La legittimità urbanistico-edilizia dei fabbricati privi del titolo abilitativo edilizio

Una panoramica su norme e giurisprudenza da tenere in considerazione per la corretta applicazione della conformità edilizia

di Donatella Salamita - 22/07/2022

Non raramente risulta difficoltoso rintracciare la documentazione tecnica comprovante la regolarità urbanistico-edilizia di un bene immobile, così come, laddove reperita, emerge differenza tra i suoi contenuti e lo stato di fatto dell’edificio, quale conferma circa la presenza delle irregolarità del manufatto edilizio, che porterebbe alla presentazione di un’istanza di sanatoria in taluni casi e nel presupposto del soddisfo del requisito della doppia conformità, o, in altri casi, alla regolarizzazione ai sensi dell’art.6-bis “Interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata” del Testo Unico per l’Edilizia. Relativamente al concetto di “doppia conformità” occorre, invece, citare gli articoli 36 e 37 del d.P.R. 380/2001, rispettivamente rubricati “Accertamento di conformità” e “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità”.

Regolarità urbanistica-edilizia: il reperimento della documentazione tecnica 

Entrando nel tema dell’accertamento della liceità nonché dell’epoca costruttiva di un immobile, occorre, preliminarmente, analizzare l’evoluzione della normativa in materia allo scopo di poter desumere la differenza tra i fattori da valutare o dei quali tenere conto al momento in cui un professionista debba prestare attività fedelmente comprovante determinati aspetti.

Costruzioni antecedenti l’anno 1934

Per le costruzioni antecedenti l’anno 1934 generalmente ci si riconduce al Regio Decreto n.1265 del 27/07/1934 “Testo Unico delle Leggi Sanitarie”, con il quale disciplinata la materia dell’abitabilità e le verifiche in materia di salubrità delle abitazioni. Precedentemente l’articolo 39 della Legge n.5849 del 22/12/1888 “Legge per la tutela della igiene e della sanità pubblica” , modificato dall’art.69 del Regio Decreto n.636 dell’1/08/1907 “Testo unico delle leggi sanitarie”, disciplinava che gli edifici di nuova costruzione o in parte rifatti non potessero essere abitati se non successivamente al rilascio dell’autorizzazione da parte del Sindaco.

Il Regio Decreto 1265/1934 rimodula la condizione dell’articolo 39 in considerazione del fatto che nell’anno 1934 non vigeva l’obbligo all’ottenimento della licenza edilizia sia per le nuove costruzioni, che per le modifiche su di essi realizzate aventi carattere di “rilevanza”, ciò se i medesimi immobili fossero situati all’interno dei centri abitati e nelle zone di espansione dei Piani Regolatori Generali.

Nel caso in cui si debba accertare la liceità urbanistico-edilizia di un immobile edificato anteriormente all’entrata in vigore del Regio Decreto 1265/1934:

  • anche nel caso in cui il fabbricato sia stato eretto nel 1900, non abbia subito modifiche tali da richiedere alcun atto autorizzativo, tenuto conto della non obbligatorietà al conseguimento dell’abitabilità/agibilità, pone nella condizione il tecnico possa rendere dichiarazione o perizia giurata attestando l’anno di costruzione dell'immobile.

La riforma del catasto dell’anno 1939

Nell’anno 1939 il catasto fu riformato, fu denominato “Nuovo Catasto Edilizio Urbano”. Agli immobili censiti venne associata la planimetria catastale, prima non prevista. 

La procedura veniva effettuata attraverso la rappresentazione grafica dell’immobile da parte di un professionista incaricato dal proprietario, ed il successivo deposito presso il catasto, seguiva il sopralluogo da parte di un funzionario finalizzato ad attestare la corrispondenza tra la planimetria e lo stato di fatto dell’immobile.

