Abusi edilizi e sanzione alternativa alla demolizione: interviene il Consiglio di Stato

Consiglio di Stato: "La differenza sostanziale tra le varie ipotesi di monetizzazione degli abusi va ravvisata negli effetti della stessa sulla regolarità dell’opera"

di Redazione tecnica - 27/11/2023

In caso di abuso edilizio sostanziale (diverso da quello formale) l'attuale normativa edilizia prevede come principale sanzione la sua demolizione. Esistono, però, delle casistiche in cui al posto del provvedimento demolitorio la pubblica amministrazione possa applicare una sanzione alternativa (c.d. fiscalizzazione dell'abuso).

Sanzione alternativa: nuova sentenza del Consiglio di Stato

Di sanzione alternativa ne abbiamo scritto tante volte su queste pagine evidenziando le differenze tra le varie possibilità previste dal d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) che sono state interamente riprese dal Consiglio di Stato nella sentenza 15 novembre 2023, n. 9799 che vale la pena analizzare anche in riferimento agli abusi realizzati in caso di interventi di edilizia residenziale pubblica.

Il caso di specie, molto interessante,riguarda gli assegnatari di due distinti alloggi di edilizia residenziale pubblica facenti parte di un complesso immobiliare realizzato in regime di edilizia convenzionata sulla base di una concessione edilizia e successiva variante, entrambe rilasciate dai competenti uffici del Comune.

Unitamente agli altri assegnatari, molti dei quali ricorrenti collettivamente in primo grado, a seguito di un esposto e susseguente verifica ispettiva, si sono visti recapitare un’ingiunzione a demolire opere interne realizzate in parziale difformità dai richiamati titoli edilizi. Pur accomunati da identità di situazione fattuale, i vari condomini hanno avuto sorti diversificate, anche sul piano processuale, avendo tutti gli altri avanzato istanza di fiscalizzazione dell’abuso, quale alternativa all’accertamento di conformità, mentre gli attuali appellanti si sono limitati a chiedere la sanatoria, ritenendo di esclusiva spettanza del Comune la valutazione della sussistenza degli estremi per l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria.

Preliminarmente occorre rilevare che è incontestato che le difformità rilevate in occasione dei sopralluoghi del personale tecnico e di vigilanza del Comune poste a base dell’atto impugnato, siano da inquadrare nel paradigma di cui all’art. 34 del Testo Unico Edilizia, essendo stati riscontrati “scostamenti” rispetto a quanto assentito con la concessione edilizia originaria, oggetto di successive varianti e con le convenzioni intervenute tra il soggetto attuatore dell’intervento e l’Amministrazione procedente.

Secondo il TAR, le sorti differenti sarebbero da giustificare al fatto che la cosiddetta fiscalizzazione dell'abuso, alternativa alla demolizione, è un istituto applicabile a specifica domanda dell'interessato e come tale preclusa laddove la stessa non sia stata presentata.

La fiscalizzazione dell'abuso: le differenze nel Testo Unico Edilizia

Il Consiglio di Stato evidenzia subito che il regime sanzionatorio declinato per il caso di parziale difformità, in quanto illecito connotato da minor disvalore giusta la sostanziale coincidenza delle opere realizzate con il modello progettuale, è evidentemente caratterizzato, per esplicita scelta legislativa, dal minor rigore delle conseguenze. A prescindere, pertanto, dall’eventuale riconducibilità dello stesso alla fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. a) del medesimo Testo unico, il suo accertamento implica l’intimazione di ripristino dello stato dei luoghi ovvero, in alternativa, una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della sola parte dell’opera realizzata in difformità, quantomeno laddove, come nel caso di specie, l’immobile sia ad uso abitativo.

Ciò premesso, le sanzioni alternative possono essere comminate:

  • in caso di totale difformità o variazione essenziale dal titolo nell’ambito di una ristrutturazione edilizia (art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001);
  • a fronte di accertata difformità solo parziale (art. 34, comma 2, e 2-bis, che ne ha esteso l’applicabilità anche agli interventi soggetti a S.c.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 01);
  • all’esito di un annullamento, giudiziale o in autotutela, del titolo stesso (art. 38).

Possibilità che hanno delle differenze sostanziali in termini di effetti sullo "stato legittimo" dell'immobile. Solo nel caso di sanzione alternativa ai sensi dell'art. 38 si produce lo stesso effetto sanante di cui al precedente art. 36 (accertamento di conformità, permesso di costruire in sanatoria). Negli altri due casi l'irregolarità dell'opera viene solo "tollerata". Nel caso degli artt. 33 e 34, in assenza precise indicazioni da parte del legislatore, dopo non poche oscillazioni interpretative, la giurisprudenza pare attestata nell’escludere la portata sanante del pagamento della sanzione, ravvisandovi piuttosto una sorta di tolleranza formalizzata di una situazione non conforme ad ordinamento.

Sul piano dei presupposti oggettivi, mentre nel caso di variazione essenziale o totale difformità ovvero di illiceità dell’intervento sopravvenuta all’annullamento del titolo si fa riferimento all’impossibilità di esecuzione, il cui accertamento motivato è demandato espressamente, almeno nella prima ipotesi, ai competenti uffici tecnici comunali (art.33, comma 2), laddove si tratti di parziale difformità la stessa è limitata espressamente alla verifica dell’impatto sulla «parte eseguita in conformità», che non deve ricavarne pregiudizio.

