Compravendite immobiliari e Abusi edilizi: le responsabilità di chi vende, acquista e del direttore dei lavori

Analisi delle responsabilità degli abusi edilizi per il venditore che le ha realizzate, il successivo acquirente ed il Direttore dei Lavori alla luce del d.P.R. n. 380/2001 e della giurisprudenza

di Donatella Salamita - 27/12/2022

Quando si parla di normativa edilizia e naturalmente di d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), uno degli argomenti più "caldi" riguarda la gestione delle difformità, soprattutto quando si trasformano in veri e propri abusi edilizi e il bene viene alienato.

Abusi edilizi e compravendite: la giurisprudenza

Nel caso di abuso edilizio realizzato prima della vendita di un immobile, chi ne risponde? A tracciare il perimetro di riferimento di questo spinoso argomento ci ha pensato la giurisprudenza di ogni ordine e grado, tra cui è possibile segnalare la sentenza del Consiglio di Stato 20 giugno 2019, n. 4251 resa in riferimento ad un ricorso presentato contro la decisione del T.A.R. Toscana (sentenza n. 902/2015) per il rigetto della richiesta dell’appellante contro il Comune affinché annullasse l’ordinanza ad eseguire i lavori occorrenti per conformare l’intervento eseguito su un immobile alle prescrizioni del Regolamento Edilizio Comunale.

Nel caso di specie, il TAR aveva evidenziato che la questione riguardava sia la parte ricorrente, precedente proprietaria, che alla contro-interessata, acquirente dell’immobile. Il cespite era stato interessato dai lavori di ristrutturazione edilizia e cambio della destinazione d’uso da commerciale a residenziale ad opera della originaria proprietaria, che li attuava a seguito di Denuncia di Inizio Attività e, dopo la loro ultimazione, alienava l’immobile.

Espletato sopralluogo da parte dell’Ufficio Tecnico del Comune dietro richiesta dell’acquirente per sopravvenute problematiche di carattere igienico – sanitario, era stata accertata la presenza di alcune difformità. Nello specifico:

  • il servizio igienico non risultava dotato di antibagno, comunicando direttamente con l’angolo cottura;
  • il sistema di smaltimento dei liquami risultava difforme rispetto al progetto, oltre che essere eseguito con modalità non consentite dallo strumento urbanistico comunale vigente.

Il Comune, quindi, dava avvio al procedimento di verifica delle condizioni igienico – sanitarie, il quale si concludeva, acquisito parere dell’A.S.P. (che confermava le condizioni di scarsa igienicità e pregiudizio per l’agibilità), con ordine di sgombero dell’immobile.

L’Ente, oltremodo, emetteva il provvedimento impugnato ordinando il ripristino e la realizzazione di diversi interventi ad onere di entrambi le parti, ovvero la precedente proprietaria (venditrice) e la successiva (acquirente).

La decisione del TAR

Di queste la prima ricorreva al T.A.R. deducendo violazione all’articolo 29 del d.P.R. n. 380/2001 rubricato “Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività”, ad alcune norme regionali ed al principio di proporzionalità dell’attività amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione, con riferimento sia alla normativa comunitaria che all’articolo 1, comma 1 della Legge n. 241/1990.

Sosteneva la ricorrente che il fine perseguito dal Comune si sarebbe potuto raggiungere anche mediante ingiunzione ad eseguire i lavori alla proprietaria attuale. Di contro il T.A.R., nel ritenere infondate le censure proposte, evidenziava che tutti i soggetti concorrenti alla realizzazione di un abuso edilizio, soprattutto chi lo ha realizzato, ne debbano rispondere, non ravvisavando alcuna illegittimità nell’operato del Comune.

L'appello

Nella successiva fase di appello la richiesta viene, ulteriormente, respinta così come espresso dal primo giudice: “secondo il quale il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne, a nulla valendo la circostanza dell’avvenuta alienazione dell’immobile in cui il suddetto abuso è stato realizzato ai fini della configurazione di questo tipo di responsabilità . Infatti, nel caso di specie, non è la passata titolarità del diritto di proprietà sul bene a venire in rilievo, ma la circostanza che l’appellante sia l’esecutrice e la committente delle opere abusive”.

Viene, oltremodo, evidenziato “come le demolizioni implichino in sé lo svolgimento di una pluralità di atti giuridicamente rilevanti, che vanno dalla stipulazione dei negozi di diritto privato con i soggetti tecnici incaricati delle operazioni, all’approntamento delle provviste economiche, alla eventuale richiesta di interventi da parte di altre autorità pubbliche. Non tutte queste operazioni devono essere ricondotte all’azione esclusiva della proprietà del manufatto da demolire, ben potendo il soggetto non più proprietario concorrere in uno degli altri modi sopra esemplificativamente indicati. Pertanto, l’esistenza di obblighi solidaristici – che la giurisprudenza ha riconosciuto tramite la possibilità dell’azione di regresso, su cui da ultimo, Cons, Stato, IV, 6 aprile 2016, n. 1378 – ricadenti in capo al soggetto a cui si ascrive la realizzazione dell’abuso edilizio nei confronti di altro soggetto subentrato nella titolarità dell’immobile su cui gravano tali abusi impongono, da un lato, una partecipazione attiva di tutti gli obbligati al conseguimento del risultato giuridicamente utile ed evidenziano, dall’altro, l’esistenza di possibilità concrete di concorso anche da parte del soggetto non proprietario”.

La responsabilità del Direttore dei Lavori

In una casistica similare il Direttore dei Lavori deve fare da garante ed è sempre responsabile in caso di abusi insieme ai proprietari, è il nesso conclusivo della Sentenza 33387/2018 della Corte di Cassazione.

La sentenza riguarda il ricorso di un professionista (Progettista e Direttore dei Lavori) avverso la pronuncia della Corte di Appello, in relazione alla quale ritenuto responsabile delle opere realizzate in difformità al progetto.

La Corte di Cassazione, confermando, ritiene il professionista investito della responsabilità per avere disatteso il disposto dell’art. 29 del D.P.R. n. 380/2001 per omesso controllo, mancata denuncia dell’avvenuto e per non essersi dimesso dall’incarico, con condanna a due mesi di arresto ed ammenda pecuniaria per avere proseguito le opere nonostante pendesse un Ordine di Sospensione dei Lavori.

Ai sensi dell’art. 29 del Testo Unico per l’Edilizia è attribuita al Direttore dei Lavori una posizione di garanzia per il rispetto delle disposizioni urbanistiche ed edilizie, ma questo non risponde dell’illecito edilizio se ha preventivamente trasmesso denuncia all’Amministrazione comunale e se ha rinunciato, in forma scritta, all’incarico. Lo stesso ha l’obbligo di accertare i presupposti legali indispensabili prima dell’inizio dei lavori, constatandone la corrispondenza rispetto al progetto approvato.

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