Costruzioni antecedenti l’ottobre 1942: la prima Legge sull’Urbanistica

La Legge n.1150 del 17/08/1942 “Legge Urbanistica” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 16/10/1942, premettendo che precedentemente ad essa in alcuni territori comunali erano già vigenti norme che imponevano di richiedere al comune il titolo abilitativo a far data già dai primi del novecento, istituisce, per prima, sanzioni per le opere abusive, pertanto se documentabile che l’immobile era stato ultimato o era in corso di costruzione nell’ottobre 1942 non lo si considerava abusivo.

Nello specifico un fabbricato realizzato anteriormente all’anno 1942  per il quale non si riesce ad individuare alcun progetto edilizio, il metodo, unico, per dimostrarne la liceità è la planimetria catastale risalante all’arco temporale compreso tra l’anno 1939 e l’anno 1942. 

Da quanto riportato emerge che se un fabbricato costruito anteriormente all’anno 1942 è corredato della planimetria catastale (1939), ma per lo stesso non esiste il progetto edilizio:

  • se il Comune nel quale ricade non era dotato di strumento urbanistico nell’anno 1942 non vige l’obbligo circa la preesistente del progetto edilizio, bensì la planimetria catastale rappresenta l’atto sulla base del quale dimostrare la legittimità dell’immobile.
  • gli immobili realizzati in data anteriore al 1934 laddove non fosse reperita alcuna documentazione tecnica, potranno essere supportati comprovando la loro riproduzione anche nelle aerofotogrammetrie, così come nel titolo di proprietà, o attraverso  idonei mezzi di prova.

Gli stessi fabbricati se interessati da successivi interventi edilizi assoggettati al conseguimento del titolo abilitativo, invece, devono essere in possesso del medesimo, il quale può essere esibito dal proprietario o dall’avente titolo, ovvero richiesto in copia al Comune ai sensi della Legge 241/1990 e ss. mm. ed ii. 

L’art. 31 della L.1150/1942 introduce l’obbligo di richiedere la Licenza Edilizia limitatamente agli immobili situati nei centri urbani. Sul tema è più volte intervenuta la giurisprudenza, tra le pronunce si cita la Sentenza del Consiglio di Stato, Sez.V, n.1514 del 21/10/1988, ove confermato la Legge 1150/1942 rappresenti quella norma generale in materia urbanistico – edilizia, alla quale anche la Legge 47/1985 è ricondotta nell’introdurre il condono edilizio, la Legge 1150/1942 è difatti la normativa che illustra quale sia il limite temporale massimo al quale risalire anche ai fini della sanatoria.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, riferirsi alla Legge Urbanistica è utile non solo perché introduttiva dell’obbligo al conseguimento della Licenza Edilizia, bensì, ed anche, perché l’art.31 della L.47/1985 ammette alla sanatoria anche gli abusi realizzati in data anteriore al 1 settembre 1967, laddove richiesto il rilascio del titolo edilizio ai sensi della Legge 1150/11942. 

Sullo stesso senso verte anche la Sentenza del T.A.R Umbria n.281 del 10/052013 confermando l’illegittimità dell’Ordinanza di Demolizione di un manufatto del quale veniva fornita prova, tra l’altro non contestata, della sua realizzazione per risalire in data anteriore all’1 settembre 1967, quindi precedentemente l’introdotto obbligo all’ottenimento della Licenza Edilizia per gli immobili situati esternamente al perimetro del centro abitato.

La Legge Ponte, 1967

Entrata in vigore la Legge n.765 del 06/08/1967 rubricata “Modifiche ed integrazioni alla Legge Urbanistica 17 agosto 1942, n.1150” cd. “Legge Ponte”, per gli edifici realizzati in data antecedente all’ 1/09/1967  non è richiesta la presenza di alcun titolo edilizio.

La normativa de quo necessita, però, di una importante precisazione, in quanto il concetto anzi espresso è, legittimamente, applicabile per gli immobili edificati nelle aree, nel periodo compreso tra l’anno 1942 e l’anno 1967, non dotate di Piano Regolatore o non incluse nell’ambito del perimetro urbano, quindi quelle zone che, periferiche, non erano state oggetto di pianificazione urbanistica.

