Sanatoria edilizia: chi può impugnarla?

Il permesso di costruire in sanatoria può essere impugnato sulla base della vicinitas? Dal Consiglio di Stato la differenza tra legittimazione e interesse al ricorso

di Redazione tecnica - 27/04/2023

Qualsiasi autorizzazione edilizia (anche in sanatoria) non deve mai comportare la limitazione dei diritti dei terzi. Il compito della pubblica amministrazione (nel caso di rilascio di permesso di costruire) o del tecnico abilitato (per le segnalazioni certificate di inizio attività) è verificare la conformità edilizia e urbanistica delle opere e proprio per questo, all'interno della modulistica edilizia è sempre previsto che il titolare dichiari e il tecnico asseveri di non arrecare limitazione dei diritti dei terzi.

Chi può impugnare il titolo edilizio

Non tutti possono, però, impugnare un permesso di costruire. Lo aveva già chiarito l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 9 dicembre 2021, n. 22 che ha formato un orientamento ormai pacifico seguito dalla giustizia amministrativa.

Il concetto è stato ribadito nella recentissima Sentenza del Consiglio di Stato 26 aprile 2023, n. 4173 che, nel caso di contenziosi tra vicini, ci consente di comprendere la differenza tra la legittimazione e l’interesse a ricorrere, e il criterio della vicinitas che da solo non soddisfa l’interesse al ricorso.

In via preliminare ricordiamo i principi di diritto enunciati dall'Adunanza Plenaria con la citata sentenza n. 22/2021 per la quale:

  1. nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
  2. l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso;
  3. l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
  4. nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.

La sentenza del Consiglio di Stato

Nell'ultima sentenza n. 4173/2023 il Consiglio di Stato, ribadendo i richiamati concetti, ha chiarito che se i ricorrenti hanno attestato in primo grado la sussistenza del requisito della vicinitas, avendo affermato di essere proprietari di immobili confinanti con i terreni di cui si è in causa per il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, non hanno parimenti provato la sussistenza dell’interesse al ricorso.

Nel caso di specie, in primo grado il TAR aveva così statuito:

Rispetto alla carenza di interesse, è sufficiente richiamare l’orientamento consolidato in tema di vicinitas. Anche senza aderire alla tesi estrema che si è spinta a postulare identità dei concetti di vicinitas e legitimatio ad causam, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il rapporto di vicinitas, ossia di stabile collegamento con l'area interessata dall'intervento edilizio contestato, è idoneo e sufficiente a fondare la legittimazione a ricorrere in presenza di una lesione concreta e attuale provocata dal provvedimento amministrativo impugnato. Nell’ipotesi di un rilascio del permesso in sanatoria, che pone fine all'abusività dell'opera, rendendo legittima l'edificazione e perciò legittima la permanenza del manufatto sul territorio, sussiste l'interesse del vicino a impugnare detto titolo, in quanto il suo venir meno comporterà il riconoscimento dell'abusività dell'opera con la possibile applicazione delle misure demolitorie; tale legittimazione sussiste per il fatto stesso che il terzo si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse”.

La vicinitas non è sufficiente

Secondo i giudici del Consiglio di Stato, il TAR avrebbe però errato perché la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22 del 2021 condurrebbe a diverse soluzioni. Si applica in definitiva il principio per cui il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, non vale da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato.

Oltretutto, i ricorrenti di primo grado non si sono costituiti nel giudizio di appello, sicché il loro eventuale interesse non può essere nemmeno aliunde percepito. Per questo motivo il ricorso contro la sentenza di primo grado è stato accolto e il permesso di costruire in sanatoria confermato.

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