Riforma Testo Unico Edilizia: perché non coinvolgere il Consiglio di Stato?

A breve una legge parlamentare dovrebbe delegare il Governo a riformare il d.P.R. n. 380/2001. Potrebbe essere utile coinvolgere il Consiglio di Stato?

di Gianluca Oreto - 26/09/2023

Tutto è perfettibile, ma è innegabile che nel processo di revisione del quadro normativo che regola i contratti pubblici, il coinvolgimento del Consiglio di Stato sia stata una mossa azzeccata dal Governo Draghi.

La riforma normativa tra modellazione e realtà

In un marasma normativo che interessa norme di estrazione diversa e rango differente, conoscere l'interpretazione dei giudici amministrativi è certamente fondamentale nella ricostruzione di un quadro che possa avvicinare il più possibile la legge stessa ad una realtà che, per quanto ci si sforzi, resta sempre distante ed irraggiungibile.

Facendo un paragone con il noto paradosso di Zenone, la "realtà"-tartaruga, per quanto possa procedere lentamente, resterà sempre lontana dalla più veloce delle "leggi"-achille rappresentata su carta. Ecco che, in una realtà complessa, ricca di infiniti casi particolari, la scelta del Consiglio di Stato nella redazione dello schema di decreto legislativo di riforma del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti), è stata quella di considerare gli orientamenti consolidati della giurisprudenza e aprire il nuovo Codice con la nuova sezione dei "principi" ispiratori dell'attività amministrativa.

L'art. 1, comma 4 del D.Lgs. n. 36/2023 definisce il "principio del risultato" come "criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto". Perché non v'è dubbio che di casi concreti ne possano esistere infiniti e non dovrebbe essere compito di una legge definirli e risolverli puntualmente. Ciò che, invece, ha voluto fare il Consiglio di Stato, è stato definire il punto di arrivo, gli strumenti per raggiungerlo e, quando possibile (soprattutto nel sottosoglia), lasciare liberi gli operatori, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Diversamente dal "vecchio" D.Lgs. n. 50/2016, il nuovo Codice dei contratti non nasce per venire incontro ad un adeguamento della normativa nazionale a quella europea, ma dalla consapevolezza che fosse necessario cambiare paradigma trasformando un Codice controllore (intriso della cultura del sospetto) in un Codice volano che incentivasse gli operatori.

Se l'obiettivo sia stato raggiunto lo scopriremo in corso d'opera, ma è chiaro che quella del Consiglio di Stato non può che essere considerata una "rivoluzione gentile", in cui si è ricostruito un quadro normativo esploso a causa della scelta del 2016 di puntare sulla "soft law", alla luce proprio dei tanti chiarimenti e interpretazioni arrivate negli ultimi 6 anni.

Riforma Testo Unico Edilizia

Perché ho voluto cominciare un approfondimento che parla del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) parlando della riforma del Codice dei contratti pubblici? Proverò a spiegarmi nel seguito.

Si chiede da almeno un triennio di "rinfrescare" il Testo Unico Edilizia, rendendolo conforme a logiche completamente differenti rispetto a quelle che hanno ispirato il legislatore nel lontano 2001.

Solo recentemente sembra ci sia stata una spinta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti verso una riforma che dovrebbe prevedere l'adozione da parte del Parlamento di una legge delega e la successiva redazione di un Decreto Legislativo di riforma che, si presume, prenda spunto da un lavoro realizzato da un tavolo tecnico promosso dal MIT e costituito presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (CSLLPP), a cui hanno partecipato i Ministeri delle Infrastrutture, dei Beni culturali, della Funzione pubblica e dell'Interno, oltre che ANCE, ANCI, Regioni e Rete delle Professioni Tecniche.

Non vi è alcun dubbio che il coinvolgimento della "parte tecnica" sia di assoluta importanza. Solo chi ha esperienza di cantiere e procedure edilizie può conoscere nel dettaglio le criticità più rilevanti e fornire informazioni utili a definire una norma il più possibile "vicina alla realtà".

Ma, come scritto in premessa, la realtà è sempre difficilmente modellabile e il rischio di una norma altamente prescrittiva è quello di confinare l'apporto dei professionisti che si trasformerebbero in meri "prestatori di firma" di progetti, sui quali la legge definirebbe puntualmente ogni dettaglio.

Decenni di sentenze dei TAR, del Consiglio di Stato e della Cassazione, dovrebbero aver confermato che più sono dettagliate le norme, maggiore è il rischio che possano essere impugnate trasformando una banalità in una causa ventennale (ogni riferimento a tettoie, pergotende, gazebo, etc...è voluto e non casuale). Esistono, poi, altre scelte di natura "politica" che dovrebbero riguardare alcuni aspetti della norma relativamente alla possibilità di sanare ex post eventuali difformità edilizie (nelle ultime settimane si è tornati a parlare di condono come pratica "straordinaria" per provare a ridare legittimità al patrimonio edilizio esistente).

L'apporto del Consiglio di Stato

Benché siano in molti a privilegiare l'apporto dei professionisti nella redazione di una norma tecnica (e lo penso anche io!), andando controcorrente ma senza sminuire la loro importanza, ciò che sembra mancare nella redazione del lavoro predisposto dal tavolo tecnico del CSLLPP è proprio il coordinamento del Consiglio di Stato.

Un'attività di coordinamento che, proprio come fatto con la riforma del Codice dei contratti, metterebbe in campo anni di giurisprudenza sulla materia edilizia, per provare a definire una norma non esente da criticità (quale potrebbe esserlo!) ma il più possibile vicina alle esigenze di un patrimonio edilizio malato su cui il legislatore negli ultimi anni ha solo chiuso gli occhi e fatto finta di niente (salvo poi prevedere deroghe e procedure straordinarie come nel caso del superbonus 110%).

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