Ciò nonostante la superiore distinzione non trova congrua applicazione, a titolo esemplificativo, spesso si legge tra i contenuti di un qualsiasi Atto Pubblico Notarile, ovvero quale dichiarazione resa dall’alienante l’attestazione inerente la costruzione dell’immobile per essere iniziata in data anteriore al 01 settembre 1967, indipendentemente dal fattore il cespite ricada all’interno o all’esterno del perimetro del centro edificato, caso quest’ultimo non comprovante alcuna legittimità sotto il profilo urbanistico-edilizio.

In realtà, però, l’art.40 della Legge n.47 del 28/02/1985 “Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia”, disciplina, inequivocabilmente quanto attiene le sanzioni amministrative e penali”, laddove recita testualmente: “Per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”. 

L’art.9 – bis del Testo Unico per l’Edilizia

Rubricato “Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili” disciplina due aspetti.

Al comma 1 viene disposto le amministrazioni non possano richiedere alcun tipo di attestazione, ovvero perizie attraverso le quali debba essere comprovata, da parte del richiedente o del titolare la pratica edilizia, la veridicità di quegli atti di fatto disponibili, ovvero per i quali è possibile l’acquisizione d’ufficio da parte del medesimo ente, laddove siano finalizzati al rilascio, o costituiscano parte integrante per la formazione del titolo abilitativo edilizio. 

Lo stesso comma precisa esse documentazioni debbono riguardare i titoli abilitativi previsti dal Testo Unico per l’Edilizia, pertanto il riferimento deve ricondursi alla medesima normativa ed alle previsioni in essa contenute.

Il comma 1-bis, introdotto dall’articolo 10, comma 1, lettera d) della Legge 120/2020, di conversione del Decreto Legge 76/2020, cd. “Decreto Semplificazioni”, invece, regola quanto attiene lo stato legittimo di un immobile.

Ai sensi del medesimo la liceità di una costruzione, o sua porzione, è dimostrata:

  • dal titolo abilitativo edilizio mediante il quale realizzata o regolarizzata;
  • dal titolo abilitativo edilizio trasmesso allo sportello unico per la realizzazione di un successivo intervento, l’ultimo, riguardante il manufatto edilizio;
  • dall’integrazione tra l’ultimo titolo abilitativo edilizio con i superiori, conseguito per la realizzazione di interventi parziali.

Relativamente agli edifici di remota costruzione, come definiti nel testo “realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio” viene confermato la legittimità della costruzione si possa desumere, se sussistente un principio di prova del titolo anche se questo non è disponibile in copia:

  • dalle informazioni catastali di primo impianto;
  • da altri documenti probanti: riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza;
  • e, come sopra, dall’integrazione tra l’ultimo titolo abilitativo edilizio con i superiori, conseguito per la realizzazione di interventi parziali.

Il Regio Decreto 1265/1934 viene citato nel contenuto dell’art.9-bis d.P.R. 380/2001 per costituire il riferimento normativo per i manufatti edilizi antecedenti l’anno 1934.

Quali responsabilità nel certificare la legittimità di una costruzione

Quanto si argomenta non si limita ai soli immobili realizzati in “epoca non recente”, ma trova applicazione per tutti i fabbricati indipendentemente dalla loro epoca costruttiva.

È l’art.29 del D.P.R.380/2001 a disporre che il tecnico abilitato asseveri sotto la propria personale responsabilità la legittimità dell’immobile, sia con riferimento al momento dell’edificazione e sia con riferimento ad intervenuti successivi interventi edilizi. 

Trattasi di una responsabilità imputabile al titolare dell’istanza, unicamente, in tutti quei casi nei quali realizzati interventi classificati e ricompresi nel regime dell’attività edilizia libera, ovvero non subordinati a comunicazione ed asseverazione da parte del tecnico abilitato. 

