Regione Siciliana e Testo unico edilizia: nuova impugnativa del Governo nazionale

Il Governo Nazionale ha impugnato la Legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 2. Ecco le motivazioni

di Gianluca Oreto - 20/05/2022

Non trova pace la Regione Siciliana che ha ormai perso il conto delle impugnative del Governo nazionale alle varie leggi regionali pubblicate soprattutto nell'ultimo biennio, alcune delle quali riguardano una delle materie più importanti: l'edilizia.

Disposizioni in materia edilizia: le impugnative del Governo

E proprio sul settore dell'edilizia la situazione comincia a farsi asfissiante visto che la Regione Siciliana ha deciso di recepire il Testo unico edilizia nazionale (il d.P.R. n. 380/2001) solo nel 2016 e con una norma (la legge regionale n. 16/2016) viziata da diverse problematiche cui ancora oggi non si riesce completamente a rimediare.

Tra le impugnative del 2021 ricordiamo:

  • quella sulla legge regionale n. 23 del 6/8/2021 recante “Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica”, viziata da alcune disposizioni che, eccedendo dalle competenze attribuite alla Regione, violerebbe gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettere m) e l), della Costituzione;
  • quella sulla legge regionale n. 24 del 24/9/2021 recante “Disposizioni per il settore della forestazione. Disposizioni vari”, che in questo caso violerebbe gli artt. 81 e 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Il dietrofront della Regione Siciliana e la nuova impugnativa

E proprio per far fronte all'impugnativa relativa alla Legge regionale n. 23/2021, l'Assemblea Regionale Siciliana (ARS) ha pubblicato la Legge Regionale del 18 marzo 2022, n. 2 recante “Disposizioni in materia edilizia” che avrebbe dovuto rappresentare un passaggio importante, nell’attesa del giudizio della Corte Costituzionale che farà seguito al ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri per la questione di legittimità costituzionale.

A questa nuova legge, però, il Consiglio dei Ministri n. 78 del 17 maggio 2022 ha risposto con una nuova impugnativa in quanto talune disposizioni in materia edilizia, eccedendo dalle competenze statutarie della Regione siciliana, sarebbero in contrasto con la normativa statale violando gli articoli 3, 9, 97 e 117, primo e secondo comma, lettere m) e s), della Costituzione.

Gli articoli impugnati

Secondo il Governo nazionale la nuova Legge regionale n. 2/2022 presenterebbe dei profili di illegittimità costituzionale relativamente:

  • all'art. 1, comma 1, lettere d), e), g) e h);
  • all'art. 1, comma 2, lettere c) ed e);
  • all'art. 2, comma 1, lettere a), b) e c);
  • all'art. 8, comma 1, lettere a), b) e d).

L'impugnativa integrale

Di seguito il testo integrale dell'impugnativa con le motivazioni dettagliate del Governo.

In via preliminare, si osserva che lo Statuto della Regione Sicilia approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, all'art. 14, comma 1, lettera n) e f), contenuto nella Sezione I (che contempla le funzioni dell'assemblea regionale), Titolo Il (che elenca le funzioni degli organi regionali) attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, nonché di urbanistica. Detta competenze, ai sensi del medesimo articolo 14, comma 1, devono esercitarsi “nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato” e devono inoltre rispettare le c.d. “norme di grande riforma economico-sociale” poste dallo Stato nell’esercizio delle proprie competenze legislative (cfr. ad es., le sentt. Corte Costituzionale 385 del 1991 e 153 del 1995), tra queste ultime si rilevano: il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nonché le norme statali in materia di governo del territorio recanti principi di grande riforma. Le materie dell’ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettera l), e dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m), restano, inoltre, integralmente sottratte alla potestà legislativa regionale, la quale deve comunque essere esercitata nel rispetto dei principi posti dagli articoli 3 e 9 della Costituzione.

Posto ciò, si richiamano le indicazioni della Corte Costituzionale che con riguardo alla disciplina del governo del territorio, ha stabilito che “sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali (così la sentenza n. 309 del 2011), sicché la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo Stato (sentenze n. 102 e n. 139 del 2013)” (sentenza n. 259 del 2014). Pertanto, lo spazio di intervento residuale del legislatore regionale è quello di “esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali”, a condizione, però, che tale esemplificazione sia “coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell'edilizia” (Corte Costituzionale sentenza n. 49 del 2016, sentenza n. 68 del 2018). Si aggiunga, altresì, che la funzione della salvaguardia ambientale/paesaggistica costituisce elemento fondamentale e prevalente della gestione del territorio, così come chiaramente rappresentato anche dalla giurisprudenza costituzionale (vds sentenze Corte Cost. n. 189/2016, Corte Cost., n. 182/2006 e n. 183/2006; Corte Cost. n. 478/2002; Corte Cost. n. 345/1997 e Corte Cost. n. 46/1995 e ordinanze Corte Cost. nn. 71/1999, 316/1998, 158/1998, 133/1993.) e da quella amministrativa, (vds. Cons. Stato, Sez. Il, 14 novembre 2019, n. 7839; Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2222).

La legge regionale in argomento modifica numerose disposizioni della l.r. n. 16 del 2016 e della l.r. n. 6 del 2010 già oggetto di modifiche apportate dalla legge regionale n. 23 del 2021, nei cui confronti il Governo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con decisione del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2021.

