Abusi edilizi e accertamento di conformità: nessun obbligo di verifica per la P.A.

Consiglio di Stato: la verifica di conformità è onere dell’Amministrazione soltanto in presenza di istanza di accertamento da parte del privato

di Redazione tecnica - 20/11/2023

Quando un’Amministrazione rileva un abuso edilizio, il suo dovere è fare in modo di ripristinare lo stato dei luoghi antecedente, senza alcun obbligo di verificare se ci siano le condizioni per la sanabilità. Questo perché un’eventuale verifica di conformità è subordinata alla presentazione della domanda di sanatoria da parte del privato.

Accertamento di conformità: gli obblighi di verifica da parte della P.A.

Si tratta di un importante principio in materia di illeciti edilizi, che il Consiglio di Stato ha ribadito con la sentenza del 17 novembre 2023, n. 9866, respingendo il ricorso presentato contro l’ordine di demolizione di alcuni abusi edilizi, consistenti nella realizzazione di diversi terrazzamenti e nuove volumetrie in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

Secondo il ricorrente, il giudice di primo grado aveva errato nel considerare non provata l’effettiva coincidenza dell’oggetto della domanda di condono ex art. 32 del d.l. n. 269/2003 (c.d. "Terzo Condono Edilizio") con gli abusi contestati che richiedevano il permesso di costruire e, ricadendo in area paesaggisticamente vincolata, anche il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. II tutto perché la corrispondenza tra le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione e quelle per le quali era stata presentata la domanda di condono sarebbe stata provata secondo il principio di non contestazione.

Inoltre, anche a voler ritenere che le opere contestate siano state realizzate successivamente al 31 marzo 2003, ovvero non fosse stata dimostrata la loro preesistenza a tale data, l’ordinanza sarebbe comunque illegittima in quanto si sarebbe trattato di lavori di completamento consentiti dall’art. 31 della l. n. 47 del 1985 e per i quali non sarebbe stato necessario il previo rilascio del permesso di costruire o l’autorizzazione paesaggistica, ma solo la presentazione della D.I.A., la cui assenza, al più, avrebbe potuto solo comportare l’irrogazione di una sanzione pecuniaria e non l’ingiunzione di demolizione.

Onere della prova è a carico del privato

Sulla questione il Consiglio di Stato ha precisato che l'onere probatorio non può ritersi assolto sulla base del principio di non contestazione, atteso che, come si ricava dall'art. 62, comma 2, c.p.a., affinché il medesimo possa operare occorre che la parte cui spetterebbe contestare i fatti addotti sia costituita in giudizio, mentre nella specie il Comune non si è costituito.

Il T.A.R. ha, quindi, nel caso di specie, correttamente preso atto del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’appellante in ordine all’effettiva coincidenza dell’oggetto della domanda di condono ex art. 32 del d.l. n. 269/2003; per altro i lavori non potevano essere considerati di completamento consentiti dall’art. 31 della l. n. 47 del 1985.

Sul punto, trova applicazione l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure laddove in astratto riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, per cui non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35, l. n. 47 del 1985, ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica.

In questo caso, non si trattava di interventi fattibili sulla scorta di una mera D.I.A. (oggi S.C.I.A.): essi hanno comportato non solo mutamenti di prospetto (con la trasformazione di taluni ambienti in terrazzi) ma anche la realizzazione di nuove volumetrie.

Verifica di conformità urbanistica: a chi spetta e quando

Sempre infondata, secondo Palazzo Spada, è la tesi per cui prima di ingiungere la demolizione, il Comune avrebbe dovuto accertare la possibilità di assentire in sanatoria quanto realizzato in assenza di titolo abilitativo e valutare, quindi, la compatibilità delle opere contestate con gli strumenti urbanistici.

La realizzazione delle opere edilizie descritte nell’ordine di demolizione in assenza del prescritto titolo edilizio, infatti, costituisce elemento sufficiente a giustificare l’adozione del provvedimento impugnato; tale circostanza impone al Comune di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi a prescindere dall’eventuale compatibilità delle opere gli con strumenti urbanistici.

Secondo la costante giurisprudenza, la conformità urbanistica delle opere deve essere oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione comunale solo nell’ipotesi in cui il privato abbia presentato un’istanza di accertamento di conformità, come specificato in una sentenza precedente del Consiglio di Stato del 20 luglio 2021, n. 5457: “In presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.P.R. n. 380 cit., che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi”.

La sentenza del Consiglio di Stato

Di conseguenza, l’appello è stato respinto: l’istanza di condono presentata era vaga e non specificava gli abusi per i quali si chiedeva la sanatoria, né era stata fornita prova sulla loro data di ultimazione, così come l’eventuale accertamento di conformità era a carico del provato e non dell’Amministrazione.

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