Nei casi in cui il professionista asseveri va rammentato quanto chiamato ad espressamente dichiarare in veste di persona “esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt.359 e 481 del Codice Penale”, previa la preliminare attività degli accertamenti di carattere urbanistico, edilizio, statico, igienico, i sopralluoghi, nonché la consapevolezza essere sanzionabile penalmente per falsa asseverazione circa l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 dell’art.19 L.241/1990.

La documentazione occorrente per dimostrare la regolarità urbanistico – edilizia

Premesso ogni immobile per poter essere ritenuto regolare deve risultare conforme agli strumenti urbanistici vigenti, ed, invero tale regolarità è comprovata dal progetto e dal rispettivo titolo abilitativo edilizio.

Le documentazioni comprovanti la legittimità di un immobile, tenuto conto dell’evoluzione normativa, risultano essere:  il titolo edilizio abilitativo, la planimetria catastale, il certificato di abitabilità o agibilità, successivamente solo agibilità, poi sostituito, ed attualmente vigente, dal D.Lgs 222/2016 con la Segnalazione Certificata di Agibilità.

Ai fini della verifica della conformità urbanistico – edilizia occorre fare riferimento all’ultimo titolo conseguito, dal quale deve emergere la corrispondenza tra il progetto depositato al Comune da un tecnico abilitato e lo stato di fatto dell’edificio, e chiaramente tale ultimo titolo edilizio potrebbe consistere in una pratica di manutenzione straordinaria, C.I.L.A. o S.C.I.A, o in una comunicazione di inizio lavori trasmessa dal soggetto titolare, in tal caso è chiaro la medesima conformità sia rappresentata dal precedente atto edilizio.

La Perizia Giurata resa dal tecnico abilitato 

Sovente non individuato alcun progetto di vecchia costruzione dell’immobile è necessaria la redazione della Perizia Giurata, da parte del tecnico abilitato, che ne attesti l’epoca costruttiva. Perizia che potrà inerire immobili antecedenti all’anno 1934, come anche all’anno 1942 o al 1/09/1967.

Il professionista darà atto della liceità dell’immobile indicandone il periodo in cui realizzato, non tralasciando riportare quanto inerisce il rispetto della normativa urbanistica vigente all’epoca cui eretto, nonché dichiarando che successivamente a tale data non sono intervenute modifiche comportanti il conseguimento di uno specifico titolo abilitativo.

La stesura della perizia prevede dover dimostrare quali siano stati i mezzi di prova utilizzati dal tecnico, tra questi rientrano gli accertamenti effettuati presso l’Ufficio Tecnico Comunale, mediante formale richiesta di visione atti ed estrazione copia ai sensi della L.241/19990 e s.m. ed i., i titoli di proprietà, le aerofotogrammetrie e la planimetria catastale d’impianto.

Sarà necessario attestare, ad esempio, se l’amministrazione comunale custodisce in deposito progetti edilizi presentati sul territorio riferiti alla data indicata dallo stesso, o a partire dall’entrata in vigore della Legge 1150/1942, che per prima, ricordiamo, ha imposto l’obbligo di munirsi di autorizzazione per l'esecuzione di opere edili, ovvero potrà essere dichiarato non sia rintracciabile alcun progetto, in quanto inesistente.

Occorre attestare anche in riferimento all’accertamento effettuato presso la locale Agenzia del Territorio, indicando l’individuazione della planimetria catastale, o, diversamente, di non averne riscontrato l’esistenza che possa certificare l’epoca di costruzione dell’immobile. 

Attraverso la documentazione recuperata, ivi compresa quale fornitagli dal proprietario, previo un attento accertamento sul posto, il professionista, nei contenuti della perizia, descrive l’immobile, riportandone l’ubicazione, le caratteristiche, la composizione, ed i dati catastali, indicherà la zona territoriale omogenea nella quale ricade, aspetto, quest’ultimo, fondamentale laddove si tratti di un immobile postumo all’anno 1942, per poterne comprovare la ricadenza al di fuori del perimetro centro edificato.