L'accesso alla fiscalizzazione

Alla natura eccezionale e derogatoria della monetizzazione dell’abuso consegue anche la necessità che vi si acceda su istanza della parte privata interessata ad evitare le conseguenze del prospettato ripristino ed in reazione allo stesso.

Se tale è il modello procedurale generalmente applicabile, tuttavia, esso non implica certo che in singoli casi, nei quali l’impossibilità di esecuzione, assoluta o commisurata alla parte lecita dell’opera, già risulti perché per varie ragioni accertata ex officio, il Comune non possa attivarsi autonomamente, sol perché non è stato cioè compulsato dalla proprietà.

In altre parole, seppure non possa configurarsi, come preteso dagli appellanti, un vero e proprio obbligo di adoperarsi preventivamente per le necessarie verifiche a carico della p.a. procedente, niente vieta che ove le stesse ci sono state, obiettive esigenze di economia procedimentale inducano a tradurne le risultanze negli atti conseguenziali.

L’impossibilità esecutiva, infatti, oltre e prima che presupposto giuridico per accedere alla fiscalizzazione, integra un fattore materiale impeditivo dell’esecuzione in fatto, sicché a fronte dello stesso l’unico rimedio residuo a disposizione dell’ordinamento per reagire in maniera mirata alla situazione di accertata illegalità non può che essere la sanzione pecuniaria. Quanto detto trova del resto riscontro in talune pronunce, in particolare di prime cure, che al fine di non vanificare le risultanze di accertamenti già nella disponibilità del Comune, hanno affermato la legittimità dell’immediata irrogazione della sanzione pecuniaria, non preceduta cioè da ingiunzione a demolire, in quanto quest’ultima si rivelerebbe sostanzialmente superflua, giusta l’acquisita impossibilità della sua successiva attuazione.

Il caso di specie

Nel caso di specie, l’impossibilità di procedere all’esecuzione della demolizione è stata accertata, per esplicita ammissione degli appellanti, con perizia, ovvero in epoca successiva all’adozione della relativa ingiunzione. A ciò consegue che essa non può in alcun modo inficiarne la validità, facendo apparire come doveroso un accertamento d’ufficio dell’impossibilità demolitoria prima di ingiungere il ripristino, laddove lo stesso doveroso non è.

Resta evidentemente il fatto storico della certificata inscindibilità degli abusi, sicché non si comprende come il Comune pretenda di tenerne conto in alcuni casi, ignorandolo in relazione agli odierni appellanti. Ma, come già detto, trattandosi di problematica futura, essa non si riverbera in alcun modo sulla legittimità, sotto tale profilo, del provvedimento impugnato.

Le responsabilità

In generale, dunque, vale per le sanzioni in materia urbanistico-edilizia il principio in forza del quale esse colpiscono il bene realizzato o modificato in assenza del giusto titolo e non il comportamento che vi ha dato origine. In quest’ottica, esse possono essere irrogate anche nei confronti del proprietario non responsabile, in quanto si trova in una relazione qualificata con l’immobile, che lo identifica come il solo soggetto legittimato ad intervenire, eliminando l’abuso. Inoltre, il suo coinvolgimento trova giustificazione nel fatto che diversamente egli comunque verrebbe ad estendere il suo diritto di proprietà sull’opera abusivamente realizzata, beneficiandone, a prescindere da chi ne sia l’autore materiale.

Tali principi subiscono tuttavia talune mitigazioni/adattamenti per esplicita scelta del legislatore in relazione a specifiche ipotesi, tra le quali, almeno entro certi limiti, figura anche quella di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

La norma, infatti, per il caso di parziale difformità dal titolo non replica il modello contenuto nell’art. 31 del medesimo Testo unico con riferimento agli abusi più gravi, individuando quali destinatari esclusivi dell’ingiunzione demolitoria/ripristinatoria i soli responsabili dell’abuso, senza menzionare in alcun modo anche i proprietari.

A differenza, dunque, di quanto accade per i rimanenti abusi edilizi commessi in aree di proprietà privata, dove la sanzione demolitoria può essere irrogata anche al proprietario non responsabile, il caso di edilizia residenziale pubblica parrebbe presupporre l’imputabilità dell’opera abusiva al destinatario della sanzione.

Edilizia residenziale pubblica

In caso di edilizia residenziale pubblica, non si applica l’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto l’insistenza sul suolo di un diritto di superficie sposta sul titolare dello stesso le conseguenze degli atti ripristinatori.

Nel caso in cui vi sia una proprietà superficiaria privata al di sopra della nuda proprietà pubblica, come avviene tipicamente per gli interventi di edilizia residenziale pubblica, se, da un lato, si rafforza la necessità che il Comune presidi l’avvio dell’operazione, fino all’assegnazione delle unità immobiliari abitabili ai singoli aventi titolo; dall’altro, una volta effettuate le assegnazioni, si riverberano sui singoli assegnatari tutti gli obblighi propter rem, quale quello demolitorio.

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