Condono edificio in costruzione: il concetto di opera ultimata

Il Consiglio di Stato precisa a quale stato di costruzione deve trovarsi un fabbricato per essere considerato come “ultimato”

di Redazione tecnica - 22/10/2021

Condono edilizio per edifici in costruzione: la domanda più comune è quando un’opera possa considerarsi ultimata. Lo chiarisce ancora una volta il Consiglio di Stato con la sentenza n. 6797/2021, in cui al centro della vicenda è il terzo condono edilizio e la scadenza del termine per l’ultimazione delle opere a cui la legge n. 326/2003 fa riferimento, ossia il 31 marzo 2003.

Condono edilizio su opera abusiva ultimata: la sentenza del Consiglio di Stato

Andiamo con ordine. La sentenza fa seguito al ricorso contro un’amministrazione comunale in merito al rigetto di un’istanza di condono edilizio, all’ordinanza di demolizione delle opere abusive, all’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale a seguito di inottemperanza all’ordine di demolizione, oltre che contro il silenzio rigetto serbato dal Comune sull’istanza di accertamento di conformità.

Nella fattispecie, l’abuso edilizio riguardava la costruzione del secondo piano di un edificio: il ricorrente sosteneva che si trattava di “opera abusiva ultimata”, ai sensi dell’ art. 31 della Legge n. 47/1985, che presentava alla scadenza del termine di cui alla legge n. 326/2003, ossia il 31 marzo 2003, le strutture essenziali per definirne volumetria e sagoma esterna e, in particolare, la tompagnatura esterna. Inoltre reputava sproporzionata la sanzione di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, in luogo di applicare la sanzione pecuniaria dato che la sopraelevazione era già prevista al catasto sin dalla costruzione del fabbricato.

Definizione di "opera ultimata"

Palazzo Spada ha rigettato l’appello in ogni sua parte, innanzitutto per quanto riguarda lo stato di ultimazione dell’opera abusiva. I verbali dei Vigili Urbani infatti descrivevano nel 2004 la struttura come "composta da un’armatura in legno e ferro per un solaio posto al secondo piano della propria abitazione”; “getto in cemento armato per la copertura e i pilasti di un secondo piano a farsi”. In un successivo sopralluogo dello stesso anno e nonostante l’ordine di demolizione, veniva riscontrata la realizzazione della "tompagnatura al prospetto principale, laterale destro e posteriore di un piano secondo a farsi, il massetto di pendenza e l’impermeabilizzazione al solaio di copertura”. Non solo: per queste opere era stata presentata istanza di condono edilizio ai sensi della legge n. 326/2003, rigettata dal Comune proprio in forza dei verbali dei Vigili Urbani risalenti all’anno successivo e che dimostravano che al 31 marzo 2003 l’opera non risultava ultimata.

I giudici hanno richiamato il costante orientamento giurisprudenziale, secondo cui ai fini del condono edilizio il concetto di “ultimazione dei lavori” va riferito all’esecuzione del cd. rustico, che presuppone l’intervenuto completamento delle tamponature esterne​ (tompagnature), che determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria. Ciò, a condizione che non si tratti di opere interne di un edificio già esistente, per le quali vale, invece, il criterio del cd. completamento funzionale.

Quindi, ai fini del condono, è indispensabile che entro il termine massimo stabilito dalla legge (in questo caso il 31 marzo 2003) l’organismo edilizio abbia assunto una sua forma stabile ed un’adeguata consistenza plano-volumetrica, come per gli edifici, per i quali viene richiesta la cd. ultimazione al rustico, cioè l’intelaiatura, la copertura ed i muri di tompagno. Per edificio al rustico si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tampognature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili di tal ché un’opera priva anche soltanto in parte delle tompagnature non è condonabile.

Non si può confondere l’esecuzione del cd. rustico con lo scheletro della struttura, dovendo il cd. rustico intendersi come comprensivo della muratura priva di rifiniture e della copertura e non potendo le pareti esterne considerarsi quali mere rifiniture.

Diniego di condono e ordine di demolizione sono atti vincolati 

Il diniego di condono ha quindi natura vincolata: il rilascio del condono edilizio infatti “è rigorosamente subordinato alla sussistenza dei presupposti eccezionalmente previsti dal legislatore per la sanatoria di opere illegittime. Il tempo che intercorre tra la presentazione della domanda di condono edilizio e il provvedimento che definisce il procedimento è elemento estraneo alla fattispecie normativa che fissa e circoscrive le condizioni di ammissione al condono, sicché se queste non sono soddisfatte il diniego è atto dovuto, quale che sia il tempo trascorso dalla domanda e senza che vi sia necessità di motivazione sulle ragioni d’interesse pubblico sottese al diniego”.

Il ricorrente ha anche contestato la legittimità dell’ordinanza di demolizione e di quella di acquisizione gratuita del manufatto al patrimonio comunale, perché i provvedimenti avrebbero riguardato anche porzioni dell’immobile che sarebbero state “coperte” da regolare titolo edilizio. Non entrando nel merito della regolarità edilizia dell’opera preesistente (dubbia perché comportante un cambio di destinazione d’uso che non comprendeva il sottotetto in esame), il Consiglio ha nuovamente richiamato la giurisprudenza, per cui l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive è un atto dovuto senza contenuto discrezionale ed è subordinato esclusivamente all’accertamento dell’inottemperanza e al decorso del termine di legge (pari a 90 gg.) stabilito per la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi.

L’acquisizione gratuita costituisce, infatti, una misura di carattere sanzionatorio, che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione e ha una duplice funzione:

  • sanzionare comportamenti illeciti;
  • prevenire perduranti effetti dannosi di essi.

Istanza di accertamento sospende ma non annulla ordine di demolizione

Inoltre l’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso: essa determina la sospensione temporanea dell’esecuzione del provvedimento demolitorio, ma unicamente per il tempo (60 gg.) necessario alla definizione, anche solo tacita, del procedimento, con l’avviso che, nel caso di mancato accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, senza che vi sia alcuna necessità per la P.A di disporne la riadozione.

In sostanza, l’appello è stato respinto in tutte le sue parti, confermando il rigetto di istanza di condono e l'irrogazione delle sanzioni per l’abuso edilizio commesso.

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