Cambio di destinazione d’uso e aumento del carico urbanistico: ci vuole il permesso di costruire

La conferma dal Consiglio di Stato. In caso di sanatoria, vanno applicate le sanzioni previste dall'art. 36 del Testo Unico Edilizia

di Redazione tecnica - 21/11/2022

Il cambio di destinazione d’uso di un immobile da deposito ad abitativo comporta un aumento del carico urbanistico e configura un intervento di ristrutturazione edilizia, tanto più se al suo interno vengono fatte opere che cambiano completamente l’assetto della costruzione.

Cambio di destinazione d'uso e ristrutturazione edilizia: la sentenza del Consiglio di Stato

Ne dà conferma il Consiglio di Stato con la sentenza n. 10112/2022, con la quale ha confermato il giudizio di primo grado relativamente ad alcuni abusi edilizi accertati su un edificio rurale e sui quali era stato ingiunto un ordine di demolizione.

In particolare erano stati accertati:

  • il cambio di destinazione d’uso dei locali ad uso sgombero esistenti al piano terreno e al primo piano in locali abitativi;
  • la realizzazione di un nuovo balcone e ampliamento di quello esistente;
  • la realizzazione di tramezzature interne con creazione di nuovi locali;
  • la modifica di alcune aperture esterne con realizzazione di porte finestra e vetrate.

I proprietari hanno quindi presentato istanza di permesso di costruire in sanatoria, per la quale il Comune ha richiesto un’integrazione documentale liquidando l’oblazione ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) in 18mila euro. Da qui il ricorso al giudice amministrativo: il Comune avrebbe erroneamente applicato la sanzione ex art. 36, comma 2, del T.U.E. nonostante il mutamento di destinazione d’uso fosse urbanisticamente irrilevante ai sensi dell’art. 23 bis del medesimo T.U. e dovesse, quindi, essere assoggettato alla sola sanzione di cui al successivo art. 37.

Il TAR aveva invece dato ragione al Comune: l’intervento edilizio integrava una ristrutturazione edilizia come prevista dall’art. 3, comma 1 lett. d) del T.U.E. in quanto determinante la creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, data la trasformazione in funzione abitativa della quasi totalità del fabbricato, con conseguente impatto sul carico urbanistico, a nulla rilevando che i singoli interventi atomisticamente considerati fossero assentitili mediante D.I.A. Per questo motivo, la tipologia di abuso giustificava l’applicazione della sanzione di cui all’art. 36 del Testo Unico Edilizia.

Cambio di destinazione d'uso: la definizione nel Testo Unico Edilizia

E dello stesso avviso è stato anche il Consiglio di Stato: il mutamento di destinazione dei locali precedentemente adibiti a sgombero era avvenuto tramite la posa di tramezzature che avevano creato ulteriori locali (cucina, soggiorno ed una nuova camera) e il fabbricato era stato interessato da interventi incidenti sul prospetto, con la realizzazione di un balcone prima inesistente e modificando alcune aperture esterne ricavandone porte finestre e vetrate mediante demolizioni di muratura.

Ricordano i giudici di Palazzo Spada che, ai sensi dell’art. 23 ter del T.U.E., «salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale”.

Nel caso in esame il mutamento della destinazione d’uso era avvenuto con opere: la realizzazione di spazi abitativi mediante trasformazione di superfici destinate ad altro uso ha senza dubbio comportato un aumento del carico urbanistico e l’intervento non può rientrare:

  • nella categoria della manutenzione straordinaria (ex art. 3, comma 1, lett. b) che include «le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d'uso implicanti incremento del carico urbanistico»;
  • nella categoria del restauro e di risanamento conservativo (ai sensi della successiva lett. c) che definisce «gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità» a condizione che si risolvano nel «consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio».

Il Consiglio di Stato ha quindi evidenziato che non ricorre la prima ipotesi in ragione del mutamento di destinazione d’uso determinato da intendersi come urbanisticamente rilevante, né la seconda in quanto l’intervento non si limitava ad interventi conservativi dell’esistente ma determinava la creazione di superfici residenziali ulteriori a quelle originariamente assentite (incidenti sul carico urbanistico complessivo).

Ricorre invece ricorra la fattispecie di cui alla successiva lett. d) della stessa disposizione dato che si è realizzato, in virtù del mutamento di destinazione, «un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente» con «inserimento di nuovi elementi ed impianti».

Come, infatti, già affermato in giurisprudenza, a seguito dell’inserimento della richiamata norma nel T.U.E., operato dall'art. 17, comma 1, lett. n), del D.L. n. 133/2014, «il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che influisce, di conseguenza, sul c.d. carico urbanistico poiché la semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore non si è spinta al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono non assimilabili, a conferma della scelta già operata con il d.m. n. 1444 del 1968».

Inoltre un «aumento del carico urbanistico non si verifica solo in caso di modifica della destinazione funzionale dell'immobile, ma anche» nei casi in cui «sebbene la destinazione non venga mutata, le opere si prestino a rendere la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone con conseguente necessità di più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti».

Non c’è quindi dubbio che l’incremento delle superfici adibite ad uso residenziale/abitativo, comportando una modifica della destinazione d’uso fra categorie non omogenee delle superfici interessate abbia determinato un aumento del carico urbanistico.

Interventi di ristrutturazione, permesso di costruire e sanzioni per abusi edilizi

Così qualificato l’intervento, esso necessita del permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1 del T.U.E. per il quale “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: … c) gli interventi di ristrutturazione edilizia …».

Per questa ipotesi, la disciplina edilizia, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non è contemplata la sanzione di cui all’art. 37, comma 4, del T.U.E. applicabile in presenza di «interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività», ma quella prevista dall’art. 36 per cui

  • “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso …» è possibile «ottenere il permesso in sanatoria" (comma 1);
  • subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso» (comma 2).

Infine, il richiamato art. 16 dispone che «salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”.

Il ricorso è stato quindi respinto, confermando la necessità di richiedere il permesso di costruire in sanatoria, per un intervento di ristrutturazione edilizia che ha comportato l’aumento del carico urbanistico e che esso era soggetto ad accertamento di conformità ex art. 36 con il pagamento della sanzione corrispondente al doppio di quella prevista dall’art. 16 del Testo Unico Edilizia.

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