Prosecuzione indebita dell’abuso: sempre valida la demolizione

L’istanza di condono non si applica ad eventuali interventi aggiuntivi che l’interessato decide di conseguire illecitamente sull’immobile dopo aver presentato la domanda di sanatoria

di Redazione tecnica - 23/04/2024

Tutte le opere aggiuntive non autorizzate che vengono conseguite su un immobile abusivo già oggetto di istanza di condono, sono sempre assoggettabili a sanzione demolitoria.

Difatti, fino a quando non sopraggiunga l’esito della richiesta, il proprietario non può realizzare altri interventi - a prescindere dall’entità degli stessi e dalla categoria alla quale appartengano - in quanto si configurerebbero solo come una prosecuzione dell’indebita attività edilizia pregressa, per la quale il Comune è obbligato ad emettere il provvedimento di ripristino dei luoghi.

Lavori abusivi post condono: demolibili a prescindere dall’entità

A spiegarlo è il TAR Campania con la sentenza del 27 febbraio 2024, n. 1298, con cui ha rigettato il ricorso per l’annullamento dell’ordine di demolizione emesso in relazione ad opere edilizie conseguite su un immobile già oggetto di istanza di condono ai sensi della Legge n. 326/2003 (c.d. "Terzo Condono Edilizio").

Le opere in questione hanno comportato il completamento e ampliamento del manufatto abusivo, in particolare con aggiunta delle rifiniture; costruzione di una tettoia di circa 50 mq e di un locale deposito di circa 25 mq; installazione di cancelli in ferro; realizzazione di pavimentazione esterna in battuto di cemento e pietra.

I giudici chiariscono innanzitutto che in seguito alla presentazione dell’istanza di condono, l’immobile abusivo non può essere oggetto di ulteriori lavori, con la sola eccezione di quanto previsto dall’art. 35 della Legge n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio), che concede al proprietario - decorsi 120 giorni dal deposito della richiesta e comunque in seguito al pagamento della seconda rata di oblazione - la possibilità di conseguire meri lavori di rifinitura e completamento sotto la propria responsabilità. Anche in quel caso, tuttavia, la normativa impone che l’interessato debba preventivamente notificare al Comune le sue intenzioni - allegando perizia giurata o documentazione che attesti data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi - e, solo dopo 30 giorni da tale notificazione, i lavori possono essere avviati. 

Al di fuori di quanto stabilito dall’art. 35 citato, tutti gli interventi che vengono realizzati su un fabbricato già oggetto di istanza pendente sono considerati abusi al pari di quelli originariamente realizzati, a prescindere dalla loro effettiva entità e dalle categorie di interventi in cui si classificano ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Anche quando si dovesse trattare di lavori minimi o solo pertinenziali, infatti, il proprietario starebbe proseguendo l’indebita attività edilizia già messa in atto, ripetendo le caratteristiche di illiceità dell’opera principale; condizione per la quale l’Amministrazione non solo ha la facoltà, ma ha anche l’obbligo, di disporre la demolizione delle opere.

Demolizione sospesa per condono: non si applica agli abusi aggiuntivi

A nulla sono valse le ulteriori contestazioni del ricorrente, relative alla mancata comunicazione dell’emissione del provvedimento demolitorio e al fatto che l’ordine di demolizione sia stato emesso prima che l’Amministrazione si pronunciasse sull’istanza di condono.

A tal proposito, i giudici ribadiscono che la procedura di ingiunzione alla demolizione di illeciti edilizi non richiede che il soggetto interessato riceva alcuna comunicazione in proposito, né prevede che egli sia coinvolto.

In quanto poi al secondo punto, si conferma che il procedimento di repressione dell’abuso viene sospeso in presenza di un’istanza di condono correttamente depositata, ma tale disposizione riguarda esclusivamente le opere oggetto della richiesta, mentre non si applica in alcun modo ad eventuali interventi aggiuntivi che l’interessato decide di conseguire illecitamente sull’immobile dopo aver presentato la domanda di sanatoria.

Il TAR condivide quindi l’operato del Comune, sottolineando peraltro che le opere in questione sono state realizzate all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici e ambientali ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), in totale assenza di qualsiasi titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica; accentuando ulteriormente l’entità degli illeciti e l’efficacia del provvedimento di ripristino. 

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