Accertamento di conformità: sanatoria possibile solo sugli abusi formali

L'attuale normativa edilizia consente in via generale la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico

di Gianluca Oreto - 21/12/2023

Nell'attesa che un legislatore illuminato prenda atto dello stato di salute edilizio e urbanistico del patrimonio immobiliare italiano, magari rivedendo certe logiche arcaiche, esistono alcuni concetti ormai chiari quando si parla di abusi edilizi: senza doppia conformità e a meno di sanzione alternativa ai sensi dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), non è possibile la regolarizzazione postuma di interventi realizzati in assenza o difformità dal permesso di costruire o dalla SCIA "pesante" (art. 23, comma 01, TUE).

Abusi edilizi e sanatoria: interviene il Consiglio di Stato

L'argomento è oggetto di continue sentenze della giurisprudenza che negli anni hanno consentito (quando possibile) di colmare alcuni vuoti normativi, fornendo dei principi consolidati applicabili in via generale. È il caso della interessante sentenza del Consiglio di Stato 20 dicembre 2023, n. 11041 che ci consente di chiarire alcuni aspetti relativi alla regolarizzazione postuma degli abusi edilizi.

Nel caso di specie viene presentato appello per la riforma di una sentenza di primo grado che aveva confermato l'operato dell'amministrazione. In particolare, a seguito di istanza di accertamento di conformità presentata ai sensi dell'art. 36 del Testo Unico Edilizia, il Comune aveva:

  • prima comunicato il preavviso di rigetto;
  • poi concluso il procedimento con un provvedimento tacito di rigetto dell’istanza di sanatoria.

In primo grado, quindi, veniva impugnato il "silenzio-rigetto", chiedendone l’annullamento, avverso il quale veniva dedotta:

  • la mancata emanazione di un provvedimento nei termini di legge;
  • il difetto di motivazione considerato che secondo il ricorrente l'intervento sarebbe stato possibile.

Purtroppo, però, il tribunale di primo grado ha rigettato il ricorso in considerazione che:

  • l’inerzia serbata dall’amministrazione assume una ben precisa valenza provvedimentale ed essa non può certamente essere foriera di quelle conseguenze paventate dalla ricorrente sul piano della pretesa illegittimità del provvedimento;
  • l’interessato deve provare l’esistenza del presupposto consistente nella c.d. doppia conformità urbanistica che gli consentirebbe di ottenere la sanatoria dell’opera edificata;
  • l’area in cui le opere si collocano è sottoposta ad un vincolo paesaggistico e, dunque, ogni edificazione per poter essere assentita necessita dell’autorizzazione paesaggistica, che, nel caso in esame, dovrebbe essere rilasciata in sanatoria» e nel caso di specie non ricorrono i casi dell’art. 167, comma 4, D.Lgs. n. 42 del 2004.

Le conferme del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha ricordato che l'art. 36 del Testo Unico Edilizia definisce la procedura per l'ottenimento (su richiesta del privato) del permesso di costruire in sanatoria per interventi realizzati in difetto del o in difformità dal titolo edilizio, alla condizione che le opere siano rispondenti alla disciplina urbanistico-edilizia vigente tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza (la doppia conformità).

Ciò premesso, alla luce dell'attuale normativa edilizia e considerato che le leggi speciali sul condono edilizio non sono più applicabili, il legislatore consente in via generale la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico. Da qui la distinzione tra:

  • abusi formali (regolarizzabili mediante le ordinarie procedure edilizie);
  • abusi sostanziali (per il quali non vi sono alternative alla demolizione e ripristino dello stato dei luoghi legittimo).

La differenza con il condono edilizio

I giudici di Palazzo Spada ricordano che l'accertamento di conformità si distingue dal condono edilizio (Leggi straordinarie n. 47/1985, n. 724/1994 e 326/2003 con applicazione a tempo) perché il primo è vincolato al concetto di doppia conformità e consente la regolarizzazione degli abusi formali, con il secondo è stato possibile sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia.

Il silenzio sull'istanza di sanatoria

Ciò premesso, anche in caso di preavviso di rigetto, l'art. 36, comma 3 del d.P.R. n. 380/2001 dispone:

Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.

Trattasi di "silenzio-rigetto" a mente del quale l'istanza di accertamento di conformità si intende rifiutata.

Il tema del silenzio sull'istanza di sanatoria edilizia presentata ai sensi dell'art. 36 TUE, è stato oggetto di un intervento della Corte Costituzionale (Sentenza 16 marzo 2023, n. 42) che ne ha evidenziato le conseguenze.

In particolare, la Corte Costituzionale ha confermato che il privato, con l’impugnazione del provvedimento tacito, non può far valere difetti di motivazione o lacune nel procedimento, attesa l’incompatibilità logica di tali vizi con la fattispecie del silenzio significativo, dovendo, piuttosto, dolersi del suo contenuto sostanziale di rigetto, vale a dire della tacita valutazione di insussistenza della conformità.

In sostanza, con il delineato sistema di tutela è traslato in fase processuale l’onere incombente sul privato in fase procedimentale.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’onere probatorio del privato è diversamente modulato a seconda che si qualifichi il potere di sanatoria in termini vincolati o tecnico-discrezionali:

  • dalla prima, prevalente impostazione è richiesto al ricorrente di fornire prova piena della doppia conformità;
  • dal secondo indirizzo è richiesto al ricorrente di fornire la prova della non implausibilità della doppia conformità, in termini idonei a sconfessare la negativa definizione del procedimento.

Dall’assolvimento del richiesto onere probatorio, discende l’annullamento del silenzio-rigetto, con il conseguente obbligo dell’amministrazione a provvedere espressamente sull’istanza in termini conformati a seconda all’accertamento compiuto in sentenza.

Nella riedizione del potere, l’amministrazione sarà, quindi, o totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale della doppia conformità o fortemente condizionata dalle indicazioni giudiziali sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuerà a vantare margini di valutazione tecnico-discrezionali.

Le conseguenze del preavviso di rigetto

Ciò premesso, nel caso di specie il ricorrente ha lamentato che al preavviso di rigetto avrebbe dovuto seguire un provvedimento dell'amministrazione che, invece, è rimasta in silenzio.

Il Consiglio di Stato, invece, ha confermato che la richiesta di integrazione documentale ovvero il preavviso di rigetto non sono idonei a elidere il modulo decisorio del silenzio significativo (silenzio-rigetto) tratteggiato dal legislatore convertendolo in silenzio-inadempimento.

Viene, quindi, data continuità alla giurisprudenza secondo cui l'attivazione di un'istruttoria da parte della p.a. sull'istanza di sanatoria non impedisce la formazione del silenzio-rigetto. Secondo i giudici di Palazzo Spada, a fronte del chiaro dettato della normativa (art. 36 del d. P.R. n. 380 del 2001) non appare ammissibile che una diversa modalità di perfezionamento del procedimento (espressa, piuttosto che tacita) possa dipendere dell'attività concretamente svolta nel singolo caso dell'amministrazione, pena la violazione del principio di legalità che caratterizza l'ambito in questione.

© Riproduzione riservata