Ciò premesso, risultano censurabili, in particolare, le seguenti disposizioni della legge regionale in argomento:

1. Articolo 1, comma 1:

- lettera d): la disposizione modifica l’art. 3, co.1, lett. m), della L.R. n. 16 del 2016 come modificato da ultimo con l’articolo 4 della l.r. n. 23 del 2021 recante disposizioni per gli interventi di attività edilizia libera o subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). La previsione regionale amplia l’elenco degli interventi assentibili rispetto alla elencazione contenuta nel d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico dell’Edilizia), sopprimendo il riferimento ai “vasconi in terra battuta per usi irrigui”, ma lasciando incluse nell’ambito dell’attività edilizia libera “le cisterne e le opere connesse interrate”.

- Alla lettera e), si modifica la lettera p) del co. 1, dell’art. 3 della L.R. n. 16 del 2016. In base alla modifica introdotta è esclusa dall’attività edilizia libera la nuova costruzione di muri a secco con altezza massima di 1,50 metri. Nondimeno, permangono assoggettate a tale regime le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco con altezza massima di 1,50 metri.

- Alla lettera g), si modifica la lettera aa) del co. 1, dell’art. 3 della L.R. n. 16 del 2016. Attraverso tale modifica si prevede che l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili al di fuori dei centri storici sia realizzabile senza titolo abilitativo purché non alterino la volumetria complessiva e l'aspetto esteriore degli edifici.

- la lettera h), sostituisce la lettera af) del co 1, dell’art. 3 della L.R. n. 16 del 2016. Mediante la nuova disposizione si inquadra nell’attività edilizia libera la “collocazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra, realizzate con materiali amovibili, di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell'edificio e comunque di volumetria non superiore a 90 mc.”.

Al riguardo, occorre evidenziare che la lett. e.6) del co. 1, dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, annovera tra gli interventi di nuova costruzione: "gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.

Pertanto, ragionando a contrario, sono da annoverare tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, e quindi nel perimetro applicativo dell’art. 10, co. 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzabili con SCIA alternativa al permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di un volume NON superiore al 20% del volume dell'edificio principale.

Nella sentenza 09.09.2020 n. 3730, il TAR Campania-Napoli, Sez. III, ha precisato che: “13….La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a quella civilistica (art. 817 c.c.).

La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce (ex multis, Cons. St., sez. VI, 13 gennaio 2020; id., sez. II, 22 luglio 2019 n. 5130).

Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale.

L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (Cons. St., sez. VI, 10 gennaio 2019, n. 260; id., 1° aprile 2016 n. 1291).

13.1. Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che esse non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 3 febbraio 2020, n. 483).

L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio a cui accede (T.A.R. Lazio, sez. II bis, 7 ottobre 2019, n. 11586).

La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire (così, TAR Campania, Salerno, sez. II, 18 aprile 2019, n. 642, che rimanda, ex multis, a Cons. St., sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 35; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 20 settembre 2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16 marzo 2017, n. 1503; sez. II, 30 maggio 2018, n. 3569; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 30 gennaio 2018 , n. 248)..

13.2 Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED, che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale.

Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.

Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.

Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi, sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di “pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e “modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di grandi dimensioni.

Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di essa possa farsene…”.

Orbene, anche alla luce del sopra menzionato orientamento del giudice amministrativo, si rappresenta che le modifiche apportate non consentono di ritenere superate le censure già formulate in relazione all’articolo 4 delle legge regionale n. 23 del 2021

Ciò dovendosi, altresì, evidenziare, che all’articolo 10 della L.R. n. 16 del 2016, come sostituito dall’art. 10, della L.R. n. 23 del 2021, al comma 5 si consente la realizzazione, mediante segnalazione certificata d'inizio attività e comunicazione a fine lavori con attestazione del professionista, di piscine pertinenziali prefabbricate interrate di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell'edificio appoggiate su battuti cementizi non strutturali.

2. articolo 1, comma 2, in materia di interventi subordinati a CILA ( comunicazione inizio lavori asseverata)

- Alla lettera c), si modifica la lettera i), del comma 2, dell’art. 3, della L.R. n. 16 del 2016. In base alla modifica introdotta è esclusa dalle opere realizzabili con CILA la nuova costruzione di muri a secco con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70. Nondimeno, permangono assoggettate a tale regime le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70.

- Alla lettera e), si sostituisce la lettera p), del comma 2, dell’art. 3, della L.R. n. 16 del 2016.

La disposizione previgente stabiliva quanto segue:

“p) i sistemi per la produzione e l'autoconsumo di energia da fonti rinnovabili a servizio degli edifici, da realizzare all'interno della zona A di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968, e nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, che non comportino pregiudizio alla tutela del contesto storico, ambientale e naturale, in relazione alle linee guida impartite dall'Assessore regionale per i beni culturali e l'identità siciliana.”.

Per effetto della modifica apportata, la richiamata lettera p) stabilisce ora quanto segue:

p) i sistemi per la produzione e l'autoconsumo di energia da fonti rinnovabili a servizio degli edifici, che non alterino la volumetria complessiva degli stessi, da realizzare all'interno della zona A di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico nei casi e nei limiti previsti dai piani paesaggistici provinciali, fatte salve le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni ed ai sensi del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 e successive modificazioni.”.

