Aumenti volumetrici in area vincolata: no alla fiscalizzazione dell’abuso

Consiglio di Stato: l'accertamento postumo della compatibilità paesaggistica è consentito solo se non si creano superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati

di Redazione tecnica - 13/11/2023

In presenza di incrementi di superficie o di cubatura, anche di modesta entità o di natura accessoria, in area vincolata, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica e, di conseguenza della sanatoria edilizia.

Fiscalizzazione abusi in area vincolata: il no del Consiglio di Stato

Non solo: il carattere vincolato del rigetto determina l’impossibilità di ricorrere alla fiscalizzazione dell’abuso o comunQue la sua valutazione va fatta esclusivamente in fase di escuzione dell’ordine di demolizione.

Sull’applicabilità dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) è tornato a parlare il Consiglio di Stato con la sentenza del 7 novembre 2023, n. 9572, con la quale ha respinto il ricorso in appello contro l’ordine di demolizione di alcuni abusi edilizi che avevano comportato un aumento volumetrico dei sottotett, in violazione delle altezze massime consentite e con modifica della sagoma dell’immobile.

Per queste opere i ricorrenti avevano presentato due istanze, entrambe rigettate dal Comune:

  • una concernente il rilascio della compatibilità paesaggistica;
  • l’altra la c.d. fiscalizzazione dell’abuso.

Palazzo Spada ha dato ragione all’Amministrazione: il sottotetto aveva un’altezza differente da quella assentita, motivo per cui l’istanza di compatibilità paesaggistica non poteva essere che negativo.

Sanatoria paesaggistica postuma: quando è consentita?

Spiega il Consiglio che l'accertamento postumo della compatibilità paesaggistica ex artt. 146, comma 3, e 167, comma 4, lett. a), del D. Lgs. n. 42/2004, è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato “creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

In presenza di incrementi di superficie o di cubatura, anche di modesta entità o di natura accessoria, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato, indipendentemente da qualunque ulteriore valutazione del comune, anche di tipo urbanistico-edilizio, che, laddove pure compiuta, risulterebbe ininfluente.

No alla fiscalizzazione in presenza di variazioni essenziali o interventi in totale difformità

Di conseguenza, l’insanabilità paesaggistica precludeva la possibilità di accogliere la domanda di fiscalizzazione. Sul punto Palazzo Spada ha richiamato l’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede che “Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.

Nella fattispecie, non era, quindi, ammessa la fiscalizzazione dell’abuso, in quanto il citato art. 32, comma 3, rende, comunque, inconfigurabile la “parziale difformità dal permesso di costruire”, presupposto per l’applicabilità dell’art. 34, comma 2.

Tutti gli interventi, eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, o con variazioni essenziali - che, come quello di specie, comportano aumenti di cubatura in area vincolata - sono, infatti, inderogabilmente soggetti a demolizione, ex art. 31, comma 2, del citato D.P.R. n. 380/2001, il che priva di rilevanza ogni valutazione relativa alla consistenza dell’incremento volumetrico realizzato.

I presupposti per la fiscalizzazione 

In ogni caso, sottolineano i giudici d’appello, la valutazione dell’eventuale pregiudizio arrecabile alle parti assentite a causa della demolizione per pacifica giurisprudenza, va compiuta solo in sede di esecuzione del provvedimento ripristinatorio.

Sul punto, il Consiglio ricorda che l’art. 34 del Testo Unico Edilizia è una disposizione che ha valore eccezionale e derogatorio e dev'essere intesa nel senso che non compete all'amministrazione procedente valutare, prima dell'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso o prima di negare la fiscalizzazione, se la misura repressiva possa essere applicata, incombendo, piuttosto, sul privato interessato, dimostrare, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, l’obiettiva impossibilità di demolire la parte illecita senza pregiudizio per quella conforme.

Inoltre la presentazione dell’istanza di sanatoria non rende inefficaci i provvedimenti repressi: infatti, per pacifica giurisprudenza, tale effetto discende unicamente dalla presentazione della domanda di condono edilizio. Nei restanti casi, la presentazione di una richiesta di sanatoria non comporta, né la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti sanzionatori pregressi, né l’illegittimità di quelli sopravvenuti, determinando, unicamente, la temporanea sospensione della loro concreta esecuzione.

Abusi edilizi: principi fondamentali in giurisprudenza

Infine, la sentenza ha puntualizzato alcuni principi granitici in materia di abusi edilizi, ovvero che:

  • alle ordinanze di demolizione, le quali hanno natura reale e ripristinatoria, non si applica il principio di irretroattività proprio delle sanzioni penali e di quelle amministrative in senso stretto;
  • gli abusi edilizi hanno natura di illeciti permanenti, per cui, in conformità al principio tempus regit actum, il provvedimento repressivo è sempre regolato dalla normativa in vigore al momento della sua adozione;
  • in presenza di un abuso edilizio il potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, per cui non sono prospettabili nei confronti degli atti con cui il medesimo si esprime, vizi di eccesso di potere, tra cui quello di contraddittorietà con precedenti determinazioni.
  • non sono, parimenti, configurabili affidamenti tutelabili, essendo, comunque, prevalente l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Nemmeno il rilascio del certificato di agibilità e il tempo trascorso dalla realizzazione dell’illecito edilizio, rappresentano circostanze idonee ad attribuire affidamenti degni di tutela
  • l’esercizio del potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, anche a distanza di lunghissimo tempo dalla realizzazione dell’abuso, non essendo la potestà soggetta a termini di decadenza o prescrizione, anche in considerazione del fatto che le violazioni edilizie hanno natura di illeciti permanenti;
  • l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è sempre in re ipsa, per cui sul punto non occorre specifica motivazione, né è necessario comparare tale interesse con quello del privato alla conservazione della situazione di fatto illecita, non essendo al riguardo configurabili affidamenti tutelabili
  • da ultimo, occorre rilevare che il requisito motivazionale delle ordinanze di demolizione è soddisfatto con l’indicazione, come nel caso in esame, dell’abuso contestato e dell’illiceità riscontrata.
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