Aumento volumetrico, demolizione e ricostruzione di edifici degradati: limiti di intervento

TAR Lazio: per potere applicare i criteri premiali di ampliamento SUL e volume è necessario valutare le condizioni di degrado dell’edificio e del contesto circostante

di Redazione tecnica - 30/01/2023

I criteri premiali per l’applicazione dell’aumento fino al 20% di superficie e della volumetria, ai sensi della L.R. Lazio n. 7/2017 vanno applicati solo in presenza di riconoscibili condizioni di degrado non solo dell’edficio, ma anche della zona.

 

Lo ha stabilito il TAR Lazio, con la sentenza n. 17543/2022, con la quale ha confermato l’annullamento della SCIA presentata per un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio e il diniego di permesso di costruire richiesto per lo stesso intervento.

Aumento volumetria: i presupposti per l'applicazione dei criteri di premialità

I lavori riguardavano un  edificio inserito nel centro storico di Roma, intervento per il quale la Soprintendenza capitolina ha rilasciato un parere negativo, specificando che l’immobile era ben integrato in una delle parti più pregevoli della città; per di più l'immobile era in buono stato di conservazione e a tutt’oggi utilizzato”, precisando che “l’immobile, ai sensi dell’art. 1, comma 1b della L.R. n. 7 del 2017 deve possedere i requisiti per le finalità della legge, ossia la riqualificazione di edifici in stato di degrado e abbandono e che nella fattispecie l’immobile non possiede visto che attualmente ha una funzione di albergo seppure dismesso”.

Proprio sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure premiali previste dall’art. 1 della L.R. Lazio n. 2/2017, l’amministrazione ha ricordato che tanto la normativa nazionale (art. 5, comma 9, d.l. n. 70/2011), quanto quella regionale di essa attuativa, sarebbero volte a favorire la riqualificazione di aree urbane degradate e di edifici in stato di degrado e abbandono, non potendo detta previsione non vincolare l’autorità in sede di riscontro alle istanze di permesso di costruire che dunque, in difetto dei suindicati presupposti di degrado e abbandono del fabbricato, non potrebbe essere rilasciato.

La legge regionale, abiliterebbe l’effettuazione degli interventi diretti con le modalità premiali sopra descritte (incremento fino al 20% della volumetria o SUL esistente e mutamento di destinazione d’uso), a condizione che, per mezzo di essi, siano perseguite una o più tra le finalità indicate, tra cui “incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, favorire il recupero delle periferie, accompagnare i fenomeni legati alla diffusione di piccole attività commerciali, (…), promuovere e agevolare la riqualificazione delle aree urbane degradate e delle aree produttive, (…), con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di complessi edilizi e di edifici in stato di degrado o di abbandono o dismessi o inutilizzati o in via di dismissione o da rilocalizzare”.

Sempre secondo il ricorrente, l’immobile in questione sarebbe stato in disuso dal 2020 e senza vincoli, inserito in un tessuto urbano che, pur non presentando caratteristiche di degrado, non avrebbe più conservato l’impronta architettonica originaria, legittimando il perseguimento delle finalità di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) della L.R. Lazio n. 7/2017.

La sentenza del TAR

Secondo i giudici, il diniego di permesso di costruire (che ha assorbito quello di SCIA, essendo la richiesta di un titolo edilizio di portata maggiore), è legittimo per diverse ragioni:

  • l’intervento edilizio in questione va inquadrato nella categoria della “nuova costruzione” di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) quale trasformazione urbanistico edilizia del territorio e, in particolare, il medesimo viene ascritto alla tipologia “demolizione e ricostruzione” con incremento di SUL e di volume ed ampliamento di volume all’esterno della sagoma esistente, intervento che, ove interessi (come nel caso di specie incontrovertibilmente è) immobili ubicati nelle zone omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, sarebbe da escludere si tratti di ristrutturazione edilizia, non comportando esso il rispetto della sagoma, del prospetto, del sedime e delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente;
  • l’immobile non possiederebbe i requisiti di degrado e abbandono previsti dall’art. 1 della L.R. Lazio n. 7/2017 e, comunque, non sussisterebbero le condizioni richieste dagli artt. 1 e 6 della suddetta legge per consentire interventi di riqualificazione urbana quali quelli che la ricorrente si propone di attuare, anche alla luce del parere sfavorevole espresso dalla Sovrintendenza Capitolina nel corso della conferenza di servizi allo scopo indetto;
  • la densità edilizia e l’altezza che l’edificio andrebbe ad assumere post operam sarebbero abbondantemente superiori ai limiti inderogabili imposti dall’art. 7 del D.M. n. 1444/1968 e dall’art. 41-quinquies della l. n. 1151/1942.

