Abusi edilizi in zona vincolata: niente sanatoria se si creano nuovi volumi e superfici

Il Consiglio di Stato ribadisce che non ci sono deroghe alla richiesta di titolo edilizio abilitativo e che la realizzazione di nuovi volumi non può essere considerata edilizia libera

di Redazione tecnica - 26/07/2022

La creazione di nuovi volumi e superfici in area vincolata non rientra nelle attività di edilizia libera ed è soggetta a permesso di costruire oltre che di autorizzazione paesaggistica. A ribadirlo ancora una volta è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6519/2022 sul ricorso contro un ordine di demolizione e il diniego di accertamento di conformità.

Interventi abusivi in zona vincolata: edilizia libera o permesso di costruire?

Secondo i ricorrenti le opere contestate, consistenti nella realizzazione di scale di accesso, sostituzione del cancello di ingresso e dei muri di contenimento, rifacimento della pavimentazione e aperture sui prospetti avrebbero rappresentato interventi interni ed assentiti dal cosiddetto “Piano Casa” (l.r. Campania n. 19/2009); allo stesso modo il rigetto dell’istanza di accertamento in conformità sarebbe illegittimo perché si sarebbe trattato di interventi sanabili.  Inoltre, il giudice di primo grado non avrebbe erroneamente ritenuto che l’incremento della volumetria attraverso tali opere sarebbe stato in ogni modo assentibile dal “Piano Casa” (l.r. Campania n. 19/2009) , con la possibilità di incrementare fino al 20% della cubatura residenziale originaria, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti.

La sentenza del Consiglio di Stato

Per quanto riguarda l’ordinanza di demolizione, il Collegio osserva che le diverse opere accertate come abusive del Comune devono essere considerate nella loro organica globalità, perché denotano la realizzazione continuativa di diversi illeciti edilizi tra loro complementari, trasformando quindi progressivamente un complesso edilizio, sotto vari profili (planivolumetrico, morfologico, strutturale e funzionale), differenziandolo in maniera rilevante rispetto a quanto a suo tempo posto alla base del titolo edilizio.

L’accertamento di questi cambiamenti sine titulo è poi stato ulteriormente ribadito dal primo giudice, che ha ricordato che la “realizzazione di terrazzi, di scale, di aperture, di una parete in luogo di un preesistente cancello, ha portato al sostanziale frazionamento dell’originaria abitazione in due unità immobiliari distinte e indipendenti, alla creazione di maggiore volumetria mediante abbassamento del calpestio, nonché ampliamento del piano terra, al cambio di destinazione d’uso di un locale tecnico in wc”, confermando di arrecare così un impatto volumetrico sul territorio (ed un conseguente aumento del carico urbanistico) sia singolarmente, sia nel loro complesso. Tale importante insieme di singoli interventi escludono che possano rientrare nell’edilizia libera e non rileva neppure il fatto che l’intervento possa essere stato fatto in tempi remoti, in quanto al di là della mancata prova temporale, l’abuso edilizio non può essere visto in maniera “atomistica” o “frazionata”, ma deve essere valutato nel suo insieme.

Spiega il Consiglio di Stato che l’ordinanza di demolizione risulta legittima alla luce della costante giurisprudenza amministrativa che richiede il permesso di costruire per gli interventi che comportano “il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio” o che “comportano una alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, che sono incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono invece la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie”.

Inoltre non è possibile applicare una sanzione pecuniaria in alternativa, non essendo rinvenibile nel caso in esame l’ambito di applicazione per tale forma alternativa alla demolizione, trattandosi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire, per di più in zona vincolata.

I presupposti per l'accertamento di conformità

In riferimento al diniego dell’istanza di accertamento di conformità, il Consiglio ha ricordatoche la normativa riguardante il “Piano Casa” è stata dichiarata incostituzionale sul punto. Essa infatti permerteva, nella formulazione originaria, la presentazione di permessi di costruire in sanatoria senza la “doppia conformità”, mentre la doppia conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia)  prevede il rispetto della normativa vigente alla data di presentazione della domanda in sanatoria, oltre che nel momento in cui è avvenuto l’abuso. Come è stato dedotto precedentemente, tali condizioni non erano presenti nel caso in esame, caratterizzato dalla creazione di nuovi volumi e superfici non assentiti dallo strumento urbanistico vigente, in zona vincolata paesaggisticamente.

Inoltre, Palazzo Spada ha sottolineato come le norme regionali sul piano casa siano eccezionali e di stretta interpretazione; la prova della sussistenza delle condizioni che ammettono al beneficio volumetrico spetta a chi propone la domanda di permesso di costruire ed è indispensabile che il progetto sottoposto al comune sia conforme a tutte le disposizioni urbanistiche, edilizie, e di settore.

L'appello è stato quindi respinto, confermando l'ordine di demolizione per lavori di ristrutturazione con creazione di nuovi volumi eseguiti senza permesso di costruire e senza autorizzazione paesaggistica in zona vincolata.

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