Ancorché sia stato espunto il riferimento alle “linee guida impartite dall'Assessore regionale per i beni culturali e l'identità siciliana” (che nel ricorso proposto costituisce un ulteriore autonomo motivo di impugnativa), si rileva che la conferma della realizzabilità mediante CILA dei sistemi indicati alla lettera p) del comma, 2, dell’art. 3 della L.R. n. 16 del 2016, come modificata dalla lettera in esame, non consente di ritenere superate le relative censure contenute nel ricorso , dovendosi, altresì, rilevare che la menzionata disposizione appare contrastare anche con le previsioni di cui al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili” che stabilisce un regime autorizzatorio speciale per la realizzazione di siffatti interventi.

Le sopra evidenziate disposizioni ripropongono le medesime eccezioni formulate con l’impugnativa dell’articolo 4 della legge regionale n. 23 del 2021 risultando costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 14 dello Statuto speciale; dell’art. 117, primo comma Cost.; dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. rispetto al quali costituiscono norme interposte gli articoli 21, 135, 140, 141-bis, 143, 145 e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio; 117, secondo comma, lett. m) Cost; degli articoli 3, 9, 97 Cost.; per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale contenute nell’art. 6 e 6-bis e 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, e dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942.

3 L’articolo 2, comma 1 apporta modifiche all’art. 5, co. 1, della L.R. n. 16 del 2016, come modificato dall’articolo 6 della legge regionale n. 23 del 2021 impugnato dal Governo .

- Alla lettera a), si modifica la lettera d), punto 1). Di seguito si riporta il testo della disposizione in parola con in maiuscolo le modifiche apportate dall’articolo in esame.

“1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

[…]

d) le opere di recupero volumetrico ai fini abitativi e per il contenimento del consumo di nuovo territorio, come di seguito definite:

1) le opere di recupero volumetrico ai fini abitativi dei sottotetti, delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati e degli ammezzati aventi altezza minima di m. 2,20 esistenti ALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DELLA PRESENTE LEGGE e regolarmente realizzati comprendendo tra immobili regolarmente realizzati e legittimi tutti quelli in possesso di regolare titolo edilizio abilitativo e di certificazione di agibilità, inclusi quelli regolarizzati attraverso sanatorie edilizie, RILASCIATE AI SENSI DELL'ARTICOLO 36 DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 6 GIUGNO 2001, N. 380 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI segnalazioni certificate di inizio attività in sanatoria, fatta eccezione per le pertinenze relative ai parcheggi di cui all'articolo 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 e all'articolo 31 della legge regionale 26 maggio 1973, n. 21, costituiscono opere di ristrutturazione edilizia”.

Le modifiche apportate non consentono di ritenere superate le relative censure contenute nel ricorso che pertanto si ripropongono.

Difatti, l’operatività della disposizione viene estesa quantomeno agli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della L.R. n. 16 del 2016. In proposito, è appena il caso di sottolineare che sia a mente dell’art. 18 della L.R. n. 4 del 2003 (abrogato dall’art. 23, co. 1, lett. b - septies) della L.R. n. 23 del 2021, come già precisato al paragrafo II, punto 2. del Ricorso), sia in base al previgente art. 5, co. 1, lett. d), punto 1), della L.R. n. 16 del 2016, l’applicabilità delle disposizioni in materia di recupero ai fini abitativi dei sottotetti delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati era limitata agli edifici “regolarmente realizzati” non includendo, tra questi, gli immobili oggetto di sanatorie edilizie, come, invece, ora previsto ai sensi del vigente art. 5, co.1, lett. d), punto 1) della L.R. n. 16 del 2016.

Inoltre, la mancanza dell’inserimento di un termine riferito alla “regolare realizzazione” e l’introduzione dell’inciso “rilasciate ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e successive modificazioni” riferito alle sanatorie edilizie, consentono di ritenere che il legislatore regionale abbia inteso autorizzare, a decorrere dalla data di entrata in vigore della L.R. n. 2 del 2022, la presentazione delle domande per l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria o della SCIA in alternativa al permesso di costruire in sanatoria, anche in relazione ad interventi, in origine abusivamente realizzati, che potrebbero beneficiare di una modifica della disciplina urbanistica ed edilizia in senso più favorevole medio tempore intervenuta, in violazione di quanto previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 in materia di cd. “doppia conformità” (come noto, conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda).

In particolare, le innovazioni e le modifiche via via introdotte (le più recenti con la L.R. n. 23 del 2021 e con la L.R. n. 2 del 2022) potrebbero risultare applicabili anche ad interventi che, eseguiti prima della data di entrata in vigore della L.R. n. 2 del 2022 (e, in ipotesi, anche successivamente), avrebbero dovuto essere realizzati in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia previgente. E ciò con la possibilità di ottenere il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria o di presentare il titolo abilitativo in sanatoria, attraverso una conformità alle nuove disposizioni regionali conseguita ex post.