Criteri premiali per la riqualificazione del patrimonio edilizio: la normativa nazionale

Per giudicare la questione, sono state fatte alcune considerazioni preliminari in relazione al D.L. n. 70/2011 , art. 5, comma 9, “Costruzioni private” il quale stabilisce che: “Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano: a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale; b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse; c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti”.

Secondo il TAR, la previsione normativa, lungi dal prevedere una completa e generalizzata “liberalizzazione” di interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con riconoscimento di una volumetria aggiuntiva e modifica delle destinazioni d’uso preesistenti, ha voluto consentire interventi incrementativi del tessuto edilizio esistente sono per perseguire gli scopi da esso individuati, ossia la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, la riqualificazione di aree urbane degradate con funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti o edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione, con onere a carico del proponente di documentare l’esigenza di razionalizzare il patrimonio edilizio o riqualificare l’area urbana degradata sulla quale insiste il manufatto.

In altre parole, non la semplice volontà di riqualificare un edificio a destinazione non residenziale dismesso o in via di dismissione può sorreggere un intervento incrementativo edilizio da realizzare con ampliamento di volumetria e superficie utile: è imprescindibile, per conseguire la premialità richiesta, raggiungere i due obiettivi richiesti dalla norma:

  • la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente;
  • la riqualificazione di un’area urbana degradata.

Si tratta di una norma dal carattere eccezionale derogatorio che nell’ambito regionale laziale, ha trovato attuazione con la L.R. 18 luglio 2017, n. 7 la quale, all’art. 1, detta disposizioni finalizzate al perseguimento, attraverso la realizzazione degli interventi previsti dalla medesima legge, di una o più delle sette finalità elencate nelle lettere da a) a g) del comma 1 dello stesso articolo.

Va esclusa ogni interpretazione estensiva che renda ammissibili interventi edilizi del tipo di quelli consentiti dalla legge rivolti ad edifici privi di quei caratteri di degrado, abbandono, dismissione, inutilizzo o in via di dismissione o rilocalizzazione che la norma pretende per legittimare il compimento di siffatti interventi incentivanti.

L'attuazione nella normativa regionale

A completamento del quadro normativo della L.R. n. 7/2017:

  • l’art. 6 consente interventi edilizi diretti di ristrutturazione edilizia o di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti riconoscendo una volumetria aggiuntiva ovvero un incremento premiale di SUL fino ad un massimo del 20% dell’esistente, nonché ancora il cambio di destinazione d’uso all’interno delle destinazioni previste dagli strumenti urbanistici generali vigenti purché essi siano diretti al perseguimento di una o più delle finalità di cui all’art. 1 della sopra indicata legge regionale;
  • l’art. 8, comma 3 abilita la deroga alle densità fondiarie di cui all’art. 7 del D.M. n. 1444/1968 e alle altezze massime consentite dall’art. 8 del medesimo D.M. alla duplice condizione che: si tratti di ricostruzione di edifici demoliti; l’intervento da attuare sia volto a realizzare le premialità e gli incrementi previsti dalla medesima legge.

Tirando le fila, il Collegio afferma che l’art. 1 della L.R. Lazio n. 7/2017 – al pari dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70/2011, di cui la prima costituisce attuazione – nel consentire interventi di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, anche mediante la previsione del riconoscimento di una volumetria aggiuntiva quale misura premiale - rappresenta una normativa di carattere eccezionale e derogatorio la quale, pertanto, non è suscettibile di interpretazione estensiva al di fuori dei casi e delle ipotesi in esse strettamente contemplate.

Secondo queste coordinate ermeneutiche, il ricorso è stato respinto. Fermo restando che la questione riguarda il diniego dell’istanza di rilascio del permesso di costruire, si conferma l’impossibilità di qualificare l’intervento proposto nei termini di una ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione di edifici esistenti (giusta applicazione del testo dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001, per come risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con mod., in l. 11 settembre 2020, n. 120), anziché di una nuova costruzione.

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