Un giro panoramico tra le nuove 'riserve' negli appalti pubblici

Attraverso lo strumento delle riserve è possibile verificare con regolarità l’andamento dei costi dell’opera pubblica, a garanzia di entrambe le parti contra...

di Rosamaria Berloco - 01/05/2019

Attraverso lo strumento delle riserve è possibile verificare con regolarità l’andamento dei costi dell’opera pubblica, a garanzia di entrambe le parti contraenti.

Per intenderci, in caso di cambiamenti che incidono sulle modalità e sui termini del contratto, l’esecutore potrà iscrivere riserva contestando l’accaduto e chiedendo il maggior danno subito e/o subendo. Tra i motivi di contestazione, si potrebbe annoverare ad esempio la ritardata o frazionata consegna dei lavori come anche la difformità dello stato di fatto rispetto alle previsioni di progetto.

In materia, il testo di riferimento è dato oggi dal d.M. n. 49 adottato in data 7 marzo 2018 e in vigore dal 30 maggio 2018, dal titolo: “Approvazione delle linee guida sulla modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione”.

All’abrogazione parziale del Regolamento unico di cui al d.P.R. n. 207/2010, ha fatto seguito, dunque, l’introduzione dell’art. 9 del d.M. n. 49/2018 che segna una svolta significativa in tema di riserve, in quanto rimette alla disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato negoziale la gestione delle riserve tra appaltatore e committente.

L’attuale libertà regolatoria delle riserve

In buona sostanza, nell’ottica di semplificare la materia, il legislatore del 2016 ha conferito alla disciplina contrattuale la regolazione delle riserve, e questo a fronte dell’articolo 111 del Codice che non sembrava affatto attribuire alle linee guida tale ampiezza “discrezionale”.

Secondo la menzionata disposizione codicistica, le linee guida, infatti, avrebbero dovuto individuare “le modalità e, se del caso, la tipologia di atti, attraverso i quali il direttore dei lavori effettua l'attività di cui all'articolo 101, comma 3, in maniera da garantirne trasparenza, semplificazione, efficientamento informatico”.

Questa innovazione, che di fatto modifica la fonte della disciplina in tema di riserve sottraendola alla normativa di rango primario per affidarla alla disciplina negoziale, sembrerebbe essere stata ampiamente criticata dal Consiglio di Stato che, nel parere 12 febbraio 2018, n. 360, ha precisato quanto segue: “Si ribadisce anche con riguardo a questa disposizione quanto osservato a proposito dell’art. 7, circa l’opportunità di prevedere che siano le stazioni appaltanti ad inserire nei capitolati speciali le norme contenute nel presente schema di regolamento, piuttosto che dettare direttamente la disciplina” .

È ragionevole desumere che il Consiglio di Stato abbia voluto, quindi, segnalare l’opportunità che le conseguenze risarcitorie o indennitarie spettanti all’esecutore in caso di ritardata consegna imputabile alla stazione appaltante (e quindi anche la disciplina delle riserve) trovino la propria fonte nelle norme di legge, ancorché regolamentari, e non già negli atti negoziali; ragione per cui è ipotizzabile interpretare il suggerimento nel senso di prevedere l’obbligo – e non la mera facoltà - per le stazioni appaltanti di riprodurre lo schema del d.M. nei capitolati d’appalto.

Tale puntualizzazione operata dal Supremo Consesso della Giustizia amministrativa non farebbe altro che confermare dubbi e perplessità sulla scelta di lasciare alla stazione appaltante la facoltà (giacché non di obbligo pare trattarsi) di inserire la disciplina delle riserve nel capitolato speciale d’appalto.

Ad avviso di chi scrive, se il legislatore avesse voluto obbligare le stazioni appaltanti a disciplinare l’istituto delle riserve nei capitolati avrebbe utilizzato la dicitura “deve”. In tale ordine di idee, sarebbe stata opportuna, al più una diversa formulazione dell’articolo 9, d.M. n. 49/2018, come ad esempio: “Il direttore dei lavori, per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina che la stazione appaltante obbligatoriamente deve prevedere e riportare  nel capitolato d’appalto”.

