Distanze legali tra edifici: il TAR su luci e vedute

L'apertura priva delle caratteristiche della veduta (o del prospetto) non può che essere qualificata giuridicamente come luce e come tale non può violare le norme sulle distanze legali

di Redazione tecnica - 11/01/2024

La differenza tra luci e vedute può essere importante e dirimente per valutare l'eventuale violazione delle distanze minime tra edifici previste dal D.M. n. 1444/1968. 

Distanze legali: il ruolo di luci e vedute

Ne è prova la sentenza del TAR Campania del 1 dicembre 2023, n. 2841, con la quale ha respinto il ricorso di un privato che lamentava la difformità di alcuni lavori di ristrutturazione edilizia eseguiti in un edificio adibito a ristorante e trasfoirmato in struttura ricettiva, con un cambio di destinazione d'uso illegittimo. 

Tra le violazioni segnalate dal ricorrente:

  • sull'edificio sarebbe stata assentita la realizzazione di un piano in sopraelevazione a distanza inferiore a 10 metri dalle pareti finestrate della propria abitazione, in violazione delle distanze legali di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968;
  • i lavori avrebbero integrato gli estremi non già dei meri lavori di ristrutturazione, bensì dell’intervento di nuova costruzione, con la realizzazione di un manufatto completamente nuovo;
  • le aperture presenti nel muro non sarebbero state luci, bensì vedute con conseguente violazione dell’art. 905 c.c..

Violazione distanze legali: le norme per pareti finestrate

Nel valutare il caso, il TAR ha ricordato che l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 fissa la distanza minima che deve intercorrere tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.

Questa disposizione fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza, solo “le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci”. Ne consegue la non applicabilità dell’art. 9 predetto in punto di distanza minima in presenza di aperture da qualificare come luci.

Come ha specificato la Corte di Cassazione, “la semplice possibilità di vedere o guardare frontalmente, che del resto è connaturata al genus “finestre o aperture”, non basta ad integrare la figura specifica della veduta; né peraltro è incompatibile con la più neutra nozione di “luce”, che, in negativo, è caratterizzata dal non permettere “di affacciarsi sul fondo del vicino”. È questo, di contro, il requisito tipico ed esclusivo della veduta, la quale proprio perché permette di "affacciarsi" e quindi di “guardare” non solo di fronte, ma anche “obliquamente e lateralmente”, conferisce all'apertura quella speciale attitudine visiva - consistente nell'assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale - che esula dalla semplice luce e da essa la discrimina.

Per la sussistenza della veduta è necessaria la presenza cumulativa dei requisiti della inspectio, intesa come possibilità di vedere o guardare frontalmente il fondo del vicino, e della prospectio, intesa come affaccio mediante la sporgenza del capo dall’apertura che consente di guardare anche obliquamente e lateralmente il fondo del vicino.

Ne consegue che l'apertura priva delle caratteristiche della veduta (o del prospetto) non può che essere qualificata giuridicamente come luce.

Applicando questi principi al caso in esame, le 6 aperture presenti nel fabbricato in questione, non consentono l’inspectio e la prospectio nel fondo di parte ricorrente, motivo per cui esse sono state qualificate come luci e non come vedute, senza che sia configurabile la prospettata violazione dell’art. 9 del D.M. 1444/1968.

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