Abusi e sanatoria edilizia: il potere-dovere dell’amministrazione

Il Consiglio di Stato si esprime sul silenzio inadempimento e gli atti amministrativi di sanatoria ai sensi dell’art. 37 del DPR n. 380/2001 adottati dal Comune

di Giorgio Vaiana - 24/05/2021

C'è ancora una volta una "guerra" tra vicini sul tavolo dei giudici del Consiglio di Stato. Chiamati ad esprimersi su alcuni casi di costruzioni abusive, ma soprattutto valutare il comportamento corretto di un'amministrazione comunale. Con la sentenza n. 3430/2021, parliamo di silenzio impedimento, di concessioni edilizie in sanatoria, di SCIA di demolizione trasformata in sanante e molto altro.

Quando si configura il silenzio inadempimento

Perché si possa configurare il silenzio inadempimento, occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, trascorso il termine di conclusione del procedimento, "non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l'amministrazione una condotta inerte". Si parla di "obbligo di provvedere", quando ci sono ragioni di giustizia e equità che impongono all'amministrazione l'adozione di un provvedimento. L’Amministrazione è tenuta ad assumere una decisione espressa, "anche qualora si faccia questione di procedimenti ad istanza di parte e l’organo procedente ravvisi ragioni ostative alla valutazione, nel merito, della relativa domanda". Il silenzio inadempimento, però, spiegano i giudici, "non può configurarsi in presenza di posizioni giuridiche di diritto soggettivo, aventi ad oggetto un’utilità giuridico economica attribuita direttamente dal dato positivo, non necessitante dell’intermediazione amministrativa per la sua acquisizione al patrimonio giuridico individuale della parte ricorrente".

L'omissione dei provvedimenti

Spiegano bene i giudici: "Il silenzio-inadempimento riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l'emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l'Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge". Di conseguenza, "l'omissione dell'adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell'organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell'adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l'azione avverso il silenzio è, dunque, l'esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà) in capo all'amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente". Un passaggio importante per comprendere la decisione del Consiglio di Stato.

I presupposti di accoglimento

Analizzata la normativa, i giudici hanno verificato se esistessero o meno i presupposti per individuare l'obbligo giuridico da parte dell'amministrazione di rispondere o se si è trattato di condotta inerte. Per quanto riguarda la questione opere abusive, il Comune non è stato di certo a guardare, emettendo una istanza di repressione e una ordinanza, proprio su richiesta del vicino confinante. Il procedimento è stato concluso e non c’è, da parte dell'amministrazione, una volontà ostativa alla demolizione delle opere abusive rimaste. E, come hanno dimostrato i giudici, c'è stata una fitta corrispondenza non solo tra i proprietari degli abusi, ma anche con il vicino che ha proposto ricorso.

L'art. 37 del DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia)

Molto importante è il passaggio in cui si cita l'art. 37 del Testo Unico Edilizia che disciplina, come dicono i giudici:

  • sia le conseguenze derivanti dalla “realizzazione di interventi edilizi in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività”, in cui l’effetto sanzionatorio è ricondotto, anziché alla presentazione della SCIA (costituente di per sé attività lecita, preordinata alla formazione di un titolo edilizio), alla commissione di un abuso edilizio, tradottosi nella realizzazione di un intervento in assenza o in difformità da una SCIA eventualmente esistente (al riguardo, distinguendosi anche in ragione della natura delle opere realizzate in assenza di SCIA, della tipologia dei beni oggetto dell’intervento abusivo, nonché della presentazione della SCIA a fronte di un intervento ancora in corso di esecuzione);
  • sia la possibilità di “ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma, non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio”.

E il Comune non ha fatto altro che applicare alla lettera questo articolo, specificando, dicono i giudici "gli effetti riconducibili alla presentazione della SCIA, intendendo in tale modo riferirsi agli effetti sananti, ritenuti associabili (anziché alla commissione di un illecito edilizio) alla presentazione dell’atto di parte; il Comune, nel reputare, dunque, applicabile l’istituto dell’accertamento di conformità, ha comunque richiesto un’integrazione della documentazione con la prova del pagamento della sanzione di € 516 e con l’autorizzazione sismica; documenti, come dato atto dalla stessa Amministrazione, prodotti dagli interessati". Comunicazioni inviate anche alla vicina che ha contestato il comune e proposto ricorso.

L'archiviazione del procedimento

I giudici sono rimasti stupiti dal fatto che il Comune abbia comunque archiviato il procedimento di demolizione delle opere. Ma è una conseguenza "di tutta la condotta portata avanti dal Comune stesso", dicono i giudici, mescolando il rilascio di un titolo in sanatoria, associando alla presentazione di una SCIA di demolizione gli effetti sananti di alcune opere. Ma non si può parlare di "silenzio amministrativo". In effetti, dicono i giudici, non esisterebbero i presupposti per associare alla presentazione della SCIA di demolizione un effetto sanante, "perché si farebbe questione di una inammissibile demolizione parziale di opere suscettibili di valutazione unitaria ovvero per l’asserita possibilità di sanare le opere risultanti dalla demolizione soltanto con l’adozione di un provvedimento espresso, non essendo ammissibile la formazione di un titolo per silentium". Ma qui, si legge nella sentenza "non rileva nella presente sede processuale, in cui, discorrendosi di azione avverso il silenzio, occorre soltanto verificare l’esistenza di una condotta inerte ascrivibile alla parte resistente". E quindi, "ferma rimanendo la possibilità di censurare l’illegittimità di una tale decisione di archiviazione con la proposizione di una diversa azione giudiziaria", il ricorso è stato totalmente respinto.

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