Distanze legali e vincoli paesaggistici: niente silenzio-assenso al permesso di costruire

Consiglio di Stato: "In materia ambientale e paesaggistica non si può procedere per silenzio-assenso bensì per provvedimenti espliciti"

di Redazione tecnica - 30/05/2023

Silenzio-assenso per il permesso di costruire, deroghe alle distanze minime, vincoli paesaggistici e strumenti urbanistici. Quando si parla di edilizia, che siano nuove costruzioni o altri interventi, è sempre opportuno fare molta attenzione alle normative di rango primario nazionali ma anche a quelle regionali.

Distanze legali, vincoli paesaggistici e silenzio-assenso: interviene il Consiglio di Stato

Lo ricorda il Consiglio di Stato con la sentenza 17 maggio 2023, n. 5933 che ribalta una decisione dei giudici di primo grado in merito alla formazione del permesso di costruire per silenzio-assenso decorsi i tempi previsti all'art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia).

Il caso di specie riguarda (tra le altre cose) una determinazione del Comune che aveva annullato in autotutela il silenzio-assenso formatosi sull’istanza di permesso di costruire presentata successivamente all’entrata in vigore del nuovo p.u.g., sul presupposto che i suddetti titoli avrebbero violato il regime delle distanze minime legali (10 mt) da osservarsi tra edifici, come previsto e imposto dal d.m. n. 1444 del 1968.

Di seguito gli snodi principali della vicenda:

  • il ricorrente chiedeva e otteneva dal Comune il permesso di costruire per l’esecuzione di un intervento di ristrutturazione, con parziale demolizione del fabbricato esistente e ampliamento con sopraelevazione;
  • tale permesso veniva impugnato da un confinante innanzi al T.a.r. per violazione della distanza legale di mt. 10 fra pareti finestrate, ex d.m. n. 1444/1968, intercorrente tra il fabbricato in progetto e quello limitrofo preesistente;
  • il ricorso veniva rigettato dal T.a.r. ma poi accolto dal Consiglio Stato che disponeva l'annullamento del permesso di costruire impugnato;
  • il ricorrente, quindi, presentava richiesta di nuovo permesso di costruire, modificando il progetto originario con adeguamento del distacco tra i fabbricati oggetto di contestazione, estendendolo a ml 10,00;
  • il Comune rilasciava il nuovo permesso di costruire;
  • con delibera consiliare il Comune approvava il nuovo Piano Urbanistico Generale comunale, le cui previsioni contemplavano nella zona in questione la deroga alla distanza di 10 ml tra pareti finestrate, di cui al d.m. n. 1444 del 1968;
  • a seguito delle sopravvenute disposizioni urbanistiche, il ricorrente richiedeva al Comune il rilascio di un nuovo permesso di costruire, ancora una volta per ristrutturazione con parziale demolizione del fabbricato esistente e ampliamento, sul quale l’ufficio tecnico comunale esprimeva parere favorevole;
  • spirato il termine di cui all’art. 20, comma 3, del Testo Unico Edilizia, in assenza di richiesta di integrazione documentale, il ricorrente riteneva formatosi il silenzio assenso sulla richiesta del titolo edilizio, quindi preannunciava all’amministrazione comunale l’invio della comunicazione inizio lavori;
  • successivamente, veniva adottata la determinazione dirigenziale, con cui il Comune si determinava ad annullare in autotutela sia il permesso di costruire, sia il silenzio assenso formatosi sull’istanza di permesso di costruire presentata successivamente all’entrata in vigore del nuovo p.u.g., con ordine di immediata sospensione dei lavori.

In primo grado il TAR aveva dato ragione al ricorrente, ma in secondo grado tutto è stato ribaltato.

Il regime delle distanze, le deroghe e il silenzio-assenso sul PdC

La risposta del Consiglio di Stato è basata sulla lettura delle norme ed, in particolare, delle seguenti:

  • art. 2-bis (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati), comma 1-ter del d.P.R. n. 380/2001:
    In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Nelle zone zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela.
  • art. 20 (Procedimento per il rilascio del permesso di costruire), comma 8 del d.P.R. n. 380/2001:
    Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.
  • art. 20 (Silenzio assenso), comma 4 della Legge n. 241/1990:
    Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

Silenzio assenso e vincoli paesaggistici

Dalla lettura delle richiamate norme il Consiglio di Stato ha ricordato che in materia ambientale e paesaggistica non si può procedere per silenzio-assenso bensì per provvedimenti espliciti e nel caso di specie nessun titolo poteva ritenersi legittimamente formato per silenzio stante i vincoli paesaggistici gravanti sull’area.

Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha chiarito e riepilogato quanto segue:

  • a suo tempo il capo ufficio tecnico aveva solo espresso un parere istruttorio senza che questo parere, tuttavia, confluisse in un titolo ambientale definitivo;
  • la determinazione avversata non assume alcun valore, né confessorio né di autotutela bensì, di diniego del titolo edilizio non essendosi formato alcun silenzio-assenso.

Gli strumenti urbanistici

Oltretutto il Consiglio di Stato ha rilevato che l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (nella circostanza, mancava il piano attuativo)

Il p.u.g. è un piano generale e non attuativo, sicché esso stabilisce (in via generale) la distanza tra fabbricati ma affinché questa possa rendersi attuale occorre comunque dotarsi del piano attuativo. Nel caso di specie è certa l'illegittimità del P.U.G nella parte in cui ha derogato alle distanze minime di cui all’art. 9, d.m. n. 1444/1968 in assenza di una legislazione regionale che legittimasse – ratione temporis - i comuni a prevedere deroghe all’art. 9 citato in sede di approvazione del p.u.g..

L'annullamento del permesso di costruire

Nel caso di specie, il Comune avrebbe annullato in autotutela il permesso di costruire, nonché la comunicazione di (asserita) formazione del silenzio assenso, sul presupposto della illegittimità della fonte normativa secondaria (piano urbanistico generale) rispetto alla fonte nazionale sovraordinata di cui al d.m. n. 1444 del 1968.

Secondo costante giurisprudenza, tenuto conto altresì della normativa statale e regionale ratione temporis vigente, la distanza minima di dieci metri tra edifici antistanti (fissata dall’art. 9, d.m. n. 1444/1968) aveva carattere inderogabile, in quanto norma imperativa volta a predeterminare in via generale le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza.

I limiti fissati nel suddetto decreto integrano il regime delle distanze nelle costruzioni con efficacia precettiva, in quanto perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva, e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione (regolata e tutelata, invece, dal codice civile). Ragion per cui, le distanze (10 mt) tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti devono ritenersi inderogabili, come tali vincolanti sia per i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici, sia per i privati (i confinanti non potrebbero, con patti stipulati tra loro, derogarle).

Nel caso oggetto della sentenza, lo strumento urbanistico comunale (nel regime normativo nazionale e regionale ratione temporis vigente) non poteva contemplare disposizioni in contrasto con l’art. 9 del d.m. n. 1444/1968. Tale illegittimità comporta per il giudice l’obbligo di applicare la norma di livello superiore, secondo il criterio di gerarchia materiale delle fonti, disapplicando la norma regolamentare in contrasto con la norma di rango superiore e inderogabile.

Applicando le suesposte coordinate al caso di specie (ristrutturazione, con parziale demolizione del fabbricato esistente e ampliamento con sopraelevazione) occorre considerare che la distanza minima è imposta per qualsiasi forma di nuova costruzione da effettuarsi in tutto il territorio comunale, quest’ultima intesa nel senso più ampio con riguardo, sia al regime di nuova costruzione, che al regime ricostruttivo; che, inoltre, tali distacchi si applicano sia in senso planimetrico che in senso altimetrico o elevazione.

Le eccezioni al regime delle distanze

Le uniche eccezioni sono:

  • gli interventi di risanamento conservativo;
  • le ristrutturazioni di edifici situati nelle zone omogenee A (centri e nuclei storici), dove le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
  • i gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con specifiche previsioni planovolumetriche;
  • la particolare deroga prevista per finalità di risparmio energetico (id est, “cappotto termico”) all’art. 2-bis, co. 1-ter del d.p.r. n. 380 del 2001, introdotto nel testo unico edilizio con il d.l. n. 76 del 2020.

Il Consiglio di Stato ha, infine, ricordato i commi 1 e 1-bis del citato art. 2-bis del d.p.r. n. 380/2001:

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

1-bis Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

La legislazione statale ha, dunque, introdotto, nel quadro dei principi che informano la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, norme che consentono a livello territoriale la possibilità di prevedere, a determinate condizioni, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444.

Tuttavia, perché ciò fosse consentito al caso di specie, occorreva che la Regione esercitasse la propria potestà legislativa concorrente in materia, prevedendo a livello territoriale la possibilità di deroghe alle distanze; facoltà che non consta essere stata esercitata.

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