamento (cosa che peraltro è possibile fare, aumentando così il risparmio, con le stufe a pellet idro, che scaldano l’acqua dei radiatori) il pellet farebbe risparmiare circa 1.200 euro se affiancato a un impianto a Gpl, 525 nel caso del’impianto a gasolio e circa 100 per il metano.

Come trovare il più sicuro ed efficiente

Come scegliere il pellet migliore? Il consiglio è di optare, quando possibile, per prodotti certificati. Le certificazioni che possiamo trovare sono la tedesca Din e Din Plus, l’austriaca Önorm, la svizzera SN 166000 e il marchio europeo ENPlus che si sta diffondendo a livello internazionale.
“La nostra associazione promuove unicamente l’ENPlus che considera non solo la qualità del prodotto, ma anche la tracciabilità e il ciclo di vita del pellet”, ci spiega Annalisa Paniz di Aiel, l’Associazione italiana energia dal legno.
Questa certificazione divide i prodotti in 3 categorie: A1 per il pellet più pregiato; una seconda, detta A2: una terza, la B, per il pellet più scadente, adatto solo a esser bruciato per usi industriali.
Per essere sicuri che il pellet sia davvero certificato non basta il marchio: deve sempre essere accompagnato da un numero identificativo dell’a­zienda. Questo numero è formato da due lettere che indicano il paese di provenienza (es. IT per Italia) e da tre cifre: sul sito di ENPlus si può verificare che il codice corrisponda al produttore o all’importatore in etichetta.
Molto pellet in commercio però non è certificato, anche perché circa l’80% di quello sul mercato italiano è di importazione, in parte anche da paesi extraeuropei. In questo caso è bene verificare che ci siano almeno il nome e riferimenti del produttore o dell’azienda responsabile della commercializzazione.
Informazioni utili - come residuo di ceneri, potere calorifico e contenuto idrico - ci vengono poi dall’etichetta. Il parametro più importante è il residuo di ceneri: inferiore all’1,5% è accettabile, ma è ancora migliore se sta sotto allo 0,7%.
Il potere calorifico in etichetta ha invece una rilevanza relativa: “Diversi produttori indicano valori fuorvianti, scrivendo il potere calorifico allo stato anidro: possiamo trovare sulle etichette valori tipo 5,3 kWh/kg. In realtà il potere calorifico reale del pellet è attorno ai 4,7-4,8 kWh/kg, ossia circa 16 MegaJoule. Cifre più alte sono false: il potere calorifico non può essere considerato allo stato anidro ma va misurato per quello specifico pellet con il suo contenuto idrico, mediamente del 6-8%”, spiega Paniz.
Anche la materia prima non è determinante per capire la qualità, fatto salvo che il pellet per legge deve essere di legno vergine che ha subito unicamente trattamenti di tipo meccanico (dunque, niente scarti di falegnameria verniciati o incollati).
La specie legnosa - spiega l’esperta - conta fino a un certo punto. “Anche se certe specie possono essere particolarmente difficili, va detto che non si trova pellet di castagno o di quercia puro, ma sempre mischiato ad altre specie, ad esempio faggio o abete”.
La qualità del pellet si può capire con una semplice ispezione visiva? La nota distinzione tra pellet chiaro e pellet scuro, scopriamo, “non ha fondamento: può dipendere dal tipo di essiccatoio, quello a tamburo tende a tostare leggermente il pellet, dandogli un colore più scuro. Il pellet deve essere compatto. Perciò, dice l’esperta, la cosa importante è prendere in mano il sacco e vedere quanti residui di pellet sbriciolato ci sono: molti residui indicano un prodotto di scarsa qualità che ha subito lunghi spostamenti”.

Gli aiuti per l’acquisto delle stufe

L’acquisto di stufe e caldaie a pellet - dai 600 agli oltre 2.500 euro per una stufa da 6 kW - gode della detrazione del 50% sulle ristrutturazioni edilizie, che, stando alla versione della legge di Stabilità, dovrebbe essere prorogata per tutto il 2014 e scendere al 40% nel 2015. La percentuale di spesa detratta viene restituita in 10 rate annuali. Le stufe a pellet possono usufruire anche delle detrazioni del 65% per l’efficienza energetica e del conto termico, ma a questi incentivi è più difficile accedere. Il conto termico, un contributo erogato in due anni e variabile in base alla zona climatica e alla potenza installata, si rivolge infatti solo alle sostituzioni di sistemi già installati: stufe a legna o vecchie stufe a pellet e, per le caldaie, caldaie a biomassa o a gasolio e, ma solo per le aziende agricole, a Gpl. Le detrazioni fiscali del 65%, oltre alla sostituzione dell’impianto, esigono che l’intervento preveda anche la coibentazione dell’involucro e la sostituzione dei serramenti.

Cosa c’è da sapere prima di decidere

Risparmio a parte, quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle stufe a pellet? Innanzitutto, sono molto comode: quasi tutti i modelli si possono programmare avendo timer e termostato, e alcune possono essere comandate in remoto, tramite sms.
Alcuni modelli sono dotati di tecnologia autopulente, ma di solito bisogna pulire il braciere: l’operazione dura meno di un minuto ma va ripetuta ogni 2-3 giorni.
Le stufe a pellet, ricordiamo, non funzionano senza elettricità. E un altro possibile neo è la rumorosità: anche se i modelli più recenti sono molto silenziosi, chi è molto delicato d’orecchio dovrà valutate se il rumore della ventola che espelle l’aria e quello dei chicchi di pellet che cadono nel braciere possono disturbarlo.
Il pellet è relativamente pratico, rispetto alla legna, ma bisogna avere ugualmente un posto in cui conservare i sacchi di scorta.
Anche se queste stufe non hanno bisogno di una canna fumaria vera e propria, sostituita da un tubo di scarico nella parte posteriore, è comunque necessario predisporre un sistema di scarico dei fumi all’esterno (seppure di diametro minore rispetto a quello richiesto per camini e stufe a legna), che svetti oltre il tetto.
Le stufe a pellet, infine, sono relativamente ecologiche: bruciando biomassa, se questa proviene da una filiera sostenibile hanno un bilancio zero in quanto a emissioni di CO2. Le emissioni di particolato sono molto superiori a quelle degli impianti a gas naturale, ma di molto inferiori a quelle delle meno efficienti stufe a legna tradizionali e dei caminetti aperti. Per questo motivo le ordinanze restrittive emanate in alcune situazioni nella stragrande maggioranza dei casi esonerano dai divieti sul riscaldamento a biomasse apparecchi con un’efficienza come quella delle stufe e delle caldaie a pellet.


fonte www.regione.emilia-romagna.it
© Riproduzione riservata

Link Correlati

Sito ufficiale