Sul punto, preme ricordare che nella sentenza n. 232 del 2017, la Corte costituzionale ha dichiarato “costituzionalmente illegittimi - per violazione dell'art. 14, primo comma, lett. f), dello statuto siciliano e dell'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. - l'art. 14, commi 1 e 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono che "[...] il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda" (comma 1) e non anche a quella vigente al momento della realizzazione dell'intervento; e nella parte in cui si pone "un meccanismo di silenzio-assenso che discende dal mero decorso del termine di novanta giorni" (comma 3) dalla presentazione dell'istanza al fine del rilascio del permesso in sanatoria. La normativa regionale impugnata dal Governo consente - in contrasto con il principio fondamentale della c.d. doppia conformità enunciato dall'art. 36, comma 1, del t.u. edilizia - di rilasciare il permesso in sanatoria pur se l'intervento edilizio non era conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'opera, e inoltre introduce l'istituto del silenzio assenso, in luogo del silenzio rigetto previsto dal citato art. 36 in base a una scelta che costituisce norma di principio e che esclude, tra l'altro, l'effetto estintivo delle contravvenzioni contemplate dall'art. 44 del t.u. edilizia. In tal modo, il legislatore siciliano finisce per configurare un surrettizio condono edilizio e comunque travalica la competenza legislativa esclusiva statutariamente attribuita alla Regione in materia di urbanistica, invadendo la competenza esclusiva statale in materia di "ordinamento penale", con riguardo alla sanatoria di abusi edilizi. Né rileva in contrario la presunta coerenza delle disposizioni regionali impugnate con gli approdi di una parte della giurisprudenza amministrativa, peraltro contraddetta da orientamenti espressi anche di recente, giacché un eventuale riconoscimento normativo della c.d. sanatoria giurisprudenziale (o impropria) può provenire solo dal legislatore statale. (Precedente citato: sentenza n. 233 del 2015).

L'accertamento di conformità di cui all'art. 36 del t.u. edilizia costituisce principio fondamentale nella materia "governo del territorio", finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza. Detto istituto fa riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo stesso ovvero con varianti essenziali, e si distingue pertanto dal condono edilizio, che ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell'abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia. (Precedenti citati: sentenze n. 107 del 2017, n. 50 del 2017 e n. 101 del 2013).

Sebbene la disciplina dell'accertamento di conformità attenga al "governo del territorio", spetta comunque al legislatore statale la scelta sull'an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l'articolazione e la specificazione di tali disposizioni. Quanto alle Regioni ad autonomia speciale, ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, esse devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia penale e di quanto è immediatamente riferibile ai principi di grande riforma, come nel caso del titolo abilitativo edilizio in sanatoria. (Precedenti citati: sentenze n. 233 del 2015 e n. 196 del 2004).” (mass. 41706).

Non può sottacersi, quale ulteriore elemento di criticità, la circostanza che, in relazione alle segnalazioni certificate di inizio attività in sanatoria, non è stato neppure previsto un riferimento alla “doppia conformità” di cui all’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Si evidenzia, infine, che nella sentenza n. 24 del 2022, la Corte costituzionale ha precisato che “L'art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011, nel tradurre in legge l'intesa raggiunta tra Stato e Regioni in tema di "Piano casa", configura una norma fondamentale di riforma economico-sociale, come confermano l'ampiezza degli obiettivi perseguiti, l'incidenza su aspetti qualificanti della normativa edilizia e urbanistica e la stessa scelta di coinvolgere anche Regioni ed enti locali nel definire i tratti essenziali dell'intervento riformatore. Tale disposizione affida alle Regioni il compito di approvare leggi per incentivare, tra l'altro, la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, anche mediante la previsione del riconoscimento di una volumetria aggiuntiva come misura premiale. Ciò purché gli interventi non siano riferiti a edifici abusivi, siti nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta, con esclusione dei soli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria: nozione, quest'ultima, da interpretare in senso restrittivo, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa.

Il titolo in sanatoria, che rileva agli effetti della concessione di premialità volumetrica prevista dal "Piano casa", differisce dal condono: mentre quest'ultimo ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell'abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia, il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'immobile sia al momento della presentazione della domanda. (Precedenti: S. 107/2017 - mass. 41204; S. 50/2017 - mass. 39737).” (mass. 44549).

Nella stessa sentenza è stato, poi, ribadito che il principio della doppia conformità di cui all'art. 36 t.u. edilizia, il quale presuppone la conformità dell'intervento realizzato senza titolo sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'abuso, sia a quella in vigore al momento della presentazione della domanda è vincolante anche per le autonomie speciali in quanto norma di grande riforma economico-sociale (cfr. massima 44558).

- Alla lettera b), si modifica la lettera d), punto 4), consentendosi, con riguardo alle pertinenze, ai locali accessori, agli interrati e ai seminterrati e agli ammezzati, di accedere alla disciplina derogatoria prevista dal nuovo art. 5 (cfr. co. 1, lett. d), punto 6) della L.R. n. 16 del 2016, ai fini del recupero abitativo, a condizione gli stessi siano “esistenti alla data di entrata in vigore” della predetta L.R. n. 16 del 2016. Anche in tal caso, valgono le considerazioni critiche già esposte in relazione alla lettera d), punto 1).

Di conseguenza, le modifiche apportate non consentono di ritenere superati i relativi motivi di censura formulati nel ricorso

- Alla lettera c), si modifica la lettera d), punto 5). In particolare, si sopprimono il terzo e il quarto periodo che consentivano gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti, delle pertinenze e dei locali accessori, senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, anche mediante la previsione di apertura di finestre, lucernari e terrazzi esclusivamente per assicurare l'osservanza dei requisiti di aero-illuminazione, anche in aree sottoposte a vincoli . Tale soppressione non è però accompagnata da una espressa esclusione della realizzabilità degli interventi de quibus nelle zone e agli immobili indicati nel periodo soppresso, e pertanto non esclude che la disposizione possa trovare un’indistinta e generalizzata applicazione anche in tali zone e con riferimento a tali immobili.

