Abusi edilizi, fiscalizzazione e accertamento di conformità: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato

Palazzo Spada ricorda la differenza tra parziale e totale difformità dal titolo edilizio e i presupposti per sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria

di Redazione tecnica - 16/06/2023

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria va valutata dall’amministrazione nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto a quella che porta all’ordine di demolizione. È solo allora che la parte interessata può, qualora ne ricorrano i presupposti, far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall’esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile. Questo perché l’impossibilità a demolire i manufatti abusivi e quindi l’accesso alla c.d. fiscalizzazione deve avere natura oggettiva, e non deve manifestarsi come semplice difficoltà che possa essere superata con l’adozione di particolari accorgimenti, per quanto costosi.

Fiscalizzazione abusi edilizi: la sanzione alternativa alla demolizione

Difficile quindi eludere un oridne di demolizione, quando oggettivamente non ne ricorrano i presupposti e soprattutto prima della fase esecutiva: a sottolinearlo è la sentenza n. 5090/2023 del Consiglio di Stato, con la quale Palazzo Spada ha confermato la legittimità di un ordine di demolizione di opere abusive, consistenti nella realizzazione di un bilocale abitabile al posto di due box cantina, con cambio di destinazione d’uso e aumento volumetrico.

A seguito dell’ingiunzione di demolizione la proprietaria dell’immobile ha presentato istanza di sanatoria chiedendo l’applicazione degli articoli 34 e 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), anche in riferimento alla L.R. Lazio n. 13/2009.

L’Amministrazione comunale ha respinto l’istanza in quanto:

  • l’articolo 34 del d.P.R. n. 380/2001 non risultava applicabile poiché l’intervento abusivo è stato classificato nell’ambito dell’art. 31 del d.P.R n. 380/2001 in quanto opera non utilizzabile autonomamente e facilmente demolibile;
  • l’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001 (cd “accertamento di conformità”) prevede la conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione delle opere sia al momento della presentazione della domanda, mentre le opere realizzate non risultavano conformi alla disciplina urbanistica, in quanto configuravano un aumento di volume non previsto dalle norme stesse;
  • la legge regionale n. 13/2009 non risultava ancora applicabile, non prevedendo la possibilità di sanare opere già realizzate abusivamente, ma consentendo esclusivamente la possibilità di recuperare ai fini residenziali, locali esistenti e legittimi alla data del 31 dicembre 2011, laddove nel caso specifico si tratta di opere già realizzate.

Variazioni essenziali e interventi in parziale difformità: le disposizioni del Testo Unico Edilizia

Per valutare il caso, giunto al Consiglio di Stato, i giudici d’appello hanno preliminarmente richiamato le disposizioni degli articoli 31, 34 e 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia):

  • l’art. 31, rubricato “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” stabilisce, al primo comma, che “sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile” e, al secondo comma, che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”;
  • l’art. 34, denominato “interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, dispone che “gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese del responsabile dell’abuso …. decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso” e, al secondo comma, prevede che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione … della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale … per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”,
  • l’art. 36, denominato “accertamento di conformità”, prevede che “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso … il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.

Fiscalizzazione dell’abuso: quando è possibile?

La giurisprudenza ha chiarito come l’art. 34 sia applicabile solo agli abusi meno gravi riferibili a:

  • parziale difformità dal titolo abilitativo, in ragione del minor pregiudizio causato all'interesse urbanistico;
  • annullamento del permesso di costruire, in ragione della tutela dell'affidamento che il privato ha posto nel titolo edilizio a suo tempo rilasciato e, poi, fatto oggetto di autotutela e della circostanza che l'opera è stata costruita comunque sulla base di un provvedimento abilitativo.

Viceversa, con riferimento alle ipotesi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino rimane l’unica applicabile, quale strumento per garantire l'equilibrio urbanistico violato.

La nozione di parziale difformità, secondo la giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione.

La sentenza del Consiglio di Stato

In questo caso, le difformità del fabbricato residenziale rispetto al progetto licenziato erano di indubbia consistenza, per cui è ragionevole ritenere che l’appellante non potesse accedere alla c.d. “fiscalizzazione” della sanzione, ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001.

Gli abusi sanzionati, infatti, hanno obiettivamente trasformato l’originario manufatto in un organismo edilizio diverso da quello originario con riferimento alle sue caratteristiche essenziali, per cui in nessun modo potrebbe parlarsi di parziale difformità, tanto che la trasformazione dei luoghi impedisce di distinguere l’immobile originario da quello che ne è derivato a seguito della realizzazione degli illeciti edilizi.

Si è in presenza infatti di una radicale difformità dal titolo originario, trattandosi di ampliamento con cambio di destinazione d’uso.

In ogni caso, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'amministrazione nella fase esecutiva del procedimento, che è successiva ed autonoma rispetto a quella che sfocia nell’ordine di demolizione, per cui è in tale fase esecutiva che la parte interessata può, ricorrendone i presupposti, far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall'esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile.

L’impossibilità a demolire i manufatti abusivi, che consente di accedere alla c.d. fiscalizzazione, inoltre, deve avere natura oggettiva, e non deve manifestarsi come semplice difficoltà che possa essere superata con l’adozione di particolari accorgimenti, per quanto costosi.

Allo stesso modo, i giudici di Palazzo Spada hanno rilevato l’insussistenza della c.d. doppia conformità urbanistica , dato che le opere realizzate configuravano un aumento di volume non previsto dalle norme, considerato che il fabbricato realizzato sviluppava già la massima volumetria assentita.

 

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