Oltremodo importante è la descrizione riguardante la struttura portante del manufatto edilizio, dei solai, dei balconi, nonché delle divisioni interne, eventuali scale di collegamento tra i piani e coperture, in combinato con la descrizione delle opere di rifinitura, in considerazione del fatto che i materiali e le metodologie costruttive confermeranno, ulteriormente, l’epoca costruttiva dell’immobile.

Il tecnico citerà l’eventuale dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal proprietario o dall’avente titolo, attraverso la quale veniva dichiarata l’epoca costruttiva dell’immobile, accerterà l’assenza di sopravvenuti interventi edilizi postumi alla realizzazione, quali segni di ampliamento, ricostruzione o ristrutturazione, nonché ulteriori variazioni comportanti l’acquisizione di titolo edilizio abilitativo.

Accertata la consistenza dello stato di fatto dell’immobile essere corrispondente alla descrizione contenuta nel titolo di proprietà, sarà comprovabile la sua epoca costruttiva.

Chiaramente i mezzi di prova indicati potranno essere supportati anche dalla mappa catastale d’impianto, nella quale individuare la particella e provarne l’esistenza ad una specifica data, con essa si citano le aerofotogrammetrie, le immagini satellitari, le foto storiche per le quali sia possibile dimostrarne la data.

Giurisprudenza ed edifici di costruzione remota

Per gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nella ricostruzione del rudere sono fondamentali i connotati essenziali originari, ciò secondo la pronuncia del T.A.R. Toscana, Sez. I, nei contenuti della Sentenza n. 588 del 18/04/2017, ove si legge “la ricostruzione di un rudere è qualificabile come nuova costruzione subordinata al permesso di costruire qualora non sia possibile individuare i connotati essenziali originari”. 

In particolare si tratta di un’area dove presenti i resti di una villa risalente ai primi del 1900, la proprietà,  nell’anno 1994, trasmetteva il progetto di ristrutturazione al comune che lo rigettava per la presenza del vincolo preordinato all’esproprio. Decaduto il vincolo la stessa proprietà richiedeva l’approvazione del piano di recupero della villa, incorrendo, nuovamente, nel diniego comunale motivato dal fattore si trattasse di “zona bianca”, oltremodo perché non classificato l’intervento in termini nel regime della ristrutturazione edilizia, così come prospettato dall’interessata, bensì nel regime della nuova costruzione, ciò derivante dall’impossibilità nel poter considerare l’edificio, ridotto a rudere privo di solai e copertura, quale “fabbricato esistente”.

Richiamando il Consiglio di Stato, Sentenza n. 4737/2009, il Comune nuovamente disciplinava l’area classificandola come zona di rispetto panoramico e di tutela idrogeologica, inedificabile, impugnata davanti al T.A.R. Toscana che la annullava in parte con Sentenza n. 931/2013, per aver individuato con la nuova destinazione un vincolo sostanzialmente espropriativo, illegittimamente apposto in mancanza di congrua motivazione. La variante impugnata inseriva l’area fra quelle disciplinate dalla norme tecniche di attuazione comunali “fascia pedecollinare”, ovvero “parte del territorio con spiccate caratteristiche ambientali: aree coltivate, boscate e di macchia, da tutelare e riqualificare”, i cui interventi consentiti erano la modifica degli edifici esistenti, secondo previsione delle stesse Norme Tecniche di Attuazione del Regolamento Edilizio Comunale per gli edifici di interesse storico, mentre per quelli recenti consentendo l’ampliamento non maggiore del 20% e per gli immobili in contrasto con il piano della città consentendo la manutenzione ordinaria e straordinaria senza cambio di destinazione d’uso. 