Di conseguenza le modifiche apportate non consentono di ritenere superati i relativi motivi di censura già formulati in relazione all’articolo 6 della legge regionale n. 23 del 2021, risultando violare l’art. 14 dello Statuto siciliano;gli articoli 3, 9 e 97 Cost.; dell’art. 117, primo comma, Cost., alla luce della legge n. 14 del 2006 di recepimento della Convenzione europea del paesaggio; dell’art. 117, secondo comma, lettera s), di cui costituiscono parametri interposti gli articoli 135, 143 e 145 del Codice e delle norme di grande riforma economico sociale recate dall’art. 41-quinquies della legge e 1150 del 1942 e dall’art. 14 del d.P.R. n. 40 nonché dalla legge 12 del 2008, e dalla relativa Intesa Stato-Regioni.

4. Articolo 8, comma 1:

- alla lettera a), si sostituisce il comma 4 dell’articolo 2, che era già stato sostituito dall’articolo 37, comma 1, lett. a), della L.R. n. 23 del 2021.

La previgente disposizione stabiliva che: “4. Gli interventi riguardano edifici realizzati con titoli abilitativi che ne hanno previsto la costruzione o che ne hanno legittimati la stessa.”.

La nuova disposizione prevede quanto segue:

“4. Gli interventi riguardano edifici legittimamente realizzati; sono esclusi gli immobili che hanno usufruito di condono edilizio.”.

Alla luce di tale sostituzione, si escludono dall’ambito oggettivo di applicazione del “piano casa” gli immobili condonati.

Nel prendere atto della sopra menzionata esclusione, si osserva che, anche in questo caso, come già in relazione al disposto di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge in esame non è stato previsto un termine in relazione al quale valutare “legittima realizzazione degli edifici”. A tal proposito si richiamano le considerazioni espresse in relazione a tale disposizione. Per quanto concerne l’individuazione di un termine per la “legittima realizzazione” all’articolo 2, comma 6, della L.R. n. 6 del 2010, si rinviene del resto, un unico riferimento che riguarda l’ampliamento in sopraelevazione consentito esclusivamente quale recupero ad uso abitativo o uffici, anche con eventuale ampliamento allo stesso livello di volumi accessori e/o pertinenziali già regolarmente realizzati alla data del 31 dicembre 2015 (termine originariamente previsto al 31 dicembre 2009 e così prorogato ai sensi dell’art. 27 della L.R. n. 16 del 2016). Nel silenzio del legislatore regionale la disposizione in esame risulta presentare i medesimi profili di legittimità costituzionale già evidenziati con riferimento all’articolo 37 della legge regionale n. 23 del 2021 , che pertanto si ripropongono, fatta eccezione per le considerazioni in ordine agli immobili condonati, ora specificamente esclusi dalla disposizione in commento.

La disposizione risulta quindi ancora violare l’art. 14 dello Statuto speciale, nonché degli articoli 3, 9 e 97, 117, primo comma – alla luce della legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio – 117, secondo comma lett. S), della Costituzione, di cui costituiscono norme interposte gli articoli 135, 146 e 167 del Codice, e per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’articolo 11, comma 5, del decreto legge n. 112 del 2008, all’Intesa sul piano casa del 2009.

- La lett. b) del medesimo comma 1 dell’articolo 8 dell’articolo della legge regionale n. 2 del 2022 sostituisce il comma 2 dell’art. 6 della legge regionale 23 marzo 2010, n. 6, recante “Norme per il sostegno dell'attività edilizia e la riqualificazione del patrimonio edilizio”, prevedendo che: “Fermo restando il termine per la realizzazione degli interventi di cui agli articoli 2 e 3, come previsto dall’articolo 5 della legge regionale 30 dicembre 2020, n. 36, fissato al 31 dicembre 2023, le istanze relative agli interventi sono presentate entro il 30 giugno 2023 e sono corredate, a pena di inammissibilità, dal titolo abilitativo edilizio ove previsto relativo all’immobile oggetto di intervento, rilasciato o concretizzatosi antecedentemente alla data di presentazione dell’istanza”. Viene, quindi, fissato al 30 giugno 2023 il termine per la presentazione delle domande di interventi rientranti nel c.d. piano casa, le quali possono avere ad oggetto immobili realizzati o per i quali il titolo abilitativo è stato rilasciato o si è formato prima della presentazione della domanda.

L’art. 6 della legge n. 6 del 2010 originariamente prevedeva che:

“1. Gli interventi di cui agli articoli 2 e 3 sono subordinati al rilascio della concessione edilizia prevista dall’articolo 36 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71 ovvero alla denuncia di inizio attività di cui all’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e successive modifiche ed integrazioni.

2. Le istanze relative agli interventi sono presentate entro ventiquattro mesi dal termine fissato al comma 4 e sono corredate, a pena di inammissibilità, dal titolo abilitativo edilizio ove previsto relativo all’immobile oggetto di intervento, rilasciato o concretizzatosi antecedentemente alla data di presentazione dell’istanza.

3. L’istanza è corredata da quietanza di versamento delle spese di istruttoria, il cui ammontare complessivo e la cui articolazione temporale sono stabiliti da ciascun comune con determina sindacale emanata entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione della presente legge.

4. I comuni, con delibera consiliare, entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, possono motivatamente escludere o limitare l’applicabilità delle norme di cui agli articoli 2 e 3 ad immobili o zone del proprio territorio o imporre limitazioni e modalità applicative, sulla base di specifiche ragioni di carattere urbanistico, paesaggistico e ambientale”.