Le riserve 2.0 nei capitolati pubblicati nella vigenza del d.M. n. 49/2018

Questa prospettazione apre a scenari futuri incerti con il rischio eventuale ma plausibile di trovarsi dinanzi a “riserve fai da te” giacché, in assenza di uno schema da seguire, le previsioni e la disciplina potrebbero variare di capitolato in capitolato.

Invero, la circostanza che ogni singola stazione appaltante possa prevedere una propria disciplina specifica sulle modalità delle contestazioni appare foriera di possibile aumento di contenzioso poiché rimette la regolamentazione di un istituto a carattere generale, che incide direttamente sull'equilibrio contrattuale, alla discrezionalità di una delle parti, e non alla legge con disposizioni a carattere generale .

E il rischio non è neanche così eventuale se si considera che, dall’analisi di alcuni capitolati speciali relativi a procedure di gara indette nella vigenza del d.M. n. 49/2018, emergono già le prime criticità nel senso evidenziato. Invero, dal raffronto del capitolato speciale di una delle menzionate procedure con le previsioni di cui al d.M. n. 49/2018, sembra emergere chiaramente il pericolo di una alterazione del sinallagma contrattuale (il riferimento è al il capitolato speciale della procedura per i lavori di completamento per la rifunzionalizzazione di Palazzo Camponeschi in l’Aquila: sistemazione del cortile esterno e restauro dei locali annessi).

In particolare, in tema di consegna di lavori, l’articolo 5, comma 9, del testo del d.M. prevede, che: “(…) nel caso di consegna parziale conseguente alla temporanea indisponibilità delle aree e degli immobili, l'esecutore è tenuto a presentare, pena di decadenza dalla possibilità di iscrivere riserve per ritardi, un programma di esecuzione dei lavori che preveda la realizzazione prioritaria delle lavorazioni sulle aree e sugli immobili disponibili. Realizzati i lavori previsti dal programma, qualora permangano le cause di indisponibilità si applica la disciplina relativa alla sospensione dei lavori”.

Il capitolato speciale preso in esame riprende tale disposizione recidendo, tuttavia, qualsiasi riferimento alla possibilità di iscrivere riserve. Nella sezione dedicata a “programma esecutivo dei lavori - sospensioni - piano di qualità di costruzione e di installazione”, è dato leggere: “Nel caso in cui i lavori in appalto fossero molto estesi, ovvero mancasse l'intera disponibilità dell'area sulla quale dovrà svilupparsi il cantiere o comunque per qualsiasi altra causa ed impedimento, la Stazione Appaltante potrà disporre la consegna anche in più tempi successivi, con verbali parziali, senza che per questo l'appaltatore possa sollevare eccezioni o trarre motivi per richiedere maggiori compensi o indennizzi. La data legale della consegna dei lavori, per tutti gli effetti di legge e regolamenti, sarà quella dell'ultimo verbale di consegna parziale. In caso di consegna parziale a causa di temporanea indisponibilità delle aree e degli immobili, l'appaltatore è tenuto a presentare un programma di esecuzione dei lavori che preveda la realizzazione prioritaria delle lavorazioni sulle aree e sugli immobili disponibili”. Come è agevole notare, il CSA in disamina non fa alcuna menzione dell’istituto delle riserve né disciplina alcunché nel caso in cui, realizzati i lavori previsti dal programma, permangano le cause di indisponibilità delle aree.

L’assenza di ogni riferimento all’istituto delle riserve sembra confermare, dunque, le preoccupazioni prospettate: la (quasi) totale discrezionalità delle stazioni appaltanti, a scapito degli operatori economici. D’ora in avanti – è plausibile immaginare - le amministrazioni potranno gestire in piena autonomia la disciplina delle riserve, col rischio inevitabile di ottenere tutto il contrario di quanto auspicato dal legislatore, cioè la riduzione del contenzioso.

