Tolleranze costruttive: come vanno calcolate?

La valutazione delle tolleranze costruttive va condotta sempre in riferimento ai singoli immobili e mai in relazione all’intero edificio

di Redazione tecnica - 18/04/2024

Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro - se contenuto entro il limite del 2% delle misure stabilite nel titolo edilizio - non viene considerato un abuso edilizio, in quanto rientrante nel principio delle tolleranze costruttive.

La normativa prevede però che la valutazione delle tolleranze costruttive debba essere condotta sempre con riferimento individuale ai singoli immobili, e mai considerando i limiti in relazione all’intero edificio. In quel caso, infatti, le difformità non potrebbero non essere qualificate come abusi edilizi suscettibili di demolizione.

Tolleranze costruttive: il Consiglio di Stato sul calcolo

Lo spiega il Consiglio di Stato con la sentenza del 28 marzo 2024 n. 2952, respingendo il ricorso presentato contro l’ordinanza di demolizione impartita su diversi immobili abusivi facenti capo allo stesso soggetto.

Non è risultata condivisibile, appunto, la tesi secondo cui gli illeciti rientrerebbero tra le tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), che dispone non sia da considerare come abuso edilizio lo sforamento dei parametri costruttivi entro il 2% delle misure prestabilite.

Il ricorrente sosteneva infatti che la valutazione delle tolleranze dovesse essere applicata in considerazione dell’intero edificio, e non delle singole opere (realizzate mediante regolare Permesso di Costruire) che sono consistite in particolare in:

  • 4 fabbricati realizzati in difformità per superamento dei limiti volumetrici e variazione dei prospetti;
  • 1 fabbricato realizzato in difformità per superamento dei limiti di superficie e modifica della destinazione d’uso, da deposito a residenza;
  • 1 manufatto interrato in cemento, autorizzato con dimensioni pari a 6,10 x 9,10 metri, e realizzato invece di 9,10 x 13,78 metri;
  • 1 rampa di scale in cemento per accedere al suddetto manufatto, con larghezza autorizzata pari a 1,30 metri e realizzata invece pari a 2,10 metri;
  • 1 piscina con all’interno un setto in cemento realizzato in difformità planimetrica.

Dato che le difformità devono essere sempre calcolate in riferimento alle singole unità che compongono l’edificio - come dispone espressamente lo stesso art. 34-bis citato - e non in relazione a quest’ultimo inteso complessivamente, le irregolarità riscontrate non possono rientrare tra le tolleranze costruttive, ma sono a tutti gli effetti degli abusi edilizi suscettibili di sanzione demolitoria.

L’ingiunzione alla demolizione riguardava infine ulteriori opere realizzate in totale assenza del permesso, quali:

  • 1 fabbricato con superficie di 83,50 mq, costituito da 3 corpi di fabbrica in cemento e muratura, con annessa 1 veranda di 15,20 mq in legno con copertura in tegole;
  • altre 6 verande a servizio dei fabbricati realizzati in difformità, sempre in legno e con copertura in tegole;
  • 1 area cementata delimitata da muro in calcestruzzo con dimensioni pari a 5,70 x 2,00 metri.

Ordinanza demolizione: buona fede e istanza di sanatoria non bastano

Vista la natura degli abusi commessi, viene condiviso appieno l’operato del Comune e l’efficacia del provvedimento di demolizione.

A nulla può valere, si spiega, la richiesta di accertamento di conformità (art. 36 del TUE) presentata dal ricorrente in seguito all’emissione dell’ordinanza di demolizione, in quanto la presentazione dell’istanza non incide sulla validità dell’ordinanza di demolizione e, senza dubbio, non ne determina l’annullamento. Al massimo, può comportare la sospensione dell’esecutività del provvedimento fino alla definizione della domanda di sanatoria.

Allo stesso modo, risulta del tutto irrilevante la “buona fede” alla quale si appella il ricorrente in virtù del suo comportamento successivo alla disposizione dell’ordinanza, avendo inoltre provveduto a demolire alcune opere, depositato un progetto di demolizione e preannunciato un altro progetto di demolizione, nonché presentato un’ulteriore istanza di sanatoria.

I giudici di Palazzo Spada chiariscono a questo proposito che il contegno collaborativo e improntato alla buona fede dimostrato in seguito all’ingiunzione dell’ordine di demolizione è un elemento che non può essere preso in considerazione al fine di verificare la legittimità dello stesso provvedimento, che non è mirato a “punire” il proprietario dell’abuso ma solo a salvaguardare e tutelare lo stato dei luoghi.

Al più, si spiega, la buona condotta del cittadino può essere meritevole di apprezzamento al solo fine di verificare l’ottemperanza al provvedimento imposto.

© Riproduzione riservata

Documenti Allegati