Il termine di ventiquattro mesi di cui al secondo comma dell’articolo 6 era stato poi portato a quarantotto mesi per effetto dell’articolo 11, comma 130, della legge n. 26 del 2012.

Con legge 6 agosto 2021, n. 23, la Regione ha nuovamente modificato il citato secondo comma dell’articolo 6 della legge n. 6 del 2010. In particolare, l’art. 37, lett. c), punto 1, di detta legge n. 23 del 2021 ha soppresso il termine di 48 mesi al quale erano subordinate le istanze di interventi edilizi di ampliamento degli edifici esistenti nonché di interventi per favorire il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente.

Con tale modifica si è prodotto l’effetto di convertire le istanze “tardive”, eventualmente già presentate, in istanze “tempestive”, e sono stati riaperti sine die i termini del piano casa siciliano, consentendo la presentazione di nuove domande senza alcun limite temporale.

Per tale ragione, il Governo, lo scorso 7 ottobre, ha impugnato, tra le altre norme della legge regionale n. 23 del 2021, anche l’articolo 37, lett. c), punto 1, per violazione dell’art. 14 dello Statuto speciale, nonché degli articoli 3, 9 e 97, 117, primo comma – alla luce della legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio – 117, secondo comma lett. s), della Costituzione, di cui costituisce norma interposta l’articolo 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’articolo 11, comma 5, del decreto legge n. 112 del 2008, all’Intesa sul piano casa del 2009.

La Regione interviene ora nuovamente sulla stessa disposizione, introducendo un termine per le istanze, ovvero fino al 30 giugno 2023. Si elimina dunque la disposizione che ne consentiva la presentazione sine die, ma si mantiene comunque la scelta di prolungare la durata del piano casa in modo arbitrario e irragionevole rispetto alla durata originaria. Peraltro con tale formulazione si ricomprendono anche immobili non ancora realizzati, ma soltanto assentiti con il rilascio del titolo edilizio; immobili per i quali non appaiono sussistere esigenze di riqualificazione edilizia o di efficientamento energetico.

Appare, pertanto, del tutto ingiustificata la deroga alla pianificazione urbanistica.

La finalità della normativa sul c.d. “piano casa” era originariamente quella di consentire interventi “straordinari”, per un periodo temporalmente limitato, su edifici abitativi; dato, questo, puntualmente evidenziato dalla Corte costituzionale, la quale non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa fosse una “misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133” (Corte cost. n. 70 del 2020; cfr. anche Corte cost. n. 217 del 2020).

Questa originaria finalità risulta fuorviata per effetto della novella in esame.

Si deve infatti sottolineare che l’Intesa del 2009 sul c.d. piano casa prevedeva espressamente che: “Le Regioni si impegnano ad approvare entro e non oltre 90 giorni proprie leggi ispirate preferibilmente ai seguenti obiettivi:

a) regolamentare interventi — che possono realizzarsi attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni — al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bi familiari o comunque di volumetria non superiore ai 1000 metri cubi, per un incremento complessivo massimo di 200 metri cubi, fatte salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica;

b) disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e secondo criteri di sostenibilità ambientale, ferma restando l’autonomia legislativa regionale in riferimento ad altre tipologie di intervento;

c) introdurre forme semplificate e celeri per l’attuazione degli interventi edilizi di cui alla lettera a) e b) in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale.

Tali interventi edilizi non possono riferirsi ad edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta.

Le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali gli interventi di cui alle lettere a) e b) sono esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.

La disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avrà validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle singole Regioni”.

In sede di Intesa sono stati previsti quindi precisi limiti per gli interventi realizzabili “in deroga”, sia volumetrici, sia temporali, che benché non siano configurabili come indicazioni tassative, assumono comunque valore di regole di riferimento, rispetto alle quali lo ius variandi della Regione è contenuto e deve attenersi alla ratio delle previsioni concordate. Da ciò consegue che necessariamente – poiché una diversa interpretazione porterebbe a vanificare completamente l’efficacia della predetta Intesa – le determinazioni regionali, in senso ampliativo rispetto ai limiti previsti nell’Intesa, sono ammissibili solo se rispondono a canoni di proporzionalità e ragionevolezza. In particolare, l’espressa previsione di un termine, peraltro di soli 18 mesi, non consente di ipotizzare, legittimamente, l’ampliamento progressivo della portata temporale da parte delle Regioni, di una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica.

Va rimarcato, al riguardo, che il Giudice amministrativo ha sempre sottolineato il carattere temporaneo del c.d. “piano casa”, il quale, riflettendo l’esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore dell’edilizia, “è una disciplina che possiede natura eccezionale in merito a specifici interventi. In particolare, la normativa de qua è destinata ad operare per un arco temporalmente limitato” (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304).

Non è quindi consentito alle Regioni – al di fuori della normativa straordinaria e temporanea del c.d. piano casa, avente copertura a livello statale – introdurre deroghe ex lege alla pianificazione urbanistica.

Il risultato della novella apportata dalla Regione Siciliana è quello di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando così il principio fondamentale in materia di governo del territorio secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione.

Se è vero che la Regione ha potestà legislativa esclusiva in materia di “urbanistica”, in base all’articolo 14, comma 1, lett. f), dello Statuto, tuttavia l’Ente è tenuto a esercitare tale potestà “nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali, deliberate dalla Costituente del popolo italiano”.

