Antitrust e D.Lgs. n. 50/2016, il rinvio a provvedimenti attuativi indebolisce l’efficacia del Codice dei contratti

Come già rilevato dal Consiglio di Stato (Parere n. 855/2016), il copioso rinvio ai provvedimenti attuativi contenuti all'interno di numerosi articoli del D....

26/05/2017

Come già rilevato dal Consiglio di Stato (Parere n. 855/2016), il copioso rinvio ai provvedimenti attuativi contenuti all'interno di numerosi articoli del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), rischia di compromettere "uno degli obiettivi che lo stesso Codice mirava a perseguire, vale a dire l’introduzione di una cornice regolatoria chiara, sistematica ed unitaria. Il rinvio nel tempo dell’operatività delle norme, infatti, indebolisce l’efficacia dell’intero Codice e genera, inoltre, incertezze interpretative sulla sua applicazione".

Questo è quello che pensa l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in riferimento al nuovo impianto regolatorio di cui al D.Lgs. n. 50/2016, recentemente modificato dal D.Lgs. n. 56/2017 (Decreto correttivo), come sottolineato all'interno della Relazione Annuale sull'attività svolta nel 2016, recentemente presentata a Montecitorio.

L'Antitrust ha ricordato che tra gli obiettivi perseguiti dal nuovo Codice, così come dalle direttive di cui costituisce recepimento, ci sono:

  • rendere più efficiente l’uso dei fondi pubblici;
  • garantire la dimensione europea del mercato e dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, incentivando la concorrenza e tutelando anche le piccole e medie imprese;
  • utilizzare strategicamente gli appalti pubblici come strumento di politica economica e sociale, nonché di contrastare la corruzione attraverso procedure semplici e trasparenti e un quadro regolatorio certo.

Tutto ciò anche al fine di contenere e ridurre la spesa pubblica, considerato che i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture rappresentano infatti una voce significativa della spesa pubblica, con la duplice implicazione di costituire una leva importante della politica economica e sociale di un Paese, e di essere particolarmente sensibili a condotte collusive, pratiche corruttive e fenomeni di inquinamento da parte della criminalità organizzata.

Tra i cambiamenti positivi introdotti dalla nuova riforma, l'Antitrust ha sottolineato:

  • quello che richiede alle stazioni appaltanti di suddividere le gare in lotti funzionali o prestazionali tali da permettere una effettiva partecipazione alla gara al maggior numero di imprese, comprese quelle di dimensioni inferiori:
  • le norme che mirano a ridurre il contenzioso e a garantire una maggiore certezza dei rapporti, attraverso l’introduzione di rigidi termini decadenziali per impugnare tutti gli atti di gara;
  • le disposizioni che centralizzano e aggregano le committenze, riducendo il numero delle stazioni appaltanti, in modo da ridurre, da un lato, i costi sostenuti da parte delle amministrazioni per l’organizzazione della gare, con vantaggi diretti per le casse pubbliche, e, dall’altro, realizzare le condizioni per facilitare le attività di controllo e monitoraggio sulle gare.

Tra i profili di criticità, l'Antitrust ha evidenziato:

  • la possibilità di inserire la clausola di protezione sociale negli appalti ad alta intensità di manodopera, prevista all’art. 50 del Codice, senza richiedere alcuna compatibilità o armonizzazione con le esigenze dell’impresa subentrante.
    Sul tema l’Autorità è ripetutamente intervenuta, da ultimo con un parere espresso proprio con riferimento allo schema di Codice degli appalti, nel quale aveva sottolineato le criticità concorrenziali sottese alla previsione di una clausola di protezione sociale nei bandi di gara che non fosse rispettosa dell’autonomia dell’impresa vincitrice della gara.
  • la modalità con cui è stata introdotta, nell’art. 22 del nuovo Codice, la consultazione con i portatori di interesse nella forma del “dibattito pubblico” per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, presenta elementi di debolezza.
    L’Autorità aveva auspicato l’introduzione di procedure sul modello del débat public francese, caratterizzate da trasparenza e contraddittorio, al fine di superare l’impasse che spesso caratterizza la realizzazione delle grandi opere di infrastrutture pubbliche a causa dell’opposizione delle comunità locali e dell’insorgere di contestazioni dopo la conclusione della fase decisionale. La procedura prevista dal nuovo Codice degli appalti risulta essere scarsamente operativa ed efficace a causa del rinvio dei contenuti essenziali ad un futuro D.P.C.M. da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del Codice; inoltre, la decisione di attribuire la gestione della procedura al soggetto che propone l’opera (e che quindi è, per definizione, non terzo), rischia di farle perdere il necessario carattere di imparzialità e, conseguentemente, di dare adito a nuovi pretesti di ricorso da parte degli oppositori.

Più in generale, l'Authority ha evidenziato, come sottolineato dallo stesso Consiglio di Stato, "il rinvio ad un provvedimento attuativo contenuto in numerosi articoli del Codice, rischia di minare uno degli obiettivi che lo stesso Codice mirava a perseguire, vale a dire l’introduzione di una cornice regolatoria chiara, sistematica ed unitaria. Il rinvio nel tempo dell’operatività delle norme, infatti, indebolisce l’efficacia dell’intero Codice e genera, inoltre, incertezze interpretative sulla sua applicazione".

Il permanere di vincoli all’autonomia dell’impresa nella partecipazione alla gara, ed elementi di incertezza normativa come quelli sopra evidenziati, compromettono il corretto svolgimento del gioco concorrenziale e pregiudicano lo sviluppo e l’effettività delle riforme.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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