Realizzazione soppalco: intervento minore o ristrutturazione edilizia?

Un'interessante sentenza del Consiglio di Stato sulla creazione di un soppalco in un edificio con vincolo storico-artistico

di Redazione tecnica - 10/12/2021

La costruzione di un soppalco può rientrare tra gli interventi di edilizia libera oppure è un intervento di ristrutturazione edilizia? Sul merito risponde il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7817/2021, inerente l'appello contro la revoca di concessione del condono edilizio e contro il conseguente ordine di demolizione e di ripristino stato dei luoghi.

Soppalco abusivo in edificio vincolato: la sentenza del Consiglio di Stato

Il caso riguarda un immobile ristrutturato in assenza di titolo abilitativo e su cui nel 1986 era stata presentata istanza di condono ex legge n. 47/1985. L’istanza era stata accolta con il rilascio di provvedimento di condono; con successivo provvedimento, a seguito di segnalazione della Procura della Repubblica, il Comune aveva annullato in autotutela il provvedimento di sanatoria sul presupposto dell’esistenza di un vincolo sull'edificio, classificato come "villa storica", non dichiarato dalla proprietaria. Inoltre era stato rinvenuto un soppalco con travi di acciaio e cemento di 60 mq su cui è stata emessa un'ordinanza di demolizione.

A questi due provvedimenti è seguito il ricorso della proprietaria, respinto dal TAR perché:

  • il vincolo storico apposto sull'edificio era sostanzialmente ricognitivo e novativo, ai sensi dell'art. 128 del d.lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni Culturali) del vincolo illo tempore imposto con decreto ministeriale 1° novembre 1924;
  • il soppalco necessitava di un titolo edilizio legittimante, tenuto conto che l'opera rientrava nella categoria della ristrutturazione edilizia, in quanto la realizzazione di un soppalco rientra nel concetto di restauro o risanamento conservativo solo quando sia di modeste dimensioni, diversamente da qui, trattandosi di 5 vani per una superficie di 60 mq).

Palazzo Spada ha confermato la sentenza di primo grado. Relativamente al vincolo archiettonico, ha ricordato innanzitutto che un bene architettonico come una villa storica, secondo la legislazione (l. 1089/1939, d.lgs 490/1999, d.lgs 42/2004) va considerato in senso estensivo e articolato: il termine “villa”  non si esaurisce nell’edificio principale, ma identifica un bene che, pur essendo composto da una pluralità di edifici e fondi tra loro nettamente distinti sul piano fattuale, deve essere inteso giuridicamente come unitario in quanto espressivo, nel suo insieme, di un rilevante valore storico e culturale. La ratio di queste disposizioni si identifica nell’esigenza di garantire che all’unitarietà del bene dal punto di vista storico-architettonico corrisponda l’unitarietà della tutela, che sarebbe gravemente pregiudicata in caso di frazionamento o, peggio ancora, di limitazione del vincolo ai singoli edifici o immobili che lo compongono.

Inoltre, non conta un eventuale progressivo deterioramento del contesto in cui sorge l’edificio principale che certamente può depauperare il valore storico-architettonico dell’intero complesso: se lo scadimento qualitativo del contesto architettonico ed edilizio ove è ubicato l’immobile priva di giustificazione la permanenza, ex art. 128 d.lgs 42/2004, del vincolo pro futuro, non è altrettanto idoneo ad eliminare, in chiave retrospettiva e in via di puro fatto, il vincolo già imposto.

Lo stesso Consiglio ha, in più occasioni, osservato che “L'avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso.”

Il vincolo non decade anche se non è notificato

Inoltre l’art. 12, comma 3, L. 15/05/1997, n. 127 dispone che “i beni immobili notificati ai sensi della L. 20 giugno 1909, n. 364, o della L. 11 giugno 1922, n. 778, per i quali non siano state in tutto o in parte rinnovate e trascritte le notifiche ai sensi dell'art. 2 della L. 1° giugno 1939, n. 1089 , sono, su domanda degli aventi diritto, da presentarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, ricompresi a tutti gli effetti tra gli immobili notificati e vincolati ai sensi della L. 1° giugno 1939, n. 1089”: ciò significa che le formalità di rinnovo e trascrizione delle notifiche possono essere sostituite da una semplice domanda degli aventi diritto, volta ad includere i beni tra quelli notificati e vincolati.

L’omessa notifica e il mancato rinnovo, così come pure l’omissione della domanda degli aventi diritto prevista dall’art. 12 l. 127/1997, non producono alcun effetto decadenziale sul vincolo, la cui vigenza, espressione di un interesse pubblico alla particolare tutela, è chiaramente sottratta alla disponibilità del titolare del bene: il provvedimento di imposizione del vincolo, infatti, non ha natura recettizia, poiché la notifica in forma amministrativa ai privati proprietari, possessori o detentori delle cose che presentano interesse culturale “ha natura meramente informativa e non svolge una funzione costitutiva del vincolo stesso, che è perfetto indipendentemente da esso, essendo preordinata esclusivamente a creare nel destinatario di essa la conoscenza degli obblighi su di lui incombenti”.

Per tali ragioni, anche l’eventuale notifica del vincolo al venditore nel momento in cui il medesimo abbia già perso la titolarità del bene a seguito del trasferimento non costituisce causa di invalidità del decreto impositivo. Il mancato rinnovo della notifica non si traduce in una decadenza del vincolo, ma determina semplicemente l’avvio di un nuovo procedimento di dichiarazione di interesse culturale con conseguente nuova comunicazione al proprietario, possessore o detentore, fermo restando, nelle more, gli effetti delle precedenti notifiche.

Soppalco abusivo: è sanabile oppure no?

Il provvedimento di condono non poteva essere rilasciato quindi per due motivi: 

  • mancanza del necessario parere della Sopraintendenza: come espressamente imposto dall’art 32 della legge 28 febbraio 1985,n. 47 primo comma, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” e, quarto comma,“il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria”;
  • realizzazione di opere difformi rispetto a quelle indicate nell’istanza di condono e sfornite del prescritto permesso di costruire (pur trattandosi di interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art 3 comma 1 lett d) DPR 380/2001), oltre che dei requisiti di abitabilità di cui al D.M. 5.07.1975.

In particolare, il soppalco realizzato è diverso per consistenza e per estensione da quanto oggetto di condono e inoltre non osserva il requisito di altezza minima imposto dal D.M. 5.07.1975.

Per costante giurisprudenza amministrativa, infatti, “il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio (ai sensi dell'art. 35, comma 20, della legge n. 47 del 1985), può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale".

Costruzione soppalco è intervento minore o di ristrutturazione edilizia?

Il Consiglio di Stato ha anche ricordato che la realizzazione di un soppalco rientra nella ristrutturazione edilizia laddove sia idoneo a generare un maggiore carico urbanistico, mentre potrà considerarsi un intervento minore nel caso in cui i lavori siano tali da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per il soggiorno delle persone, ossia un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone.

Fuori da quest’ultima ipotesi, il soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile e autonomi spazi, rientrando nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell'unità con conseguente aggravio del carico urbanistico.

L’appello è stato quindi respinto in ogni sua parte, confermando quanto disposto dal Tar: il soppalco realizzato è abusivo perché privo di adeguato titolo edilizio per la sua realizzazione, non è conforme ai requisiti di abitabilità ed è stato costruito senza considerare il vincolo architettonico presente sull'edificio di cui fa parte.

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