L’articolo 8, comma 1, lett. b), della legge regionale n. 2 del 2022 si pone in contrasto con la suddetta previsione statutaria, in quanto consente la realizzazione di interventi di ingente impatto sul territorio, sulla base di istanze che possono essere presentate fino al giugno 2023, in deroga agli strumenti di pianificazione urbanistica.

Per questa via, viene infatti violata la norma di grande riforma economico-sociale costituita dal principio – sotteso all’intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 – secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale; principio che trova emersione, in particolare, all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, in base al quale tutto il territorio comunale deve essere pianificato, assicurando l’ordinato assetto del territorio, opportunamente suddiviso in zone (cfr. d.m. n. 1444 del 1968, recante i c.d. standard urbanistici).

La possibilità di presentare istanze di c.d. piano casa, sulla base di una disciplina introdotta in via straordinaria nel 2009, fino al 30 giugno 2023 e, per di più, anche con riferimento a immobili a quella data non ancora realizzati, ma soltanto assentiti mediante il rilascio del titolo edilizio, contrasta anche con il principio fondamentale, costituente norma di grande riforma economico-sociale, di temporaneità del regime del piano casa, secondo quanto previsto dall’Intesa del 2009. Tale principio costituisce in effetti un portato della regola generale, sopra richiamata, secondo la quale l’intero territorio deve essere pianificato e la deroga alla pianificazione presenta necessariamente carattere eccezionale e deve ritenersi consentita in ipotesi tassative.

Le ragioni di censura ora illustrate trovano riscontro nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, proprio con riferimento alla proroga della disciplina del c.d. piano casa da parte di una regione a statuto speciale, ha avuto modo di affermare che “È proprio l’indefinito succedersi delle proroghe, ancorate all’entrata in vigore di una nuova legge regionale sul governo del territorio o a termini di volta in volta differiti, che interferisce con la tutela paesaggistica e determina il vulnus denunciato dal ricorrente.

La previsione impugnata, nel sancire per un tempo apprezzabile un’ulteriore proroga di disposizioni che derogano alla pianificazione urbanistica, consente reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio, che lo stesso legislatore regionale individua come la sede più appropriata per la regolamentazione di interventi di consistente impatto, nel rispetto dei limiti posti dallo statuto di autonomia alla potestà legislativa primaria.

La legge regionale, consentendo interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento, trascura l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così danneggia «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale» (sentenza n. 219 del 2021, punto 4.2. del Considerato in diritto)».” (Corte cost. n. 24 del 2022).

Per le ragioni sin qui esposte, la disposizione censurata è pertanto da ritenere costituzionalmente illegittima per violazione dell’articolo 14, comma 1, lett. f), dello Statuto, in considerazione della violazione delle norme fondamentali di grande riforma economico-sociale costituite dall’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, nonché dall’articolo 11, comma 5, del decreto legge n. 112 del 2008 e dall’Intesa sul piano casa del 2009.

Sotto altro concorrente profilo, può notarsi che anche la potestà legislativa esclusiva di cui la Regione è titolare in materia di “tutela del paesaggio”, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. n), dello Statuto di autonomia, deve esplicarsi pur sempre nel rispetto delle norme fondamentali di grande riforma economico-sociale, le quali si impongono anche alle Autonomie speciali (Corte cost., sentenza n. 238 del 2013) e tra le quali sono comprese le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

In questa prospettiva, deve tenersi presente che anche nella Regione Siciliana il piano paesaggistico assume carattere necessariamente sovraordinato agli altri strumenti di pianificazione territoriale, in applicazione degli artt. 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, aventi carattere di norme di grande riforma economico-sociale.

In particolare, l’art. 145 del Codice stabilisce il principio della necessaria prevalenza del suddetto piano rispetto a ogni altro strumento di pianificazione e la sua inderogabilità da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico.

Non solo, quindi, le previsioni del piano paesaggistico sono cogenti e prevalgono immediatamente sulle disposizioni degli strumenti urbanistici, ma questi ultimi hanno l’obbligo di adeguarsi e conformarsi alle previsioni della pianificazione paesaggistica, declinando concretamente le previsioni di indirizzo e di direttiva contenute nello strumento sovraordinato.

Svolta questa premessa, deve osservarsi che nella legge regionale n. 6 del 2010 la Regione ha recentemente inserito, all’articolo 11, comma 1, ultimo periodo, la previsione secondo la quale “Con riferimento ai beni tutelati ai sensi della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, gli interventi sono ammessi soltanto nei casi e nei limiti previsti dal piano paesaggistico regionale” (disposizione introdotta dall’articolo 109, comma 13, lett. b, della legge regionale 15 aprile 2021, n. 9). Tale previsione, se pure mitiga gli effetti della disciplina del c.d. piano casa, tuttavia non elide del tutto i possibili pregiudizi che la trasformazione del territorio in deroga alla pianificazione urbanistica è in grado di arrecare alle esigenze di tutela del paesaggio.

La pianificazione paesaggistica è composta infatti in buona parte disposizioni di direttiva, destinate a concretizzarsi in prescrizioni puntuali in sede di recepimento nell’ambito della pianificazione urbanistica, ai sensi del richiamato articolo 145 del Codice di settore. Il processo di conformazione/adeguamento dei piani urbanistici al sovraordinato piano paesaggistico è, peraltro, di per sé complesso, tanto che il termine (ordinatorio) per provvedervi è stabilito in due anni (cfr. comma 4 dell’articolo 145).

