Condominio: chi ha disposto lavori più costosi di quelli approvati paga di tasca propria

Che sia l’amministratore o, in sua assenza, un “condòmino incaricato”, chi fa eseguire lavori diversi dai progetti deliberati dall’assemblea paga le relative fatture. A meno che non siano lavori urgenti.

di Cristian Angeli - 26/10/2023

Nel mio condominio composto da 4 unità immobiliari, abbiamo autorizzato in assemblea uno dei condòmini (un tecnico adesso in pensione) di interessarsi per nostro conto di alcuni lavori edilizi che sono stati eseguiti sull’immobile.

Ovviamente, noi condòmini desideravamo che se ne interessasse nel rispetto delle decisioni assunte da tutti in assemblea e dei progetti approvati, interloquendo quando necessario con i professionisti e con l'impresa, visto anche che non abbiamo un amministratore condominiale. A lavori terminati, invece, ci siamo accorti che i serramenti delle parti comuni e alcune finiture sono stati realizzati con materiali diversi da quelli approvati in assemblea, con la conseguenza che i costi risultano più alti del previsto. L'impresa esecutrice sostiene che la scelta di detti materiali è stata autorizzata dal condòmino da noi autorizzato a gestire i nostri interessi, che ha agito senza convocare una nuova assemblea per “motivi d’urgenza”.

L’impresa, ora, chiede al condominio di saldare le fatture. Vorremmo sapere come possiamo tutelarci, ritenendo non dovuto l'importo extra, mancando la delibera assembleare che approva la modifica dei materiali.

La risposta dell’esperto

La situazione descritta dai gentili lettori è molto ricorrente nel caso dei piccoli condomini, non abituati a gestire il tema delle assemblee e delle delibere e nei quali, spesso, manca la figura dell’amministratore (di regola un esperto del ruolo), non essendo obbligatorio nominarne uno se le unità immobiliari sono meno di otto.

Quando si eseguono interventi edilizi è però indispensabile che anche i condomìni più piccoli si riuniscano in assemblea per deliberare a maggioranza i lavori. Non è raro, com’è avvenuto nel caso presentato, che l’assemblea individui anche una sorta di referente tra i condòmini, che si occupi di interfacciarsi con l’impresa esecutrice.

Il condòmino incaricato deve di conseguenza operare nell’interesse dell’intera compagine condominiale, e non può commissionare autonomamente lavori ulteriori o diversi rispetto a quelli deliberati, a meno che non siano urgenti.

Cosa dispone il Codice Civile

Secondo la disciplina civilistica, solo l’assemblea condominiale può decidere se eseguire lavori di manutenzione straordinaria, sulla base di una delibera approvata con le maggioranze previste. In linea di massima, dunque, se gli interventi sono approvati da un singolo soggetto, non sorge alcuna obbligazione in capo al condominio, che non ha potuto esprimere la propria volontà in sede assembleare. Ciò non vuol dire, però, che ogni qual volta vengano eseguiti lavori in assenza di una delibera (per ordine dell’amministratore o di un condòmino incaricato, come nel caso presentato), allora automaticamente tali soggetti siano da considerare coloro che si sono assunti l’obbligo di sopportare il relativo costo.

Il Codice Civile, infatti, dà all’amministratore (ma anche, in certa misura, a qualsiasi condòmino) il potere di disporre l’esecuzione di interventi anche senza passare per il consenso dell’assemblea, ma solo in caso di urgenza. Nello specifico, l’art. 1135 del C.C. dispone che “l’assemblea dei condòmini provvede […] alle opere di manutenzione straordinaria”, precisando che “l'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea”. In altre parole, se l’amministratore dispone lavori in più rispetto a quelli deliberati, o diversi, senza passare per una nuova delibera, egli è tenuto a coprirne i costi con il proprio patrimonio, a meno che non siano urgenti, elemento del quale comunque deve rendere conto in assemblea.

I gentili lettori, però, riferiscono di non avere un amministratore di condominio. Tuttavia, il principio appena esposto può estendersi anche a un qualunque condòmino. Il precedente art. 1134 del C.C., infatti, prevede altresì che “il condòmino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente”.

Nel caso presentato è vero che il tecnico in pensione è stato effettivamente autorizzato dall’assemblea a “gestire le parti comuni”, come chiede l’art. 1134 C.C., ma è ragionevole ritenere che detta gestione debba avvenire nei limiti definiti dall’assemblea stessa, non avendo alcun potere per uscire da tali confini. Nonostante non abbia ordinato l’esecuzione di lavori in più rispetto a quelli deliberati in assemblea, ne ha comunque disposto una modifica tale da incidere sui costi, aggravandoli e, a quanto pare, senza nemmeno l’avallo del direttore dei lavori del cantiere. Se, dunque, tali modifiche non risultano urgenti, nei termini chiariti di seguito, è ragionevole ritenere che il condominio non debba pagare il prezzo più alto che ne consegue.

Quando si tratta di “urgenza”?

Un’opera è urgente solo se dal suo rinvio può derivare un danno per l’immobile, soprattutto per le parti comuni. A conferma di ciò, è giunta la recente sentenza n. 1687 del Tribunale di Venezia del 4 ottobre 2023. Nel caso trattato, un’impresa edile ha chiesto per vie legali il pagamento del corrispettivo relativo ai lavori eseguiti a seguito di un’infiltrazione d’acqua lamentata da uno dei condòmini. Secondo l’impresa, l’intervento le era stato commissionato dal condominio mediante il suo amministratore dell’epoca. Ai tempi della causa, però, tale amministratore non era più in carica, e l’impresa ha dunque chiesto il pagamento al nuovo amministratore. Tuttavia, il giudice risolve la controversia “aggiustando il tiro” e imponendo cioè il pagamento all’intero condominio. Nonostante mancasse una delibera che disponesse la realizzazione di quanto eseguito (sostituzione integrale della tubatura danneggiata e lavori connessi), infatti, il giudice ha richiamato proprio il citato art. 1135 C.C., ricordando che l’amministratore può disporre i lavori urgenti senza passare in assemblea. Nel caso specifico, secondo il Tribunale, l’intervento rivestiva carattere di urgenza, in quanto la rottura della tubatura risultava “nell’immediatezza potenzialmente attribuibile anche al danneggiamento di parti comuni dell’immobile”, rendendo il suo ripristino “necessario e soprattutto urgente”.

Serviva una nuova delibera

Da quanto descritto nel quesito, le modifiche disposte ai lavori dal condòmino incaricato hanno riguardato la scelta dei materiali di serramenti e finiture, diversi (e più costosi) rispetto a quelli deliberati in assemblea. Difficilmente la preferenza di un materiale al posto di un altro avviene per motivi di urgenza. Se non sono disponibili sul mercato i materiali individuati nei progetti, nell’ambito della programmazione del cantiere, si dovrà trovare il tempo per portare nuovamente la generalità dei condòmini al tavolo per sceglierne di differenti, informandoli al contempo dell’aggravio di costi.

Questo, però, nel caso in oggetto non è avvenuto, e pertanto il condominio non potrà essere chiamato a pagare più di quanto aveva deciso.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere strutturista esperto di detrazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it

© Riproduzione riservata