La proprietaria del rudere, ricorreva al T.A.R. a seguito del mancato inserimento dell’edificio nei gruppi sopra citati, sostenendo la mancata iscrizione dell’immobile al patrimonio edilizio esistente. Il Comune, di contro, insisteva sul fatto l’eventuale ricostruzione del rudere fosse impedita non tanto dalla nuova disciplina impressa dalla variante impugnata all’area, quanto dalla mancata classificazione dei ruderi della villa tra gli edifici esistenti, ragione per la quale non veniva incluso nel gruppo degli immobili nei quali poter realizzare gli interventi di trasformazione e conservazione.

Il Tribunale Amministrativo Regionale Toscana, Sez. I, richiamando giurisprudenza, rileva non possa essere considerato esistente un rudere laddove i resti del fabbricato “non permettano la sicura individuazione dei connotati essenziali del manufatto originario”.

Nel caso in oggetto, pertanto, la ricostruzione del manufatto rientra nella nozione di nuova costruzione, posto che i resti della villa si compongono di porzioni di muratura perimetrale insufficienti a rivelare la consistenza originaria dell’edificio. 

Relativamente alla determinazione del comune viene evidenziato questa non contrasti con l’art. 3 lettera d) del D.P.R.380/2001, considerato la norma nel ricondurre all’ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici eventualmente crollati o demoliti, richiede pur sempre accertare la preesistente consistenza dell’immobile, così come, per gli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del D .Lgs. n. 42/2004, prevede che il ripristino di edifici crollati o demoliti sia riconducibile alla ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente. 

Il particolare che va evidenziato dalla lettura della sentenza in oggetto riguarda l’originaria consistenza del fabbricato relativamente alla quale non veniva fornita alcuna dimostrazione, ma ci si limitava al deposito degli atti documentali, da parte della proprietà, facenti parte del piano di recupero, ma non idonei ad assolvere oneri probatori.

Il T.A.R., richiamata la Sentenza n. 1025 del 15/03/2016 del Consiglio di Stato, conclude “la giurisprudenza è stabilmente orientata nel senso che non può considerarsi costruzione esistente un rudere, qualora i resti dell’edificio non permettano la sicura individuazione dei connotati essenziali del manufatto originario. In siffatta evenienza, l’attività di ricostruzione del rudere non rientra nella nozione di ristrutturazione o di recupero, ma in quella di nuova costruzione, richiedendo conseguentemente il permesso di costruire”. 

Attraverso la Sentenza n. 355 del 01/06/2016 del T.A.R. Lazio, Sezione Latina, si comprende meglio la casistica nella quale un vecchio rudere non possa rientrare in un intervento di recupero e risanamento conservativo, laddove non presenti tutti gli elementi costitutivi dell’edificio. 

Secondo il T.A.R. dalla definizione di cui all’art. 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. n. 380/2001 “interventi di restauro e di risanamento conservativo” si evince che il presupposto di un intervento di restauro e risanamento conservativo sia l’esistenza di un manufatto edilizio completo di tutti gli elementi costitutivi, tra i quali la muratura perimetrale e la copertura, allo scopo di poter determinare la sua consistenza, ovvero superficie, cubatura e sagoma. Ne diviene che talora si dovesse ricostruire l‘edificio, se possibile accertare l’originaria consistenza l’intervento potrà essere realizzato ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 380/2001, ristrutturazione edilizia, contrariamente si potrà intervenire con un intervento di nuova costruzione di cui all’art. 3, comma 1, lettera e), D.P.R. n. 380/2001. 

Nei contenuti della Sentenza n. 45147 dell’11/11/2015, Corte di Cassazione, III° Sez. Penale, è meglio precisato il concetto di “consistenza” di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), D.P.R.380/2001, in riferimento ad esso termine è condizione fondamentale il suo accertamento, o meglio quanto demolito o crollato, attraverso una verifica di massima precisione, fondata su dati certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica, cartografie etc., in base a cui sia inequivocabilmente individuabile l’entità del manufatto preesistente. Sentenza ad ulteriore conferma gli interventi di ripristino o di ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, sono subordinati all’acquisizione del Permesso di Costruire se non provata l’antecedente entità e precisamente la volumetria, e, per gli immobili vincolati dal Codice dei beni culturali ed ambientali, D.Lgs. n. 42/2004, con l’obbligo ad comprovare anche la precedente sagoma dell’edificio. 

