Sanzione pecuniaria paesaggistica: la questione del vincolo sopravvenuto

L'applicazione delle sanzioni paesaggistiche nella particolare ipotesi in cui l’abuso sia stato commesso in epoca precedente all’apposizione del vincolo paesaggistico

La realizzazione di un intervento edilizio in area gravata da vincolo paesaggistico richiede, in via preventiva, il rilascio del parere da parte dell’ente di tutela, in ossequio alle disposizioni del D. Lgs. 42/2004. Al contrario, in caso di intervento già realizzato, l’istanza presentata dal richiedente avrà ad oggetto la cosiddetta richiesta di “compatibilità”, i.e. sanatoria paesaggistica, volta ad accertare i requisiti per il mantenimento delle opere già realizzate.

Tra le questioni di maggior respiro, connesse all’accoglimento della compatibilità, vi rientra certamente quella legata all’applicazione delle sanzioni paesaggistiche nella particolare ipotesi in cui l’abuso sia stato commesso in epoca precedente all’apposizione del vincolo paesaggistico, nonché quella relativa all’emissione della sanzione nei confronti dell’erede non colpevole dell’abuso.

La prima questione innanzi indicata (abuso realizzato in epoca precedente all’apposizione del vincolo) è stata oggetto di chiarimenti da parte della giurisprudenza costituzionale con la sentenza n. 75 del 2022 e con la recente ordinanza n. 13 del 2023 la quale, essenzialmente, ha condiviso le conclusioni a cui è giunta la Corte Costituzionale con la prima pronuncia.

L’ordinanza n. 13/2023

Il C.G.A.R.S. ha sollevato con dieci sentenze non definitive, emesse tra 16 febbraio e 18 marzo 2022, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, secondo periodo, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell’abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti) nella parte in cui viene affermato che: “il nulla-osta dell’autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all’ultimazione dell’opera abusiva. Tuttavia, nel caso di vincolo apposto successivamente, è esclusa l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell’autore dell’abuso edilizio”.

Il giudizio di legittimità costituzionale in questione trae origine da alcuni ricorsi presentatati avverso i decreti di pagamento emessi dal Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana con i quali è stato ingiunto – ai sensi dell’art. 167 del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – di pagare determinate somme di denaro a titolo di «indennità risarcitoria» per il danno causato al paesaggio con la realizzazione, negli anni ’70, di fabbricati nel Comune di Agrigento.

Nella vicenda in commento le questioni di più ampio respiro riguardano:

  1. la legittimità e la validità della sanzione paesaggistica irrogata in ordine alla sopravvenienza del vincolo paesaggistico (introdotto nel 1985), rispetto alla commissione dell’abuso (1970), in virtù del principio di irretroattività di cui all’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e al citato art. 5, comma 3, della legge reg. Sicilia n. 17 del 1994;
  2. la (non) assimilabilità del vincolo paesaggistico con quello archeologico, ai fini dell’applicabilità dell’art. 167 cod. beni culturali e della relativa sanzione pecuniaria.

Secondo il C.G.A.R.S. la norma impugnata violerebbe l’art. 14, comma 1, lettera N) del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (che attribuisce alla Regione Siciliana competenza legislativa primaria nella materia «tutela del paesaggio»), per contrasto con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nel citato art. 167, comma 5, con conseguente violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

A sostegno di tale interpretazione, il C.G.A.R.S. ha evidenziato che “l’indennità connessa all’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica sarebbe dovuta in ambito nazionale «anche se il vincolo paesaggistico è sopravvenuto rispetto alla realizzazione dell’abuso (e ciò indipendentemente dalla qualificazione della medesima come sanzionatoria o risarcitoria)»”, ed ancora, “in ragione, da un lato, della sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 22 luglio 1999, n. 20, e, dall’altro lato, dell’art. 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica)”.

A giudizio della Corte Costituzionale, le questioni espresse dal giudice rimettente, “sono già state decise con la sentenza n. 75 del 2022” ma, a prescindere da ciò, l’infondatezza delle questioni deriverebbe dal fatto che “il CGARS ha dato per scontato che anche il caso del rilascio del nulla-osta paesaggistico, in un procedimento di condono relativo a un abuso edilizio commesso prima dell’apposizione del vincolo, ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 167, comma 5, terzo periodo, cod. beni culturali» (secondo cui, «qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione»), ma ha fondato tale assunto su due elementi (l’art. 2, comma 46, della legge n. 662 del 1996 e la sentenza del Consiglio di Stato n. 20 del 1999) in realtà inidonei a suffragarlo”.

Inoltre, la sentenze richiamate dal C.g.a.r.s, sempre secondo la Corte, “non affermavano la necessità, in base alla legge statale, del pagamento dell’indennità anche in caso di vincolo sopravvenuto e diversi elementi testuali conducevano a ritenere invece applicabile l’art. 167 cod. beni culturali solo al caso di intervento edilizio eseguito in violazione dell’obbligo di chiedere l’autorizzazione paesaggistica, cioè su un’area già vincolata al momento di realizzazione dell’abuso edilizio, ragione per cui questa Corte ha ritenuto che gli atti di promovimento non offrissero «sufficienti elementi a sostegno della pertinenza del parametro interposto invocato»”.

Conclusioni

In conclusione, la Corte Costituzionale, con l’ordinanza 13/2023, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, secondo periodo, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 affermando, inoltre, che alcune delle questioni sollevate erano perfettamente sovrapponibili a quelle già decise con la sentenza n. 75 del 2022.

In definitiva, la Corte Costituzionale non ha dato risposta ai dubbi sollevati dal C.g.a.r.s. ma ha offerto alcuni elementi importanti per l'interpretazione dell'art. 167 del T.U. Beni Culturali. E ciò in quanto ha evidenziato la “possibilità” di predicarne l'applicazione solo nel caso in cui il vincolo paesaggistico fosse già stato apposto prima dei lavori abusivi. Dal che facendo ipotizzare (per converso) che nel caso opposto (e cioè laddove i lavori abusivi vengono realizzati prima della apposizione del vincolo) l'art. 167 non sia applicabile. Con la rilevante conseguenza che (seguendo tale lettura del testo normativo) nel caso or ora indicato non sarà necessario conseguire un parere di compatibilità paesaggistica (sottoposto a limiti così stringenti da preludere sempre al suo rigetto) ma ci si potrà avvalere della normale autorizzazione paesaggistica da rilasciare ovviamente  “ora per allora”.

E' ancora presto per capire se tale lettura della norma sarà accolta dalla Giurisprudenza amministrativa, ma si tratta di una questione da monitorare con attenzione.

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