Condono edilizio: occhio alla data di ultimazione lavori

Spetta al responsabile degli abusi provare che le opere sono state realizzate entro il termine previsto dalla normativa sul condono edilizio

di Redazione tecnica - 06/09/2023

In assenza di prove documentali certe che attestino l’ultimazione dei lavori entro il termine consentito dalla normativa, la pratica di condono edilizio non può che essere stralciata.

Condono edilizio e data ultimazione lavori: la sentenza del Consiglio di Stato

Lo conferma il Consiglio di Stato, che ritorna a parlare di onere della prova a carico del responsabile degli abusi edilizi (o comunque del proprietario delle opere abusive), oggetto della sentenza n. 8165/2023, con la quale ha confermato la legittimità del rigetto delle domande di condono edilizio di opere abusive e del relativo ordine di demolizione.

Mentre secondo l’appellante l’Amministrazione avrebbe avuto l’onere di richiedere un’integrazione di documentazione incompleta, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito invece i principi costanti della giurisprudenza, per cui a fronte di carenze documentali, che non permettono di individuare il contenuto minimo della richiesta, nessun onere istruttorio è in capo all’Amministrazione.

Sanatoria abusi edilizi: l'onere della prova

Grava infatti sul privato che presenta istanza di condono l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.

Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, in quanto, relativamente ad un immobile realizzato in assenza di titoli edilizi, solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere di sanabilità di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell'introduzione di un determinato regime normativo dello ius aedificandi. Solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’Amministrazione.

In definitiva, come nel processo civile, anche il processo amministrativo si fonda sul generale principio desumibile dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e, al contempo, chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda, sicché la parte che contesta la legittimità di un provvedimento amministrativo deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

In questo caso, l’onere non è stato in alcun modo assolto dall’appellante, mentre, viceversa, l’Amministrazione, fino appunto a prova contraria, ha sostenuto che i lavori sono stati effettuati dopo il 31 marzo 2003.

Ordine di demolizione: atto dovuto e vincolato, anche se tardivo

Il caso è stato anche l’occasione per ribadire che l’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti previsti dalla legge, per l’esercizio del quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato.

Non solo: in riferimento a una presunta carenza di motivazione, occorre rilevare come l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 9/2017, ha affermato il principio per cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

L'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha quindi natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività, per cui non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idoneo a giustificare l’ordine di demolizione.

Si tratta di considerazioni che, conclude il Consiglio, valgono anche nel caso in cui l’ordine di demolizione sia adottato a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, atteso che a fronte della realizzazione di un immobile abusivo non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela.

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