Condono edilizio: la Cassazione torna sui principi chiave

La Corte di Cassazione torna a chiarire i limiti per l'utilizzo del condono edilizio ai sensi di quanto previsto dalla Legge n. 47/1985 e della Legge n. 724/1994

di Redazione tecnica - 29/11/2022

Una istanza di condono edilizio, un ordine di demolizione e una successiva ordinanza della Corte di appello che, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigetta la richiesta di revoca dell'ordine di demolizione stesso, per poi finire in Cassazione. Sembra un film visto e rivisto ma quando si parla di abusi edilizi gli interventi dei giudici non si contano più.

Condono edilizio: nuova sentenza della Cassazione

Se ne parla nuovamente nella Sentenza Corte di Cassazione 23 novembre 2022, n. 44457 che fissa alcuni principi chiave relativi all'utilizzo delle disposizioni previste dagli articoli 31, comma 3, e 38 della legge n. 47/1985 (primo condono edilizio) e dell'art. 39 della legge n. 724/1994 (secondo condono edilizio).

Con le eccezioni del ricorrente in Cassazione viene lamentato che il giudice dell'esecuzione non avrebbe considerato:

  • che per le nuove costruzioni, l'art. 39 della Legge n. 724/1994 subordina la condonabilità delle opere abusive alla sola condizione che non sia superato il limite volumetrico di 750 mc. per ciascuna istanza e quello complessivo di 3.000,00 mc.;
  • il legittimo affidamento, essendo logico (per il ricorrente) ritenere che l'autore dell'illecita edificazione, a distanza di quasi trent'anni dal suo accertamento e di oltre vent'anni dalla definitività della susseguente condanna, nutrisse un ragionevole affidamento a non vedere abbattute le opere, in assenza di provvedimenti di revoca del titolo abilitativo rilasciato in sanatoria e costituendo, oltretutto, l'ingiunzione demolitoria chiara espressione del contrasto esistente tra l'ordinamento penale e quello amministrativo;
  • il principio di proporzionalità nonché quello di tutela della proprietà privata, avendo dato prova che il condannato, unitamente al suo nucleo familiare, occupa ormai da molti anni l'immobile oggetto dell'ingiunzione di demolizione e non dispone di altra abitazione ove trasferirsi;
  • che all'ordine di demolizione dovrebbe riconoscersi natura di sanzione penale per la sua intrinseca gravità, con conseguente applicabilità, del disposto dell'art. 173 cod. pen., in ragione dell'avvenuta maturazione della causa di estinzione della pena della prescrizione.

Condono edilizio: il frazionamento delle istanze

Il giudice dell'esecuzione aveva rilevato che, per le nuove costruzioni, il condono edilizio è ammissibile alla sola condizione del mancato superamento del limite volumetrico di 750 mc. per ciascuna istanza e di quello complessivo di 3.000,00 mc. Da qui il rigetto alla richiesta di revoca dell'ordine di demolizione, nonostante il rilascio di permessi in sanatoria per entrambe le unità in cui era stato suddiviso il corpo di fabbrica, sul rilievo che la volumetria da sanare fosse stata surrettiziamente frazionata mediante la presentazione di distinte domande di condono.

Sul tema del frazionamento delle istanze di condono edilizio la Cassazione si è espressa numerose volte rilevando che, in vicende, come quella per cui è giudizio, caratterizzate dall'essere il manufatto abusivo di proprietà di un unico soggetto, non possa farsi luogo all'artificioso frazionamento della volumetria realizzata ex novo mediante la presentazione di plurime domande di condono, posto che costituisce consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «In tema di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994, n. 724, nel caso di unico immobile, rispetto al quale non sia stata effettuata alcuna divisione né siano stati costituiti diritti di proprietà o di godimento su singole porzioni, non sono legittimati a presentare distinte istanze di sanatoria coloro che abbiano la mera disponibilità di fatto di specifiche porzioni del bene, configurando ciò un artificioso frazionamento della domanda volto ad eludere il limite legale di volumetria dell'opera per la concedibilità della sanatoria».

La Suprema Corte ha ribadito il principio anche con riguardo a vicende concrete caratterizzate dalla presentazione di più domande di sanatoria relative ad un unico manufatto di nuova realizzazione di volumetria non eccedente i 3.000,00 mc., essendosi affermato che «In tema di condono edilizio previsto dal d. I. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto».

Principio applicabile al caso di specie in cui il ricorrente è, per sua stessa ammissione, l'unico proprietario del corpo di fabbrica abusivamente edificato, che il figlio, sottoscrittore di una delle domande di condono è persona in favore della quale non risulta formalmente costituito alcun diritto di godimento su parte dell'immobile e che la volumetria complessivamente edificata sine titulo eccede i limiti stabiliti ex lege.

Legittimo affidamento e principio di tutela della proprietà privata

Relativamente alla lamentata violazione dei principi di tutela della proprietà privata, di non contraddittorietà degli ordinamenti, di proporzionalità delle sanzioni e del legittimo affidamento, la Cassazione ha ritenuto che non ci sarebbe alcun contrasto con l'ordinanza della Corte territoriale, considerato che il ricorrente, all'epoca dell'edificazione, era pienamente consapevole dell'illiceità delle opere che andava a realizzare, in quanto privo del prescritto permesso di costruire e che il lungo tempo decorso dalla condanna definitiva medio tempore intervenuta è circostanza che, piuttosto che ingenerare un legittimo affidamento non abbattimento, avrebbe dovuto favorire l'ottenimento della sanatoria, se giuridicamente possibile, o comunque consentire la risoluzione del problema abitativo.

I giudici di Cassazione hanno quindi confermato un principio della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) che «In tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria".

Significativo al riguardo il principio enunciato dalla Suprema Corte, secondo cui «In tema di reati edilizi, il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici».

La natura dell'ordine di demolizione

Infine, la Cassazione ha confermato che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non possa riconoscersi all'ordine di demolizione sanzione di natura penale, avendo chiarito la giurisprudenza di legittimità che «In materia di reati edilizi, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di "pena" nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU».

Consegue, quindi, al riconoscimento della natura di sanzione amministrativa l'insuscettibilità di estinzione per decorso del tempo dell'ingiunzione demolitoria, costituendo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «In materia di reati concernenti violazioni edilizie, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina della prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l'autore dell'abuso».

Conclusione che non può ritenersi contrastante con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza, ove si consideri che la Corte ha di recente affermato che «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa - che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso - non consentono di ritenerla "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all'art. 117 Cost.».

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