Possibili interpretazioni dell’art. 9 d.M. n. 49/2018

I primi commenti sulla novità introdotta in tema di riserve dal d.M. n. 49/2018, sono stati abbastanza critici.

Da un lato, si è evidenziato che si sarebbe venuto a determinare un vuoto normativo, con la naturale conseguenza di un aumento del contenzioso. Dall’altro, v’è chi ha ritenuto che l'introduzione di una disciplina regolatrice delle riserve non rappresenterebbe una facoltà ma un vero e proprio obbligo sancito da una norma, ancorché di carattere secondario, ragion per cui non sembrerebbe ammissibile un capitolato che non rechi alcuna disciplina al riguardo.

Nello scenario descritto, è doveroso, tuttavia, interrogarsi sull’eventualità di un possibile capitolato di appalto carente della regolamentazione relativa alle riserve.

Cosa fare nel caso ipotizzato?

Visto quanto sopra, nel caso in cui le stazioni appaltanti non provvedano a “dettare direttamente” la disciplina sulle riserve nel capitolato, gli operatori non saprebbero a quale dato regolatorio fare riferimento per l’apposizione delle domande.

Questa interpretazione, secondo cui in assenza di disciplina negoziale l’istituto delle riserve non troverebbe alcuna fonte, sembrerebbe quella più fedele al dettato normativo.

E si spiegherebbero così anche le preoccupazioni evidenziate dal Consiglio di Stato allorquando ha ritenuto inopportuno che siano le stazioni appaltanti a “dettare direttamente la disciplina”  suggerendo invece di prevedere un obbligo per le stesse di riprodurre la disciplina indicata nello schema di regolamento (sul quale è stato reso il parere) nei capitolati.

Diversi sono gli scenari che potrebbero profilarsi, dunque, anche in relazione a quegli aspetti che nell’attuale assetto normativo, a differenza di quello previgente, non trovano una normazione.

  1. Per un verso, vi è chi ha ipotizzato che le norme e le prassi operative vigenti nel precedente quadro normativo possano, e anzi debbano, essere utilizzate, anche ove non richiamate dal d.M. n. 49/2018 (ma tanto varrebbe anche nel caso in cui la disciplina negoziale nulla preveda sulla gestione delle contestazioni), poiché sarebbero comunque compatibili con il quadro regolatorio attualmente.

Una tesi, quella sopra illustrata, che però potrebbe fare i conti con quella giurisprudenza che basa i propri convincimenti sul dato letterale della norma: le norme previgenti, sebbene apprezzabili, risultano infatti abrogate con la naturale conseguenza di non poterne fare applicazione.

  1. Per altro verso, potrebbe farsi leva sul principio della eterointegrazione con la conseguenza che, anche in assenza di disciplina sulle riserve nei capitolati, dovrebbe trovare applicazione il decreto ministeriale, che ad ogni modo non sembra riproporre le norme sulla formulazione delle domande come la previsione del termine di decadenza per la loro esplicazione e quelle inerenti ai requisiti di contenuto delle stesse.

Ma anche tale soluzione potrebbe presentare aspetti di vulnerabilità.  

Sarebbe invero plausibile opporre la impraticabilità della eterointegrazione giacché l’articolo 9 è chiaro nell’affidare alle stazioni appaltanti la disciplina in esame e, quindi, queste e sole queste potranno prevedere in tal senso.

