Abusi edilizi: la totale difformità e le responsabilità del direttore dei lavori

La Corte di Cassazione entra nel merito delle condizioni richieste affinché un intervento possa ritenersi in totale difformità del titolo edilizio e configurarsi il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380/2001. Nuovi chiarimenti anche sulle responsabilità del direttore dei lavori

di Gianluca Oreto - 02/09/2022

Quello della gestione delle difformità edilizie è un tema molto affascinante che coinvolge un discreto numero di norme: la legge urbanistica, il testo unico edilizia, il codice dell'ambiente, il codice dei beni culturali, il codice della navigazione, le norme tecniche per le costruzioni, il testo unico sicurezza lavoro, oltre che leggi regionali, regolamenti edilizi e piani regolatori.

La normativa edilizia e la gestione delle difformità

Un intricato groviglio di norme, pesantemente modificate nel corso della loro vita, a cui si aggiungono le tre leggi speciali sul condono edilizio (n. 47/1985, n. 724/1994 e n. 326/2003) che hanno creato diversi regimi temporali per tutto l'edificato italiano. La verifica di conformità urbanistico-edilizia è oggi un'attività di ricerca molto dispendiosa nei casi in cui all'interno dello stesso territorio vigono regole diverse in funzione degli anni.

Una singola difformità edilizia può essere "trattata" in diversi modi a seconda della sua gravità. Esistono difformità che non configurano "abuso edilizio", se l'intervento avrebbe potuto essere realizzato attraverso CILA. Ne esistono altre di cui è necessario verificare se trattasi di "abuso formale" perché l'intervento avrebbe potuto essere realizzato con una SCIA o PdC sia al momento della sua realizzazione che nel momento in cui si verifica la sua conformità, Attraverso l'istituto dell'accertamento di conformità è possibile ottenere la sanatoria edilizia se l'immobile risulta possedere la "doppia conformità".

Nel caso, invece, di abusi sostanziali, la normativa edilizia non è perfettamente lineare ma è riuscita a formare degli orientamenti pacifici soprattutto grazie l'oltre ventennio di interventi dei Tribunali di ogni ordine e grado. Come con la recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 32020/2022 che ci consente di approfondire proprio il tema degli abusi sostanziali e dei reati previsti all'art. 44 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

I reati nel Testo Unico Edilizia

Entrando nel dettaglio, il Testo Unico Edilizia (TUE) dedica al penale le seguenti parti:

  • l'art. 44 (Sanzioni penali) legato alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia;
  • la Parte II (Normativa tecnica per l’edilizia), Capo II (Disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica), Sezione III (Norme penali) dedicato agli abusi di tipo "strutturale".

In riferimento ai reati urbanistico-edilizi, l'art. 44, comma1 del TUE prevede:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:

  1. l'ammenda fino a 10.329 euro per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
  2. l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione;
  3. l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.

Nel caso di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione è, dunque, previsto l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5.164 a 51.645 euro.

Lavori in totale difformità

Relativamente ai lavori in totale difformità, quando si considera verificata questa condizione? Ha risposto a questa domanda proprio la sentenza della Cassazione n. 32020/2022 per la quale ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, si considera in "totale difformità" l'intervento che, sulla base di una comparazione unitaria e sintetica fra l'organismo programmato e quello che è stato realizzato con l'attività costruttiva, risulti integralmente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre, invece, in "parziale difformità" l'intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, all'esito di una valutazione analitica delle singole difformità risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale.

La sanatoria edilizia e l'estinzione del reato

Relativamente alla possibile estinzione del reato per sopraggiunta sanatoria edilizia, gli ermellini ricordano che la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 citato:

  • non ammette termini o condizioni;
  • deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso;
  • può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria.

La Cassazione esclude la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. Per questo motivo è illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica, senza quindi che siano consentiti accorgimenti per far rientrare la stessa nell'alveo della legittimità urbanistica.

La speciale clausola estintiva del reato

Del pari, quanto ai reati paesaggistici, la speciale causa estintiva, prevista dall'art. 181-quinquies d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, opera a condizione che l'autore dell'abuso si attivi "spontaneamente" alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anticipando l'emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio, sì da non essere eseguita coattivamente su impulso dell'autorità amministrativa. Nel caso di specie non vi era stata alcuna spontanea rimessione in pristino, cui era stato dato corso dopo l'intimazione dell'Autorità amministrativa.

Le responsabilità del direttore dei lavori

Ma l'intervento della Cassazione ci consente di approfondire anche il tema legato alle responsabilità del direttore dei lavori nel caso di abusi edilizi. Secondo la Suprema Corte la Corte territoriale avrebbe correttamente ricordato il principio consolidato secondo il quale, in tema di reati edilizi, l'obbligo di vigilanza sulla conformità delle opere al permesso di costruire, gravante sul direttore dei lavori ai sensi dell'art. 29, comma 1, del TUE, cui consegue la responsabilità penale del predetto nel caso di reati commessi da altri senza che intervenga la sua dissociazione ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, permane sino alla comunicazione della formale conclusione dell'intervento o alla rinunzia all'incarico e non viene meno in caso di adozione dell'ordinanza di sospensione dei lavori, salvo che - e fintanto - che il cantiere sia sottoposto a sequestro, in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all'incarico.

Nel caso di specie, dopo l'istanza di sospensione dei lavori inviata dal direttore e dall'impresa, nessun'altra ditta e nessun altro direttore furono nominati. Secondo la Corte territoriale, il direttore dei lavori e l'impresa sarebbero stati certamente protagonisti delle successive opere di parziale rimessione in pristino e occupandosi anche della pratica in sanatoria. Il direttore dei lavori, infine, non si sarebbe mai dissociato né avrebbe mai rinunciato formalmente all'incarico conferitogli dalla committenza, neppure dopo l'avvenuto sequestro del manufatto.

La Corte territoriale ha sottolineato l'inverosimiglianza che il direttore dei lavori, e il titolare della ditta esecutrice, avessero eseguito le opere edilizie fino al momento della sospensione dei lavori, e poi fossero intervenuti per rimuovere le opere abusive (nelle more, all'evidenza, realizzate allora da mano ignota che, se ci fosse stata, ben facilmente avrebbero potuto essere rintracciata).

In definitiva, in tema di prova indiziaria alla Corte di Cassazione compete il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonché la verifica della completezza, della correttezza e della logicità del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l'elemento indiziario, ma non anche un nuovo accertamento che ripeta l'esperienza conoscitiva del giudice del merito.

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