Permesso di costruire in sanatoria tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione

La consistenza delle difformità realizzate fa sì che il manufatto si costituisca come una nuova costruzione integralmente abusiva

di Redazione tecnica - 14/01/2021

Sanatoria edilizia: quanto conta la consistenza delle difformità realizzate per l’accertamento di conformità e l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria?

Permesso di costruire in sanatoria, ristrutturazione edilizia e nuova costruzione

Ecco un quesito molto interessante a cui risponde il Consiglio di Stato con la sentenza n. 423 del 13 dicembre 2021 resa in riferimento al ricorso presentato da un Comune per l’annullamento di una decisione del TAR concernente un diniego di accertamento di conformità di opere abusive realizzate e la conseguente ordinanza di demolizione.

Il caso di specie

Il caso riguarda il diniego posto dal Comune alla domanda di accertamento di conformità di opere edilizie realizzate in difformità a permesso di costruire, a cui era seguita un’ordinanza di demolizione e un nuovo diniego di accertamento di conformità, emesso dopo l’ordinanza cautelare di riesame, chiarendo che l’insanabilità era legata alla violazione delle N.T.A. del P.R.G.

In primo grado, il TAR aveva accolto la tesi del ricorrente basata:

  • sull’assenza di indicazioni normative violate e l’irrilevanza delle novità costruttive ritenute ostative dalla Amministrazione;
  • la mancata comunicazione di avvio del procedimento che ha condotto all’ordinanza di demolizione.

In particolare, secondo il Tribunale di primo grado:

  • l’intervento è qualificabile come di ristrutturazione e non di nuova costruzione, vertendo le opere su un edificio da considerare tecnicamente “esistente”;
  • sono suscettibili di sanatoria le opere edilizie, sebbene realizzate in doppia battuta;
  • se l’edificio deve reputarsi esistente, “non si vede perché non debba essere assoggettato alle restanti norme di piano relative alle zone G7, e in particolare alle norme che consentono l’ampliamento delle strutture da considerarsi esistenti all’entrata in vigore del PRG”.

Chiariamo subito che le difformità di cui si sta parlando sono la realizzazione di un piano interrato e di un piano soppalco, resi inaccessibili prima della presentazione del secondo accertamento di conformità (quello presentato dopo l’ordinanza di demolizione).

La consistenza dell’intervento edilizio

Il nodo cruciale su cui si sono soffermati i giudici del Consiglio di Stato riguarda la reale consistenza dell’intervento edilizio, tale da stravolgere la fisionomia del’immobile preesistente anche con l’aggiunta di due piani (un soppalco e uno interrato).

Il Consiglio di Stato, confermando la tesi del Comune, ha ritenuto che l’intervento edilizio descritto ha determinato una notevole trasformazione dell’assetto edilizio preesistente, tanto che da un volume distribuito su di un unico livello si è pervenuti ad un edificio su tre livelli. Inoltre, le modifiche interne apportate al manufatto, finalizzate a rendere inaccessibili parti del fabbricato che, per le loro caratteristiche morfologiche, si atteggiano a veri e propri due autonomi livelli, ovverosia piano interrato e soppalco, non sono idonee a neutralizzare la notevole portata innovativa delle difformità realizzate rispetto al progetto iniziale, nella loro permanente fisicità oltre che verosimile incidenza su sagoma e prospetto.

Abusi edilizi tra ristrutturazione e nuova costruzione

Ciò premesso, il Consiglio di Stato non ha condiviso la tesi del TAR che ha ritenuto tecnicamente esistente il manufatto, riconoscendo la possibilità offerta dal PRG di poterlo completare.

È pacifico ritenere che quando un manufatto viene stravolto nelle sue caratteristiche essenziali, così come autorizzate, l’intervento non può essere qualificato come ristrutturazione edilizia ma come nuova costruzione. Con tale locuzione si intende qualsiasi intervento che consista in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene, dunque, assunto nell'irreversibilità spazio-temporale dell'intervento) che possono sostanziarsi o nella costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o nell’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma stabilita.

La nozione di nuova costruzione e ristrutturazione edilizia

Nella nozione di nuova costruzione possono rientrare anche gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione dell’immobile, possa parlarsi di una modifica radicale dello stesso, con la conseguenza che l’opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente. La ristrutturazione edilizia sussiste solo quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre laddove esso sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria (allungamento delle falde del tetto, perdita degli originari abbaini, sopraelevazione della cassa scale, etc.), l’intervento rientra nella nozione di nuova costruzione.

Pur consentendo l’art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, tuttavia occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente.

Nel caso di specie, le caratteristiche del manufatto sono completamente diverse da quelle inizialmente assentite già solo per il fatto che l’edificio ha una diversa ubicazione (con parziale rototraslazione) rispetto a quella assentita e presenta, oltre ai due ulteriori livelli.

La consistenza degli abusi

La consistenza complessiva delle difformità realizzate fa sì che il manufatto si atteggi ad un quid alium rispetto a quanto assentito, cosicché costituisce una nuova costruzione integralmente abusiva.

Inoltre, gli accorgimenti ai quali l’appellato ha fatto ricorso per rendere inaccessibili i due livelli non assentiti sono inefficaci, perché non ne elidono la consistenza fisico-materiale; inoltre apportare modifiche, peraltro così significative (tali da “isolare” due livelli dell’edificio), ad un’opera edilizia di cui si chiede la sanatoria ai sensi dell’art. 36 (accertamento di conformità) del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia) é in stridente contrasto con la stessa ratio della norma, che è quella di consentire la conservazione degli immobili interessati da abusi solo formali.

Niente permesso di costruire in sanatoria condizionato

Infine, l’art. 36 del Testo Unico Edilizia non prevede sanatorie parziali o condizionate di edificazioni strutturalmente unitarie. Il rilascio di un permesso in sanatoria con prescrizioni (o condizionato), con le quali si subordina l’efficacia dell’accertamento alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della decisione, contraddice, innanzitutto sul piano logico, la rigida direttiva normativa poiché la previsione di condizioni o prescrizioni smentisce qualsiasi asserzione circa la doppia conformità dell’opera, dimostrando che tale conformità non sussiste se non attraverso l’esecuzione di modifiche ulteriori e postume (rispetto alla stessa presentazione della domanda di accertamento in sanatoria).

A medesime conclusioni si deve pervenire quando le modifiche allo status quo sono apportate preliminarmente su iniziativa dello stesso richiedente il titolo in sanatoria, tanto più che esse rappresentano un ulteriore stadio costruttivo a sua volta non autorizzato e quindi comunque, financo se dettato da esigenze manutentive, di carattere abusivo.

La doppia conformità

In definitiva, l’intervento descritto non è assentibile in base all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, sia perché in contrasto con la disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento (tanto più che lo stesso ricorrente ammette di aver realizzato le opere prima della richiesta di variante e quindi in totale difformità  al titolo rilasciato secondo la disciplina urbanistica localmente vigente) sia in relazione alla disciplina “al momento della presentazione della domanda” (c.d. doppia conformità), appunto perché, destinandola a zona G7, essa riconosce la rilevanza ambientale dei luoghi ed esclude la edificabilità di una nuova costruzione avente la diversa sagoma, quale appunto deve intendersi quella in questione.

In conclusione, l’appello è stato accolto e i provvedimenti di diniego di sanatoria edilizia e demolizione confermati.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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