Ricostruzione edifici crollati: ristrutturazione o nuova costruzione?

Come qualificare un intervento operato su un edificio crollato? Il Consiglio di Stato ricorda cosa prevede il Testo Unico Edilizia

di Redazione tecnica - 16/04/2024

La ricostruzione di edifici crollati o demoliti rientra tra gli interventi di ristrutturazione edilizia solo se è possibile attestare, mediante prove concrete e inconfutabili, la preesistente consistenza del fabbricato.

Qualora l’edificio da ricostruire dovesse trovarsi all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici, poi, è richiesto inoltre che siano mantenuti volumetria, sagoma, prospetti, sedime, nonché caratteristiche planivolumetriche e tipologiche del fabbricato preesistente.

In tutti i casi per i quali non sia possibile dimostrare la preesistenza dell’edificio crollato, la ricostruzione si configura sempre come nuova costruzione, non ammissibile in zona vincolata.

Ricostruzione edifici crollati: quando è ristrutturazione?

Lo ribadisce il Consiglio di Stato con la sentenza del 2 aprile 2024, n. 3018, con cui ha rigettato il ricorso proposto contro il diniego del permesso di costruire richiesto per un intervento di ricostruzione di un fabbricato crollato rispettando la sagoma.

Osservano in particolare i giudici di Palazzo Spada che, per poter qualificare un intervento come “ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), risulta sempre imprescindibile la presenza di un immobile già esistente, ovvero di un fabbricato da ristrutturare. In tale ottica, si considerano esistenti i manufatti dotati di muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura, ovvero quegli elementi essenziali che siano idonei a provare la consistenza dell’edificio nella realtà materiale.

Quando la ricostruzione avviene in relazione a soli residui edilizi - che non siano idonei a identificare i connotati essenziali dell’edificio - l’intervento dev’essere ricondotto nella categoria della “nuova costruzione”.

Necessario attestare la preesistente consistenza

Peraltro, è necessario avere una ragionevole certezza circa l’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire al fine di dare attuazione alla norma di riferimento, l’art. 3, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 380/2001, che in base alla modifica applicabile ratione temporis (recata dall’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98) prevede l’inclusione nella nozione di ristrutturazione degli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Rispetto al regime previgente, quindi, il concetto di ristrutturazione è stato allargato al caso di edificio che non esiste più, la cui consistenza originaria si può però ricostruire, evidentemente con un'indagine tecnica, ipotesi precedentemente esclusa.

In ogni caso la prova diversa da quella fotografica - che rimane la più idonea – non può comportare una riduzione della soglia di attendibilità sull’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire; e quindi la prova deve essere in ogni caso rigorosa e condurre ad un risultato plausibile.

La ratio della disposizione è quindi da individuare nel recupero al territorio di edifici, oggi diroccati, che non svolgono alcuna funzione; con ciò determinandosi il recupero del suolo ed il risparmio del medesimo.

Quindi, affinché gli interventi di demo-ricostruzione e di ripristino di edifici crollati o demoliti possano rientrare nella ristrutturazione edilizia, è richiesto che si possa dimostrare in modo esatto la precedente consistenza del manufatto, mediante prove rigorose prodotte con apposita indagine tecnica.

Non è sufficiente quindi, come si pretendeva in questo caso, basare la dimostrazione su una mera ipotesi progettuale inserita all’interno della relazione tecnica. La prova dell’esistenza dell’edificio è in ogni caso l’elemento di base necessario a determinare la natura e la qualificazione dell’intervento di ricostruzione.

Autorizzazione paesaggistica non coincide con la conformità edilizia

Palazzo Spada ha anche ricordato che gli interventi di nuova costruzione non sono ammessi nelle zone sottoposte a tutela paesistica ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), mentre quelli di ristrutturazione sono consentiti solo se nella ricostruzione siano mantenuti volumetria, sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche del fabbricato preesistente.

Nel caso in esame, considerato che non è possibile attestare la consistenza del manufatto preesistente per mancanza di prove concrete, non si può neanche valutare il rispetto dell’identità strutturale del manufatto crollato, condizione fondamentale per la ricostruzione in zone tutelate da vincoli paesaggistici.

Risulta del tutto irrilevante il fatto che la Commissione per la tutela del vincolo abbia accolto l’istanza di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per gli stessi interventi di ricostruzione oggetto della richiesta del Permesso negato dal Comune: l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.

Nello specifico, i due atti di assenso (paesaggistico ed edilizio) operano su piani diversi, in quanto sono posti a tutela di interessi pubblici differenti, seppur parzialmente coincidenti, motivo per cui il parere della Commissione edilizia per il paesaggio, non può comportare alcun effetto in merito al rispetto dei criteri di conformità edilizia.

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