L’importanza delle aerofotogrammetrie storiche quale prova documentale

Le aerofotogrammetrie storiche costituiscono prova documentale utilizzabile se forniscono con esattezza le informazioni necessarie, ciò quanto ha chiarito il Consiglio di Stato emettendo la Sentenza n. 2363 del 10/04/2019, riguardante l’accoglimento di un ricorso per annullamento di una sentenza di primo grado relativa alla sospensione dei lavori di montaggio di una veranda, il diniego di condono e l’ordine di demolizione. Nel caso specifico la realizzazione di una veranda di mq 20,00 dotata di infissi in alluminio e vetri, con copertura realizzata in pannelli coibentati e tegole. La parte ricorrente sosteneva le opere fossero state realizzate molto tempo prima rispetto al momento nel quale sospese, ovvero essere già oggetto di specifica istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 326/2003, pertanto non solo veniva impugnato l’ordine di demolizione, ma denunciata anche l’illegittimità della determinazione dirigenziale di rigetto dell’istanza di condono.

L’appellante lamentava che la reiezione della domanda di condono sarebbe stata disposta per la mancata realizzazione delle opere abusive entro il 31/03/2003, sul rilievo che dall’esame delle aerofotogrammetrie dei mesi di luglio 2003 e di giugno 2004, le opere edilizie non risultavano ancora eseguite e che l’amministrazione si sarebbe limitata a ricavare tale elemento da una sentenza del Tribunale penale del 2007, in base alla quale il ricorso era stato rigettato, in quanto dalle risultanze aerofotografiche  emergeva “gli abusi per i quali era stata inoltrata istanza di condono … non erano ancora presenti a luglio 2003 … Né parte ricorrente, su un piano squisitamente probatorio, ha comprovato la realizzazione della veranda su cui è stato espresso il diniego sulla relativa domanda di condono edilizio prima della scadenza del predetto termine del 31 marzo 2003”.

Il Consiglio di Stato disponeva Consulenza Tecnica d’Ufficio per verificare se dalle aerofotogrammetrie poteva trarsi il convincimento dell’inesistenza del manufatto alla data di dichiarata realizzazione delle opere.

Il C.T.U. relazionava “è impossibile esprimersi con scientifica certezza sulla esistenza o meno di una veranda di così esigua consistenza (mq20,7) attraverso la semplice osservazione monoscopica di una fotografia aerea: per rendere leggibile un manufatto di tali ridotte dimensioni andrebbero effettuati generosi ingrandimenti che però sgranano l’immagine rendendola dunque di cattiva definizione, di difficile lettura e di scarsa attendibilità”. 

Secondo i giudici se lo stesso C.T.U. riconosce l’impossibilità di stabilire con esattezza la data di ultimazione del manufatto in questione, deve attribuirsi importanza all’autodichiarazione che la ricorrente aveva rilasciato nella domanda di condono, contenente l’attestazione che la veranda sarebbe stata realizzata entro il 31/03/2003. 

Conclusione avvalorata dallo scarto, di appena quattro mesi, tra la data dichiarata dall’interessata, e quella individuata approssimativamente dal C.T.U., con queste motivazioni veniva accolto il ricorso.

Le citazioni normative di cui al D.P.R. n. 380/2001 riportate nel testo

D.P.R. n. 380/2001 - art. 3 “Definizioni degli interventi edilizi” – comma 1

lettera c) “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;

d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell’articolo 142 del medesimo decreto legislativo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria;

lettera e) “interventi di nuova costruzione”, quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti  […]

© Riproduzione riservata