Gazebo in zona vincolata: una SCIA non basta

Anche se una struttura è assentibile con DIA/SCIA, in caso di zona sottoposta a vincolo è necessaria anche l'autorizzazione paesaggistica

di Redazione tecnica - 18/05/2023

L’installazione di gazebo di grandi dimensioni a supporto di un'attività non può configurare un intervento temporaneo, nè la struttura si può qualificare come precaria e di natura pertinenziale, assentibile mediante DIA, tanto più se in zona sottoposta a vincolo.

Gazebo e strutture temporanee in zona vincolata: ci vuole anche l'autorizzazione paesaggistica

Sono questi i presupposti sui quali il Consiglio di Stato ha respinto, con la sentenza n. 4667/2023, il ricorso contro l’ordine di demolizione di due strutture in pvc e che, secondo l’impresa appellante, corrispondevano a una struttura rimovibile per l’utilizzo temporaneo ed itinerante.

Già in primo grado il TAR aveva specificato che gli interventi edilizi avevano generato, per dimensione e struttura, una alterazione dell’aspetto esteriore dei luoghi in zona paesaggisticamente vincolata, motivo per cui, anche se le opere fossero state definite come pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria era doverosa, dato che non era stata ottenuta alcuna autorizzazione paesaggistica.

Per altro i gazebo, non precari in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, erano a tutti gli effetti manufatti in grado di alterare lo stato dei luoghi, con incremento del carico urbanistico.

La sentenza del Consiglio di Stato

Sebbene la ricorrente abbia insistito anche in appello sul carattere pertinenziale delle opere abusive, precisando che l’intera struttura non era ancorata al suolo, ma solo appoggiata ad esso, senza comportare alcuna opera edile, movimento di terra o sbancamento, configurando così un manufatto sottoposto alla sola D.I.A., oggi S.C.I.A., Palazzo Spada ha invece confermato la tesi del TAR, per cui gli interventi edilizi hanno determinato, per dimensioni e struttura, un’alterazione dell’aspetto esteriore dei luoghi in una zona paesaggisticamente vincolata e senza provvedere alla necessaria autorizzazione paesaggistica.

Ricordano i giudici d’appello che per giurisprudenza consolidata, le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici ed anche se si tratta di eventuali pertinenze, hanno una indubbia rilevanza paesaggistica, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico, da sottoporre alla previa valutazione degli organi competenti, possono anche esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi, ovvero precluderne una ulteriore modifica.

Ne deriva il principio secondo il quale le opere abusive, anche qualora abbiano natura pertinenziale o precaria e quindi siano assentibili con mera D.I.A./S.C.I.A., se realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, devono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, o dalla D.I.A., laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, è doveroso da parte dell’Amministrazione applicare la sanzione demolitoria.

La definizione di pertinenza

Dal punto di vista edilizio, le strutture in questione costituivano inoltre un nuovo volume, non qualificabile come pertinenza. La pertinenza urbanistico – edilizia è configurabile allorquando sussista “un oggettivo nesso tra bene accessorio e principale che non consenta altro che la destinazione del primo a un uso servente durevole e quest’ultimo abbia, inoltre, dimensioni ridotte e modeste rispetto a quelle dell’edificio a cui inerisce”.

A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma è altresì sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta ulteriore ‘carico urbanistico’, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale col fabbricato principale.

Si tratta di caratteristiche che nel caso in esame, considerando la dimensione delle opere abusive e il concreto utilizzo, non sono ravvisabili e comunque non adeguatamente supportate sotto il profilo probatorio. Né si può parlare di manufatti precari, dato che sono stati destinati a soddisfare esigenze permanenti strettamente inerenti all’attività svolta dal ricorrente e rappresentando, anche per le dimensioni, un incremento del carico urbanistico.

Non assume infatti rilievo l’eventuale rimovibilità della struttura, o l’assenza di opere murarie, atteso che le opere di carattere precario devono essere funzionali a soddisfare una esigenza temporanea destinata a cessare nel tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l’interesse finale che la medesima era destinata a soddisfare. Pertanto, la natura precaria dell’opera non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando piuttosto la sua oggettiva idoneità a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione.

L'ordine di demolizione nel Testo Unico Edilizia

Infine, ricorda il Consiglio, che l’art. 27 d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), in presenza di un manufatto realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, rende doverosa la demolizione d’ufficio di tutti gli interventi edilizi realizzati sine titulo e non soltanto gli interventi realizzati senza permesso di costruire.

L’ordine di demolizione ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 configura quindi un atto vincolato, dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore, da assumere previo accertamento della natura abusiva dell’opera in concreto realizzata, in ragione della sua edificazione in assenza del titolo. Pertanto, l’ordinanza di demolizione si deve ritenere sorretta da adeguata e sufficiente motivazione quando l’Amministrazione provvede alla compiuta descrizione delle opere abusive e alla constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo, come nel caso in esame è stato correttamente effettuato.

Né il tempo trascorso tra la realizzazione dell’abuso e il provvedimento sanzionatorio può ingenerare un affidamento tutelabile, atteso che in materia di abusi edilizi non si può parlare di legittimo affidamento, in quanto vi è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento e che confida unicamente nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’Amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza. L’illecito edilizio ha natura permanente e colui che ha realizzato l’abuso mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera abusiva, a maggior ragione quando l’abuso è stato realizzato su zone paesaggisticamente vincolate, venendo in rilievo anche la ratio della tutela ambientale, da salvaguardarsi mediante l’applicazione della sanzione ripristinatoria.

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