  1. Rimane da considerare l’ulteriore ipotesi del ricorso ai principi di natura privatistica. Infatti, in mancanza di apposita disciplina nel capitolato, e nella impossibilità di ricorrere al d.M. n. 49/2018, come anche alle prassi operative del previgente quadro normativo per le ragioni sopra esaminate, le patologie che potrebbero nascere nel corso dell’esecuzione, in quanto sorte in seno a un negozio giuridico (quale è per l’appunto il contratto di appalto) potrebbero essere risolte facendo leva sui principi di diritto privato. E, dunque, nel caso ipotizzato, come anche osservato in dottrina, l’appaltatore potrebbe formulare le sue contestazioni nelle forme e secondo le modalità ritenute più opportune, nell’esercizio dell’autonomia negoziale di natura privatistica che, in mancanza di regole pubblicistiche, disciplina i rapporti attinenti alla fase esecutiva .
  2. Infine, ipotizzando lo scenario in cui le stazioni appaltanti disciplinino nei capitolati la materia delle riserve, considerato il gap normativo in ordine al “quando” e al “come” l’appaltatore deve formulare le domande – giacché non si riscontra nel decreto alcuna previsione in tal senso – la disciplina potrebbe (e probabilmente dovrebbe) tenere comunque conto della finalità dell’istituto che, come riconosciuto in giurisprudenza, garantisce alla stazione appaltante di compiere prontamente le verifiche opportune dei fatti suscettibili di produrre un incremento della spesa prevista.

E, dunque, a titolo esemplificativo, andrebbe individuato il momento di decorrenza dell’onere di iscrivere riserva e il termine entro cui esplicarla. A tale proposito, vista la discrezionalità lasciata alle stazioni appaltanti nella predisposizione di tale disciplina e in assenza di un chiaro riferimento normativo, a meno di non voler fare ricorso alle norme previgenti, come ipotizzato in dottrina, potrebbe accadere che, in relazione al “quando”, vengano previsti termini eccessivamente ridotti e, dunque, tali da rendere eccessivamente difficile per l’esecutore l’esercizio del diritto. Lo stesso potrebbe dirsi in relazione al “come” iscrivere la riserva, ovvero al suo contenuto. Anche in tal caso, le amministrazioni avranno ampio margine nel dettagliare cosa l’esecutore sia tenuto a indicare in sede di apposizione della riserva, con il rischio che si profili un livello di dettaglio eccessivamente stringente, con la naturale conseguenza, in entrambi i casi prospettati, di un aumento del contenzioso in ordine alla eventuale illegittimità delle relative clausole contrattuali.

  1. Sotto un profilo squisitamente processuale, si potrebbe discutere della possibilità di impugnare immediatamente innanzi alla Giustizia amministrativa, in quanto idonee a rivelare la loro lesività sin dal momento di indizione della gara, le clausole del capitolato tali da imporre - in ipotesi - un futuro squilibrio nel sinallagma contrattuale, fermo restando il potere del Giudice ordinario di disapplicare la clausola ritenuta lesiva.

L’andirivieni del regolamento unico e lo Sblocca Cantieri

Come noto, il D.L. n. 32/2019 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18.4.2019, decreto c.d. Sblocca Cantieri, ha apportato numerose modifiche al d.lgs. n. 50/2016, tra queste, per quel che qui rileva, vi è il ritorno al “regolamento unico” di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice appalti.

La proposta del decreto (vedremo poi cosa accadrà con la conversione in legge) è volta a modificare - ancora una volta e radicalmente - il sistema di regolazione del Codice dei contratti pubblici; si prevede infatti di eliminare linee guida ANAC e decreti ministeriali in favore di un regolamento unico, così di fatto segnando un ritorno allo schema di cui al d.P.R. n. 207/2010.

Linee guida e decreti ministeriali che sembrerebbero dunque avere i “giorni” contati, giacché l’art. 1 del D.L. n. 32/2019, introducendo il comma 27-octies all’art. 216 del d.lgs. n. 50/2016, prevede che i primi “rimangono in vigore fino alla data di entrata in vigore del regolamento” la cui adozione è prevista entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore dello sblocca cantieri (ottobre 2019). Per i prossimi 180 giorni, quindi, continuerà a farsi applicazione della soft law e quindi anche del d.M. n. 49/2018.

Nulla si dice però del caso in cui il regolamento non venisse adottato alla scadenza dei 180 giorni con il rischio (plausibile e per nulla scontato) di incorrere in un gap normativo –assenza del regolamento unico e nella impossibilità (espressamente prevista) di fare ricorso alle linee guida e ai decreti ministeriali.

A cura di Avv. Rosamaria Berloco

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