La qualificazione giuridica della DIA condiziona l'accesso alle tecniche di tutela

Incertezze e complicazioni per chi volesse agire contro una DIA. Questo è quanto emerso dall'Ordinanza n. 14 del 5 gennaio 2011, con la quale il Consiglio di...

28/01/2011
Incertezze e complicazioni per chi volesse agire contro una DIA. Questo è quanto emerso dall'Ordinanza n. 14 del 5 gennaio 2011, con la quale il Consiglio di Stato ha ammesso che la problematica giuridica della tutela contro un titolo abilitativo derivante da una denunzia di inizio attività, ha originato un articolato orientamento della giurisprudenza, che incide sulla natura sostanziale dell'istituto e sui riflessi processuali conseguenti alle varie ipotesi ricostruttive.

Nell'Ordinanza, il Consiglio di Stato ha dapprima rilevato le diverse tesi originate negli ultimi anni. In particolare, è stata confermata quella secondo la quale è inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento della denuncia di inizio attività, intesa come atto avente natura oggettivamente e soggettivamente privata. Inammissibilità che trova rimedio nell'azione avverso il silenzio-inadempimento: il terzo che intende opporsi all'intervento, una volta decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio, è legittimato unicamente a presentare all'amministrazione formale istanza per la adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure a impugnare il provvedimento emanato all'esito della avvenuta verifica.

La Sezione IV del Consiglio di Stato ha recentemente sostenuto la tesi per la quale i terzi che ritengono di essere pregiudicati dalla effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito (nella specie, DIA) possono agire dinanzi al giudice amministrativo per chiedere l'annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l'amministrazione può impedire gli effetti della D.I.A.

In sentenza del 2010 (n. 2558), la stessa IV Sezione del Consiglio di Stato ha sostenuto che in ogni caso l'azione costituente il rimedio del terzo pregiudicato deve attenersi al termine decadenziale di sessanta giorni, rilevando altresì che la struttura tradizionalmente impugnatoria del giudizio amministrativo può riguardare anche fattispecie a formazione provvedimentale implicita, come la DIA in materia edilizia.

Nel 2009, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha concluso per la tesi dell'atto privato, nei confronti del quale il terzo potrebbe agire dinanzi al giudice amministrativo per l'accertamento della inesistenza dei presupposti stabiliti dall'ordinamento.

Considerate le diverse posizioni, allo stato attuale l'unico dato di fatto è l'incertezza di chi volesse agire contro un titolo abilitativo derivante da una denunzia di inizio attività. L'ultima Ordinanza del CdS ha, infatti, ammesso che le diverse tesi sulla natura dell'istituto (della DIA quale provvedimento amministrativo tacito e della DIA quale atto privato sottoposto a controllo dell'amministrazione) possono portare a conclusioni diametralmente opposte sul punto dei rimedi esperibili da parte del terzo nel senso che la qualificazione giuridica dell'istituto sostanziale condiziona l'accesso alle tecniche di tutela della posizione del terzo pregiudicato.

Il CdS ha ricordato che la DIA è stata introdotta dall'art. 19 della L. n. 241 del 1990 (tale articolo in realtà oggi disciplina la segnalazione certificata di inizio attività detta S.C.I.A., mentre l'art. 20 prevede le ipotesi di silenzio-assenso) e, con riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/2001.
L'Ordinanza del CdA ha, inoltre, ricordato che la D.I.A. non è uno strumento di liberalizzazione e privatizzazione della attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo (sub specie della autorizzazione implicita di natura provvedimentale), a seguito del decorso del termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia, ed è impugnabile dal terzo nell'ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto della stessa.

Un'altra testi del CdS, afferma che i terzi che si sentano danneggiati dal silenzio serbato dall'amministrazione a fronte della presentazione della D.I.A. sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita

Tale tesi è stata, però, messa in dubbio da un'altra sentenza del CdS (9 febbraio 2009, n. 717) con la argomentazione secondo cui escogitare un provvedimento implicito che non esiste (a differenza del silenzio-assenso) non risulta di per sé idoneo ad assicurare un più elevato livello di tutela al terzo che si voglia opporre all'intervento; anzi, tale tesi lo esporrebbe alle incertezze interpretative sull'esatto momento in cui egli consegue la piena conoscenza dell'atto lesivo e a partire dal quale decorre il termine per l'eventuale impugnativa. Secondo tale costruzione, la DIA è atto di parte o atto del privato e ad essa non si applicano le regole tipiche del procedimento amministrativo.

In sintesi l'Ordinanza del CdS ha ammesso l'esistenza di almeno tre diverse tesi:
  • la prima è la tesi provvedimentale, della impugnativa tesa all'annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo implicito, assimilando tale fattispecie all'atto espresso, quale il permesso di costruire, o il silenzio-assenso, con termine decorrente dal completamento della fattispecie o dalla sua conoscenza e che si esplica a mezzo di una pronuncia di tipo demolitorio - annullatorio sul modello dell'art. 29 CPA;
  • la seconda, che privilegia la consistenza di atto del privato, fa riferimento ad una azione di accertamento autonomo (negativo) della inesistenza dei presupposti per ritenere completata la fattispecie, con effetti che trovano nel momento conformativo il potere e il dovere (da parte dell'amministrazione) di rimuovere gli effetti eventualmente verificatisi;
  • la terza tesi, invece, che pure parte dalla natura privata dell'atto, imporrebbe al terzo, che intenda opporsi all'intervento assentito, una volta decorsi i termini senza l'esercizio del potere inibitorio, di presentare istanza formale e eventualmente impugnare il successivo atto negativo dell'amministrazione o di agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio-rifiuto), sul modello del rimedio previsto attualmente dall'art. 31 CPA.

Sulla base delle suddette argomentazioni, la Sez. IV del CdS ha rimesso l'esame del problema all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

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