In questo quadro, la previsione del rilascio di titoli edilizi in deroga alla pianificazione urbanistica – secondo la disciplina del c.d. piano casa – comporta rilevanti criticità, in quanto, nonostante la formale previsione del rispetto del piano paesaggistico, tuttavia le previsioni di indirizzo e di direttiva contenute in quest’ultimo strumento sono poste sostanzialmente nel nulla. E ciò non solo nei comuni che non abbiano ancora adeguato il proprio piano urbanistico al piano paesaggistico, ma anche in quelli che abbiano provveduto a tale adeguamento, in quanto la deroga alla pianificazione urbanistica priva di operatività (anche) quelle previsioni dello strumento urbanistico che costituiscono la puntuale concretizzazione delle direttive contenute nel piano paesaggistico.

In altri termini, la prevalenza della normativa regionale del c.d. piano casa sugli strumenti urbanistici, adeguati al piano paesaggistico, si traduce potenzialmente in una deroga a quest’ultimo strumento, con elusione del principio di cui all’art. 145 sopra richiamato.

Il vulnus, peraltro, si produce a maggior ragione nei comuni che non abbiano neppure adeguato il proprio strumento urbanistico al piano paesaggistico, e nei quali parimenti le previsioni di direttiva di tale strumento sono ulteriormente depotenziate dalla deroga generalizzata al disegno pianificatorio pur sempre contenuto nello strumento urbanistico comunale.

Conseguentemente, la previsione censurata, consentendo il protrarsi dell’applicazione del c.d. piano casa e l’estensione di tale regime derogatorio fino al 30 giugno 2023, perpetua la violazione del principio di primazia del piano paesaggistico e di prevalenza dello stesso sulla pianificazione urbanistica.

Da ciò la violazione dell’articolo 14, comma 1, lett. n), dello Statuto e dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Per le ragioni sopra dette, la novella determina una diminuzione della tutela del paesaggio che risulta manifestamente arbitraria e irragionevole, nonché contraria al principio del buon andamento dell’amministrazione.

Ciò in quanto, ponendo nel nulla le previsioni degli strumenti di pianificazione, la previsione censurata comporta che le trasformazioni sul territorio non siano previste sulla base di una valutazione riferita ai singoli contesti, bensì in base a un disegno generale e astratto operato una volta per tutte dalla legge regionale. Si viola così l’obbligo costituzionale di disciplinare in modo diversificato situazioni tra loro non assimilabili, quali tipicamente sono i contesti territoriali, che per loro natura richiedono valutazioni specifiche e differenziate, anche al fine di assicurare adeguata considerazione alle esigenze di tutela del paesaggio, costituente valore primario e assoluto ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione (Corte cost. n. 367 del 2007).

L’irragionevolezza della previsione normativa censurata si coglie, come già sottolineato, considerando che gli interventi del c.d. piano casa possono essere assentiti in relazione a istanza da presentare fino al 30 giugno 2023, con riguardo a edifici neppure realizzati alla predetta data, ma soltanto assentiti mediante il rilascio del titolo edilizio.

Con ogni evidenza, la deroga alla pianificazione urbanistica, che determina di per sé un vulnus all’ordinato assetto del territorio e alla tutela del paesaggio, non è giustificata da alcuna esigenza meritevole di tutela. Per immobili non ancora costruiti non può porsi, infatti, alcuna esigenza di riqualificazione edilizia o di efficientamento energetico. D’altro canto, la Regione non ha fornito alcun riscontro alle osservazioni svolte sul punto e non ha quindi rappresentato alcuna ragione tale da giustificare la previsione normativa censurata.

La predetta previsione è quindi da ritenere illegittima anche per violazione degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione.

L’articolo 8, comma 1, lett. b), della legge regionale in esame è dunque censurabile per violazione:

dell’articolo 14, comma 1, lett. f), dello Statuto, in considerazione della violazione delle norme fondamentali di grande riforma economico-sociale costituite dall’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, nonché dall’articolo 11, comma 5, del decreto legge n. 112 del 2008 e dall’Intesa sul piano casa del 2009; dell’articolo 14, comma 1, lett. n), dello Statuto e dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio; degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione.

- lo stesso articolo 8, comma 1, alla lettera d), sostituisce la lettera f), del comma 2, dell’articolo 11. Tale norma era già stata modificata dall’articolo 37, comma 1, lettera d), della L.R. n. 23 del 2021.

Prevedendo che “2. Gli interventi previsti dalla presente legge non possono riguardare:

[…]

f) gli immobili oggetto di condono edilizio nonché di ordinanza di demolizione, salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all'articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall'articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37.”.

Al riguardo, nel prendere atto dell’esclusione dal campo di applicazione della normativa regionale degli immobili oggetto di condono edilizio, ancora una volta, si richiamano le considerazioni svolte, in relazione al disposto di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della L.R. in esame, che si intendono qui integralmente ribadite.

Le modifiche apportate consentono di ritenere superati soltanto i motivi di censura formulati nel ricorso con riguardo alla mancata previsione dell’esclusione degli immobili oggetto di condono edilizio. La norma risulta pertanto violare ancora l’art. 14 dello Statuto speciale, nonché degli articoli 3, 9 e 97, 117, primo comma – alla luce della legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio – 117, secondo comma lett. S), della Costituzione, di cui costituiscono norme interposte gli articoli 135, 146 e 167 del Codice, e per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’articolo 11, comma 5, del decreto legge n. 112 del 2008, all’Intesa sul piano casa del 2009;

La legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alle disposizioni sopra evidenziate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione

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