Attività e zona di interesse culturale: limiti al vincolo

Il Tar Emilia Romagna definisce il criterio per dichiarare un territorio di interesse culturale per le attività svolte al suo interno

di Redazione tecnica - 24/11/2021

Attività e zona di interesse culturale: c’è un limite al potere discrezionale della Soprintendenza nel dichiarare una data attività tipica di un territorio come interessante ai sensi dell’art. 15 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004) e tale confine risiede nella cosiddetta corporalità del valore del bene culturale. Ciò significa che non può vincolarsi un’attività economica o ricreativa se questa attività non è rilevabile fisicamente e quindi non sia compenetrata negli arredi o nelle strutture del locale, o di un terreno.

Attività e zona di interesse culturale: sono sempre vincolabili?

Questo è il tema affrontato dal Tar Emilia Romagna con la sentenza n. 955/2021, inerente il ricorso di un privato per l’annullamento del vincolo di interesse culturale apposto su un podere di sua proprietà, motivato come “uno dei più importanti relitti del paesaggio agrario storico della provincia, una tangibile testimonianza del sistema a piantata diffusamente adottato nel territorio per molti secoli e oggi quasi totalmente sostituito dalla agricoltura estensiva”.

Secondo la Soprintendenza, la compresenza di quanto rimaneva a testimonianza della tecnica agricola, insieme al fenomeno della rinaturalizzazione, rendeva il luogo di eccezionale interesse culturale e che, diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, il podere si trova in eccellente stato di conservazione, con potenzialità funzionali integre.

Vincolo di interesse culturale: la sentenza del TAR

Nel giudicare il caso, il TAR ha prima di tutto osservato che l’area in esame è effettivamente caratterizzata dalla presenza di vegetazione spontanea, tanto che quanto rimanente come possibile testimonianza della tecnica agricola da valorizzare non è particolarmente evidente.

Da qui, il riferimento all’art. 10 del d.lgs. 42/2004: “se è vero che la nozione di bene culturale è di tipo aperto e non strettamente tipizzata, è altrettanto vero che è necessaria la c.d. corporalità del bene culturale, nel senso che l’attività espletata attraverso il bene può rilevare unicamente ove il valore culturale per così dire pervada il bene immobile o mobile, non essendo altrimenti possibile desumerlo dalle sole attività svolte”.

Ciò significa che l’ampia discrezionalità tecnica alla base del giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale, ovvero della “qualitas” culturale, è delimitata da ciò che può essere per scelta legislativa vincolato: non può pertanto vincolarsi un’attività economica o ricreativa ove l’attività non si sia compenetrata negli arredi o nelle strutture del locale.

In questo caso, considerato dunque l’evidente stato di abbandono delle coltivazioni e la diffusione della vegetazione spontanea che rendono arduo sostenere la presenza di una particolare tecnica di coltivazione oramai scomparsa, non è ravvisabile il concetto di zona di interesse culturale per il tipo di attività svolta: di conseguenza, il ricorso è stato accolto, annullando la comunicazione di luogo di interesse regionale ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. 42/2004.

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