Permesso di costruire annullato: demolizione o sanzione alternativa?

I presupposti per l'applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 38 del Testo Unico Edilizia sono abbastanza stringenti. Lo ricorda il Consiglio di Stato in una nuova sentenza

di Redazione tecnica - 11/01/2024

L’annullamento di un titolo edilizio comporta come conseguenza la conseguente difformità dell’immobile e degli interventi che sono stati eseguiti.

Permesso di costruire annullato: non sempre è possibile fiscalizzare l'abuso

Si tratta di un caso che il Testo Unico Edilizia ha codificato con l'art. 38, che prevede anche la possibilità di irrogazione della sanzione alternativa, c.d. “fiscalizzazione dell’abuso”, al ricorrere di alcune condizioni in assenza delle quali rimane solo un’unica possibilità: il ripristino dello stato dei luoghi.

Nel dettaglio, la norma dispone che “In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.

Sanzione alternativa irrogabile "qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino", dunque. Ed è sulla base di queste previsioni un privato ha presentato appello al Consiglio di Stato, contro l’ordine di demolizione derivante dall’annullamento dell’autorizzazione alla realizzazione di un intervento di demoricostruzione di un immobile. Secondo il ricorrente, oltre alla possibilità ‘tecnica’ di demolire il manufatto, sarebbe stato necessario anche valutare a possibilità di ricostruire il manufatto nella sua esatta, precedente consistenza: fatto da escludere, con la conseguente necessità di applicare la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitiva.

Le condizioni per la fiscalizzazione dell'abuso

Si tratta di una tesi che Palazzo Spada, con la sentenza del 9 gennaio 2024, n. 294, ha smentito: sulla base del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria n. 17/2020, la cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio ai sensi dell’art. 38, d.P.R. n. 380/2001 è assoggettata a precisi vincoli e condizioni al fine di tutelare, per un verso, l’interesse pubblico generale al ripristino della legalità violata in vista del buon governo del territorio e, per un altro verso, l’affidamento del privato controinteressato rispetto al mantenimento del manufatto abusivo.

Più in particolare, “i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.

In questo caso invece l’annullamento giurisdizionale dell’autorizzazione ha riposato su una sostanziale ragione di contrasto tra l’intervento edilizio programmato dal ricorrente e le previsioni recate dal piano territoriale di governo del territorio.

Pertanto, spiegano i giudici d’appello, non ricorrono quelle particolari condizioni (vizio di forma e impossibilità della rimozione) subordinatamente alle quali si ammette la possibilità di derogare all’obbligo generale di eliminare l’illegalità perpetrata, attraverso la sua riduzione in pristino.

Allo stesso modo, una ricostruzione identica dell’immobile non è mai attuabile, e il bene-interesse che la norma di cui all’art. 38 intende salvaguardare è quello della giuridica impossibilità di demolire perché ivi non sarebbe consentita in assoluto la ricostruzione. Pertanto, occorre concludere, ai sensi dell’art. 38, d.P.R. n. 380/2001, è sufficiente la valutazione della “possibilità tecnica” di demolire e ricostruire l’immobile, senza che occorra anche la possibilità di ricostruire l’identità ‘storica’ dell’immobile, peraltro volontariamente demolito proprio dal ricorrente.

Del resto, come specificato nella stessa Plenaria, “La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione)”.

Oltretutto, conclude il Consiglio nel respingere l’appello, la tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, "pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito”.

 

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