Rilancio occupazione: Contratto di lavoro a tempo determinato

La legge di conversione n. 78/2014 del D.L. n. 34/2014 ha chiarito i dubbi circa l’attuazione della riforma del contratto di lavoro a termine. La riforma no...

29/05/2014
La legge di conversione n. 78/2014 del D.L. n. 34/2014 ha chiarito i dubbi circa l’attuazione della riforma del contratto di lavoro a termine.
La riforma non cambia la disciplina della durata del rapporto di lavoro a termine. La regola generale è che tra due parti, datore di lavoro e lavoratore, la somma complessiva dei rapporti a termine instaurati per le stesse mansioni non può eccedere la durata massima di 36 mesi, considerando eventuali proroghe e rinnovi.

Nella nuova disciplina, la proroga non è più condizionata dalla sussistenza di ragioni specifiche e, inoltre è stato decretato che il numero massimo di proroghe ammesse è 5, fermo restando l’obbligo di rispettare il tetto massimo di durata pari a 36 mesi. La legge precisa, inoltre che il tetto delle proroghe si applica indipendente dal numero di rinnovi. Una volta che il rapporto cessa, nel rispetto del cosiddetto “stop and go” (intervallo di 10 o 20 giorni a seconda se il contratto è inferiore o superiore ai 6 mesi), le parti possono ricorrere alla stipula di un nuovo contratto e anche questo è prorogabile.
Rimane invariata la disciplina della cosiddetta proroga di fatto. Il contratto, alla sua scadenza, può continuare ad esistere, di fatto, per un periodo massimo di 30 giorni (50 per i rapporti di durata superiori ai 6 mesi), senza che ciò lo renda illecito. Si applica solo una maggiorazione retributiva in favore del lavoratore. Così come, in caso di superamento dei 36 mesi, la sanzione prevista è sempre la conversione in contratto a tempo indeterminato del rapporto.

Vengono confermate l’eliminazione della causale, e l’introduzione di un limite quantitativo secondo cui il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non può eccedere la soglia del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato presenti al 1° di gennaio dell’anno di riferimento, salva diversa disposizione dei contratti collettivi (criterio più restrittivo rispetto al “20% dell’organico complessivo” previsto nel testo originario del decreto-legge).
Il superamento del limite comporta una sanzione amministrativa pari al 20% e al 50% della retribuzione per ciascun mese di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti in violazione del limite sia, rispettivamente, inferiore o superiore a uno (il testo originario del decreto-legge non prevedeva alcuna conseguenza per il superamento del tetto, mentre nel testo approvato dalla Camera era prevista la trasformazione in contratti a tempo indeterminato). Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è comunque sempre possibile stipulare un contratto a tempo determinato.

La legge di conversione, ha introdotto, inoltre, le disposizioni transitorie per la gestione dei contratti di lavoro a termine in essere. L’art. 2-bis chiarisce che, in generale, le nuove norme trovano applicazione solo per i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 34/2014. Dunque i contratti stipulati anteriormente l’entrata in vigore del D.L., in osservanza del principio “tempus regit actum”, continueranno ad avere vita propria fino alla scadenza naturale.
Tuttavia, in merito al limite quantitativo, che risulta essere il vero vincolo per l’applicazione del contratto a tempo determinato, l’articolo 2-bis prevede che per i datori di lavoro che alla data di entrata in vigore del decreto-legge occupino lavoratori a termine oltre tale soglia, l’obbligo di adeguamento al tetto legale del 20% deve avvenire entro il 31 dicembre 2014, sempre che la contrattazione collettiva (anche aziendale) non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli. Chi non si adeguerà entro tale data, dal 2015, non potrà stipulare nuovi contratti di lavoro a termine fino al rientro nel "tetto".
Sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinati conclusi:
  • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
  • per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità ivi comprese le attività in allegato al D.P.R n.1525/1963;
  • per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
  • con lavoratori di età superiore ai 55 anni.

Il limite del 20% non trova applicazione nel settore della ricerca, limitatamente ai contratti a tempo determinato che abbiano ad oggetto esclusivo lo svolgimento di attività di ricerca scientifica, i quali possono avere durata pari al progetto di ricerca al quale si riferiscono.

Varie disposizioni sono volte ad ampliare e rafforzare il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità per le assunzioni da parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine. A tale riguardo si prevede che ai fini dell’integrazione del limite minimo di 6 mesi di durata del rapporto a termine (durata minima che la normativa vigente richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza) devono computarsi anche i periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità.
Si prevede, altresì, che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni con contratti a tempo indeterminato (come già previsto dalla normativa vigente), ma anche per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro.
Inoltre, la legge di conversione prescrive che il datore di lavoro sia tenuto ad informare il lavoratore del diritto di precedenza mediante comunicazione scritta da consegnare al momento dell’assunzione.


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